Donald Trump con Giorgia Meloni (foto Ap, via LaPresse)

Occhio al Make Europa Dead Again

Con Trump o con l'Europa? Meloni, i dazi, il rischio vaso di coccio

Claudio Cerasa

Dai dazi all’Afd. In Europa, Trump e Musk hanno un obiettivo simmetrico: sgretolare l’Unione europea scommettendo sulla sua esplosione. La presidente del Consiglio ha ragioni urgenti per combattere il modello Mega

Maga. Mega. Meda. E noi? Le ricadute delle scriteriate guerre commerciali portate avanti con una certa coerenza da Donald Trump sono molte, sono variegate, si tengono tutte insieme e ci permettono di capire qualcosa in più su quelli che possono essere, per il mondo libero, gli effetti di un’America che investe forte sulle politiche protezionistiche.

 

I primi effetti, naturalmente, sono economici e sono stati messi bene in evidenza ieri prima dal Financial Times e poi dal Wall Street Journal. Il Financial Times, correttamente, ha ricordato a Donald Trump che i dazi su Messico, Canada e Cina “daranno uno choc immediato alle economie nordamericane e mondiali”, in senso negativo, che i dazi “mettono a repentaglio decenni di progressi verso l’integrazione economica che hanno aumentato la prosperità degli Stati Uniti e del mondo”, e che i dazi infine produrranno un effetto autolesionistico perché “gli Stati Uniti saranno una delle principali vittime del danno risultante alla propria economia e alla propria posizione nel mondo”.

 

Un secondo effetto è stato ribadito sempre ieri da un giornale vicino a Donald Trump sui temi di politica economica, ovvero il Wall Street Journal, che ha criticato duramente il presidente americano definendo la politica sui dazi “la guerra commerciale più stupida che ci possa essere”, ricordando che “i prezzi aumenteranno per la maggior parte dei beni soggetti a dazio” e augurandosi che, dato che Trump ha chiesto agli americani di fare la loro parte e di non protestare troppo se i dazi avranno un effetto negativo, “i lavoratori e i datori di lavoro americani non perdano il lavoro o l’attività prima che arrivi l’età dell’oro”.

 

Un terzo effetto, seppur limitato, è stato quello che si è manifestato ieri sulle borse americane, che prima della sospensione dei dazi al Messico (Trump ha negoziato un intervento dell’esercito messicano al confine) avevano perso in apertura quasi il due per cento a Wall Street. Accanto alla sfera dell’economia, però, vi è una sfera diversa, e non meno importante, che riguarda la politica.

   

E il grande elefante nella stanza, per Donald Trump, e soprattutto per i suoi follower, è che la politica dei dazi portata avanti dal presidente isolazionista è lo specchio perfetto di tutto quello che i seguaci del trumpismo cercano di nascondere quando parlano del proprio beniamino alla Casa Bianca: quando un sovranista decide di esportare il sovranismo in giro per il mondo i primi a farne le spese sono quei sovranisti desiderosi, in giro per il globo terracqueo, di tutelare il proprio interesse nazionale. Nel caso specifico, nel caso dei dazi, il problema per l’Italia di Giorgia Meloni non è solo quello di essere vulnerabile dal punto di vista politico di fronte alle politiche protezionistiche portate avanti da Donald Trump (il nostro paese, come sapete, ha un surplus commerciale importante con gli Stati Uniti, esporta più di quello che importa, e i dazi contro l’Europa annunciati da Trump serviranno a ridurre proprio questo teorico squilibrio). Ma è quello di dover trovare in fretta una postura nuova per confrontarsi con il trumpismo con l’accortezza di non essere schiacciata tra i due fuochi in cui si riconosce la presidente del Consiglio: gli Stati Uniti dell’alleato Donald Trump e l’Unione europea dell’alleato Ursula von der Leyen.

