Interviste istruttive
Schlein e i debiti per 1.400 miliardi l'anno, Tajani e la confusione su Mes e bond
Dare i numeri sui conti europei: le interviste a confronto della segretaria del Pd e del leader di Forza Italia
L’Europa è il prossimo fronte della guerra commerciale globale scatenata da Donald Trump. Il timore più grande, per i cittadini e per i mercati, deriva dal fatto che a minacciare i dazi dalla Casa Bianca sia una personalità tanto determinata quanto indecifrabile. Sarebbe rassicurante sapere che, di fronte alle minacce di un pazzo o di uno che finge benissimo di esserlo, da quest’altro lato a guidare il paese c’è invece chi sa benissimo cosa fare per evitare il peggio. La lettura dei giornali fuga ogni dubbio a riguardo. La classe dirigente italiana non ha la minima idea di come affrontare la crisi e ci tiene a farlo sapere.
Intervistato dal Corriere della sera, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani dice che agli Usa i dazi non convengono, che Trump in realtà voglia solo negoziare e che l’Italia è disposta a farlo. Bene, ma su cosa? La difesa. Ottimo, ma come?
Bisogna aumentare le spese militari. “Noi siamo disponibili ad arrivare al 2 per cento (del pil, ndr) non certo al 5 per cento”, risponde Tajani. Ma con quali soldi? “Si può fare scorporando le spese dal Patto di stabilità – dice il ministro degli Esteri – emettendo Eurobond e anche attingendo a fondi del Next generation Eu e a quelli del Mes non utilizzati”.
L’aspetto curioso, di una risposta non esattamente lineare, è che arriva il giorno dopo la riunione del Consiglio europeo da cui è emerso che non c’è alcuna volontà di emettere debito comune (eurobond) da parte della Germania e che l’unica apertura, da parte della Commissione europea, riguarda maggiore flessibilità di bilancio per gli stati sulle spese della difesa rispetto alle deroghe già previste (e che l’Italia non ha usato). Quanto ai fondi del Next Generation Eu, il ministro Tommaso Foti sta lavorando all’ultima revisione del Pnrr che deve essere approvata entro aprile: spetta quindi al governo indicare a quali settori togliere le risorse per dirottarle sulla difesa. L’aspetto ulteriormente curioso dell’intervento di Tajani è il richiamo all’uso dei fondi “non utilizzati del Mes”. In primo luogo perché non si comprende bene cosa siano questi soldi: il Mes non è un salvadanaio da rompere all’occorrenza con dentro risorse cash, ma un istituto con un capitale che deve emettere titoli e chiedere fondi sul mercato prevedendo una linea di credito specifica (un po’ come accaduto per il Mes sanitario, che però l’Italia non ha usato). Ma soprattutto perché l’Italia è il paese che da anni tiene bloccato il Mes, l’unico a non aver ratificato il nuovo trattato impedendone l’entrata in vigore. Tra l’altro il veto dell’Italia alla riforma del Mes è stato motivato dal governo Meloni con l’assoluta indisponibilità a farvi ricorso, mentre ora il ministro degli Esteri ne chiede l’utilizzo senza ratificare il trattato. Strategia contraddittoria e, se è questa quella che il governo italiano ha portato al Consiglio europeo, è ben comprensibile che abbia faticato a trovare consensi.
Dalle parti dell’opposizione, però, l’alternativa non è affatto migliore. Intervistata dalla Repubblica, Elly Schlein ha proposto come risposta ai dazi di Trump “un grande piano di investimenti comuni europeo”. Ma quanto grande e per care cosa? “Il Next Generation Eu spalmava 700 miliardi su quattro anni – dice la segretaria del Pd –. Ci vorrebbe almeno ogni anno il doppio di quella cifra” da investire in innovazione, conversione digitale, ecologica ed energetica. Siamo oltre Tajani. Perché se da un lato è evidente che in Europa non c’è alcun consenso per emettere nuovo debito comune neppure per un obiettivo comune come la difesa, figurarsi per fare altre cose. Ma soprattutto è la proposta migliore per evitare che si crei consenso sulla creazione di un debito comune. Non soltanto perché viene proposto un nuovo Next Generation Eu mentre quello in corso non si è ancora concluso, ma per l’entità completamente fuori scala. La proposta di Schlein è un piano da 1.400 miliardi di euro ogni anno. Si tratta, all’incirca, di mettere sul mercato mezzo debito pubblico italiano ogni anno. Su un arco di tempo quadriennale, si tratta di una massa di soldi pari a 5.600 miliardi. Per fare un confronto, è il triplo del Pepp, il Piano di emergenza pandemica (1.850 miliardi) messo in campo dalla Bce durante il Covid, il più grave shock economico del dopoguerra. Un altro termine di paragone: Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea ha indicato la necessità di un ambizioso piano di investimenti da 800 miliardi, pubblici e privati. Ciò vuol dire, se consideriamo un rapporto 50/50, che la Schlein prevede un indebitamento pubblico europeo grosso tre volte e mezzo quello proposto da Draghi. E’ evidente che Donald Trump non ha senso della misura, ma qui non siamo messi molto meglio.
Chi di rifiuti ferisce...