Il racconto

Fratelli di Romania: l'attenzione di Meloni alla Chiesa ortodossa. In Italia una comunità di 1 milione di persone

Simone Canettieri

Il governo sigla l’intesa con la Diocesi ortodossa romena d’Italia: via libera all'8 per mille dell'Ipef. I rapporti con i Conservatori di Aur

Non è stato un atto dovuto, ma un atto voluto visto che la pratica era ferma da anni: lunedì scorso il governo Meloni, con il sottosegretario Alfredo Mantovano, ha siglato l’intesa con la  Diocesi ortodossa romena d’Italia (Dor). L’accordo porterà a un disegno di legge che sarà approvato in Parlamento. Il punto più interessante, ma non certo l’unico, riguarda  la possibilità per la Dor di accedere alla quota otto per mille dell’Irpef. La Chiesa ortodossa romena vanta – dati del 2023 – 285 parrocchie sparse in Italia. I romeni in Italia sono – dati Istat – 1.073.196 (il 20,4 per cento degli stranieri nel nostro paese). In quanto cittadini comunitari, da residenti, possono votare qui per le amministrative e le europee. Fratelli di Romania? In un certo senso sì.  


L’iniziativa di Mantovano è una mano tesa nei confronti di una comunità molto popolosa. E non passa solo dall’otto per mille. Sono riconosciuti, per esempio, “gli effetti civili dei matrimoni celebrati davanti ai ministri della confessione religiosa di cittadinanza italiana, trascritti nei registri dello stato civile”.

Non solo: viene disciplinato un altro riconoscimento: quello della personalità giuridica degli enti costituiti dalla Dor “a fine di religione o culto, anche congiunto con scopi d’istruzione, assistenza e beneficenza”. Grandi e legittime attenzioni che, viene da pensare con malizia e realismo, potrebbero essere contraccambiate in voti quando nelle città o nelle regioni Fratelli d’Italia, e quindi il centrodestra, andrà al voto. In Romania Fratelli d’Italia vanta due circoli, con altrettante pagine Facebook. Alle ultime europee è stato il primo partito fra gli italiani emigrati con il 37 per cento contro il 14 del Pd, il 10 di Forza Italia e Lega, l’8,1 degli Stati uniti d’Europa, il 6, 8 del M5s e il 5,2 di Avs. La Chiesa ortodossa romena vanta quasi venti milioni di fedeli in patria e all’estero. In Italia la comunità si è sviluppata a partire dagli anni Sessanta del Novecento: la prima parrocchia è stata fondata a Milano nel 1974. Il partito di riferimento del mondo ortodosso è l’Alliance for the Union of Romanians che alle ultime europee ha conquistato un più che dignitoso 14,93 per cento. Fa parte della famiglia dei Conservatori, di Ecr, di cui Meloni è stata fino a pochissimo tempo fa la presidente prima di lasciare lo scettro al polacco Mateusz Morawiecki. La fascinazione tra questa destra e quella romena non nasce certo oggi. Anzi, prima che venisse ristrutturata la storica sede di Colle Oppio – fucina del melonismo ed Ena della destra italiana – era scritta sui muri. Come testimoniavano le scritte dedicate al capo di Cuib, l’ultranazionalista Corneliu Zelea Codreanu. C’era anche il suo nome  sulle pareti insieme a quelli di Evola, Papini e Degrelle. L’erede di quel passato è il leader di Aur George Simion, diventato il secondo partito al Parlamento per numero di eletti e pronto ad appoggiare Calin Georgescu, a cui i giudici lo scorso novembre hanno negato la vittoria alle presidenziali per via delle pesanti interferenze della Russia (le cui campagne di disinformazione sarebbero esplose soprattutto sulla piattaforma TikTok, attualmente sotto inchiesta da parte della Commissione europea). Tuttavia queste sono dinamiche da cui Meloni si tiene alla larga. Diverso invece è il rapporto che il suo partito, attraverso il governo, vuole costruire con la comunità romena in Italia tramite concessioni e patti che potrebbero pesare anche alle prossime elezioni amministrative, a partire dalle regionali di quest’anno.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.