 

Il passaggio è delicato perché il tema dei dazi apre poi a un tema ancora più grande che riguarda in generale la necessità da parte della premier di dover scegliere inevitabilmente da che parte stare su questa partita, e anche su molte altre. E scegliere da che parte stare, naturalmente, non significa fare un ragionamento astratto. Ma significa, nel concreto, respingere con forza il tentativo trumpiano di dividere l’Europa coltivando rapporti bilaterali con i singoli paesi e facendo di tutto per rafforzare l’Europa di fronte alla minaccia trumpiana. Gli spazi per i mediatori, naturalmente, ci sono, esistono, e si capisce che Ursula von der Leyen, che da giorni lavora a una telefonata con Trump che ancora non è arrivata, veda in Giorgia Meloni un possibile ponte con gli Stati Uniti. Ma in un momento come quello in cui ci troviamo oggi – in cui l’industria europea è minacciata dal protezionismo trumpiano, in un momento in cui l’economia dell’Eurozona si sta fermando, in un momento in cui l’export europeo continua a essere l’unica grande leva con cui i paesi europei tentano di combattere la crisi economica – Meloni dovrà trovare una linea di condotta non semplice per provare a essere il collante tra un’Europa che Trump detesta e fra un Trump che detesta l’Europa. Il tutto provando a evitare che il rapporto di fiducia che si è costruito in queste settimane tra il primo ministro italiano e il presidente americano possa trasformarsi rapidamente in qualcosa di diverso: in un’adesione alla linea anti trumpiana di una Commissione europea sostenuta come è noto dal partito del primo ministro italiano. Il Make Europa Great Again (Mega), traduzione europea del Make America Great Again (Maga), è in realtà una versione addolcita di un altro acronimo che si trova al centro delle politiche simmetricamente portate avanti in Europa tanto da Trump quanto da Musk: Meda, ovvero Make Europa Dead Again.

   

Le guerre commerciali di Trump hanno naturalmente come primo scopo quello di aprire delle negoziazioni con i paesi individuati dall’America come obiettivi delle politiche sui dazi. E l’Europa, l’Europa unita non quella disunita come la sognano i sovranisti europei, muovendosi in modo compatto potrebbe trovare delle chiavi per negoziare con Trump senza dover ricorre alle isteriche politiche dazi contro dazi (per esempio, acquistando più gas dall’America e rimettendo mano ad alcune regole rigide che riguardano i giganti tecnologici coccolati da Trump). Ma il punto vero che molti follower del trumpismo spesso fingono di non cogliere è che avere un’Europa più disgregata, più debole, meno coesa è il primo obiettivo del presidente americano (più bilaterali, meno unione) ed è anche il primo obiettivo del suo consigliere speciale Elon Musk. Il quale Musk non a caso sostiene in Europa tutti i partiti il cui obiettivo prioritario è quello di rendere non l’Europa un pochino più grande (great again) ma un pochino più debole (dead again). Per difendere l’interesse nazionale italiano senza entrare in rotta di collisione con l’internazionale trumpiana, Meloni potrà tentare di essere in sintonia valoriale con Trump su grandi temi come l’immigrazione (meglio non far sapere però a Trump che nell’attesa di perfezionare il modello albanese l’Italia di Meloni ha messo in campo la politica di accoglienza di migranti più importante della storia d’Italia, attraverso un decreto Flussi record con dimensioni in entrata mai raggiunte da nessun governo del nostro paese) ma dovrà esserlo necessariamente sui temi economici facendo quello che finora non è stata sempre in grado di fare (tenendo insieme l’Europa) e tentando di intestarsi l’unica battaglia sui dazi europei in grado di fare il gioco non solo dell’Europa ma anche delle imprese italiane: non più dazi contro l’America (come annunciato da Canada e Cina) ma più politiche volte a moltiplicare quegli accordi di libero scambio in giro per il mondo (come il Mercosur) che potrebbero aiutare le nostre imprese a esportare di più e i paesi europei a crescere di più. Maga. Mega. Meda. Essere trumpiani provando a tenere insieme l’Europa anti trumpiana senza diventare una nemica di Trump ed evitando che il trumpismo possa diventare un problema grave per gli amici di Trump. Make Euro Patriotism Great Again.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.