Il caso

Almasri, Nordio e Piantedosi in Aula con la regìa di Bongiorno: "Difendo il governo gratis? Non ne abbiamo ancora parlato"

Simone Canettieri

Oggi le informative sul capo della polizia libica rimpatriato. I ministri si divideranno i compiti: solo fatti senza attacchi e accuse di complotti. Meloni assente. Leader dell'opposizione pronti a sfruttare la diretta tv

“Non parlo, ora non parlo”. Giulia Bongiorno, senatrice della Lega e soprattutto avvocato del governo  per il caso Almasri attraversa a testa bassa, passo velocissimo, i corridoi di Palazzo Madama. Sta qui per la commissione Giustizia, che presiede, ma poi si rimetterà a studiare le informative, virgola per virgola, che oggi leggeranno in Aula – prima alla Camera e poi al Senato – due dei quattro indagati in questa vicenda: i ministri Matteo Piantedosi (Interno) e Carlo Nordio (Giustizia). Gli altri due, come si sa, sono la premier Giorgia Meloni e il suo sottosegretario Alfredo Mantovano. Quattro clienti niente male e anche “facoltosi”. Raccontano da Fratelli d’Italia che Bongiorno li difenda a titolo gratuito, come accaduto per Matteo Salvini. Una consulenza pro bono perché in mezzo ci sono “l’interesse dello stato e la sicurezza della nazione”?  E’ così Bongiorno? “Di questo a dire il vero non abbiamo ancora mai parlato...”. 


Dettagli, in questa fase, per la regina del foro nonché seconda parlamentare, dopo Matteo Renzi, più ricca d’Italia. Oggi finalmente, per le opposizioni, il governo riferirà su una storia che si può sfogliare come un carciofo: si parte  dall’immigrazione, visto che di mezzo c’è il capo della polizia giudiziaria libica tipo dai modi spicci, e si finisce con la questione giustizia e l’eterno derby con le toghe. Allora, l’appuntamento è alle 12.15 alla Camera con la strana coppia, il veneto Nordio e il campano Piantedosi. Entrambi con un passato nelle istituzioni, come magistrato e come prefetto, e ora tra le file del governo. Il  Guardasigilli, candidato come indipendente alla Camera nei giorni scorsi su richiesta pressante di Arianna Meloni, si è iscritto a Fratelli d’Italia. Il titolare del Viminale, che preferisce passare da pianta grassa delle istituzioni pur di non indossare una maglietta dei partiti, finora si è barcamenato con destrezza democristiana-sulliana tra Matteo Salvini, di cui fu capo di gabinetto all’Interno, e Meloni, con la quale c’è un rapporto così solido che un giorno sì e l’altro pure in Via della Scrofa lo vedrebbero bene come candidato governatore in Campania: lui soffre ma non si offre (stasera il centrodestra, quando tutto sarà finito, si riunirà per la prima volta per iniziare a parlare dei candidati alle prossime sei elezioni regionali previste in autunno).  

Dunque i due ministri, arbitri di eleganza del governo con la sartoria napoletana contro il doppiopetto veneto gessato, si spalleggeranno. Il Guardasigilli ricostruirà il “pasticcio”  di comunicazioni sommarie e spezzettate e commesse – a suo dire e in forza di nuovi documenti richiesta all’Aia – il 18 gennaio dalla prima camera preliminare della Corte penale internazionale (Cpi) quando ha emesso un mandato di arresto per Osama Almasri fino a quando il giorno dopo è stato arrestato a Torino dalla Digos, passando ovviamente per la mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma. Poi toccherà a Piantedosi che invece ricostruirà in maniera asciutta e senza aggettivi il tour del libico in giro per l’Europa fischiettando senza pensieri: Londra, Bruxelles, Bonn, Monaco. Sempre al titolare del Viminale toccherà spiegare la scelta di imbarcarlo su un volo di stato verso la Libia, accolto  da festeggiamenti con le bandiere tricolori sullo sfondo del velivolo.  Bongiorno, come se fosse una direttrice di giornale vecchio stampo, si è raccomandata con i due (indagati per peculato e favoreggiamento) di fare cronaca. Senza commenti. Se non di ribadire nelle loro ricostruzioni dettagliate che qualsiasi decisione è stata presa “nell’interesse e per la sicurezza della nazione”, come da celebre video meloniano con l’atto della Procura di Roma in mano. Il Viminale nega e negherà che l’aumento degli sbarchi dalla Libia nel periodo di detenzione di Almasri, seppur brevissimo e quindi che non fa testo, sia stato in qualche modo correlato con la detenzione del “gentiluomo” libico. A Palazzo Chigi si sono raccomandati, e nel turbinio di telefonate con Bongiorno la tentazione è stata espunta, di attenersi nelle informative ai fatti, senza adombrare complotti della Germania che avrebbe fatto scattare l’alert una volta che l’ “attenzionato” era uscito dai confini.  Insomma, niente complotti, please. E anche nei confronti della procura di Roma che ha trasferito il fascicolo nato da un esposto al tribunale dei ministri, Nordio dovrebbe usare i guanti. Per il resto sarà il giorno delle opposizioni, chiaro. Alla Camera alle 12.15 dopo un iniziale diniego in conferenza dei capigruppo da parte di Forza Italia e Lega ci sarà la diretta tv (come in Senato). Parleranno Giuseppe Conte, Elly Schlein  e Nicola Fratoianni. Poi a Palazzo Madama toccherà a Matteo Renzi e Carlo Calenda. Giorgia Meloni non dovrebbe presentarsi a Montecitorio, sarebbe una provocazione, per FdI prenderà la parola Giovanni Donzelli. Bongiorno sarà in Senato, dove è atteso anche Matteo Salvini, in disparte, assorta, attaccata al cellulare come sempre. Chissà che farà con la sua parcella...
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.