Difesa senza credito
“Con la scusa dell' ‘eticità' le banche non ci finanziano”. Parla il segretario di Aiad
Carlo Festucci, segretario generale dell'associazione di categoria delle aziende della difesa, spiega come e perché gli istituti rendono molto complicato l'accesso al credito alle Pmi che producono armamenti. Sembra strano, ma la responsabilità è anche di comuni e regioni: "Per Roma Capitale siamo come le prostitute". Ma la Bei potrebbe ora fare cambiare le cose
“Per le piccole e medie imprese del settore della difesa in Italia, accedere ai finanziamenti delle banche è davvero complicato. Spesso gli istituti di credito inseriscono nei loro statuti dei vincoli di ‘eticità’ che di fatto impediscono alle società di poter essere finanziate”. Carlo Festucci, segretario generale dell’Aiad, l’associazione di categoria che all’interno della Confindustria rappresenta le aziende del settore sicurezza e difesa – in passato presieduta dall’attuale ministro della Difesa Guido Crosetto –, combatte da anni con un problema poco noto ma che torna in questi giorni alla ribalta. Lo scorso 3 febbraio i leader europei si sono riuniti a Bruxelles per un vertice informale che aveva in cima all’agenda anche il finanziamento della difesa europea, una questione centrale dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump. Il presidente americano ha chiesto a tutti i paesi della Nato di portare la spesa militare al 5 per cento del Pil, tre punti in più dell’attuale obiettivo del 2 . Quella di Trump ha il sapore della sparata, ma è certo che al vertice Nato di giugno il target di spesa aumenterà. Eurobond, Recovery fund della difesa, scorporo delle spese per la difesa dal calcolo dei parametri di indebitamento previsti dal Patto di stabilità, acquisti comuni attraverso l’European defence industrial programme… Le ipotesi sul tavolo sono molte. Le decisioni sono ancora lontane dall’essere prese.
Una cosa però è certa: la domanda di armamenti aumenterà, e con essa la necessità delle aziende di finanziarsi per fornire un’offerta adeguata. Per l’Italia è giunto dunque il momento di risolvere un’annosa questione: quella dell’accesso al finanziamento delle aziende. Spiega Festucci: “Ogni banca fa come vuole, ma quasi tutte mettono dei vincoli al finanziamento delle aziende del nostro settore. C’è chi non accetta di finanziare produzioni destinate all’export, seppur nel rispetto della legge 185, che non consente l’esportazione in paesi in guerra o che violano le convenzioni internazionali sui diritti umani. Oppure c’è chi accetta solo le transazioni verso paesi Nato o europei. Ma ci sono persino banche che hanno chiesto ai loro correntisti che lavorano per aziende che producono armi di chiudere i loro conti: una follia”. Ma perché accade? Gli istituti bancari sono pieni di pacifisti integralisti? “Assolutamente no, la ragione è politica”, dice il segretario dell’Aiad. “Quasi tutti gli enti locali – comuni, regioni, ecc. – hanno nei loro statuti delle regole che prevedono che le banche possano lavorare con loro solo se si dichiarano ‘etiche’, e dunque non finanziano aziende del settore della difesa. Poiché le tesorerie di questi enti sono tantissime, rappresentano per le banche un business troppo grande al quale rinunciare. Il risultato è che a noi vengono chiusi i rubinetti. Stranamente, poi, quando c’è un affare importante, improvvisamente questa ‘eticità’ va a farsi benedire. D’altronde, è un concetto che spesso sfuma in ipocrisia. Le faccio un altro esempio: il Comune di Roma doveva rifare delle strade in periferia e ha chiesto di dare dei contributi. Un’importante società italiana che produce missili si era detta disponibile, ma il Comune le ha detto di no perché nel suo statuto ci sono due categorie che non possono dare sovvenzioni: le prostitute e le aziende di armi”. Il problema raccontato da Festucci è rilevante. È stato segnalato nei mesi scorsi anche nel rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi come uno degli elementi critici per il settore. “L’accesso ai finanziamenti – si legge – è spesso ostacolato dall’interpretazione data dalle istituzioni finanziarie ai quadri di riferimento dell’Ue per la finanza sostenibile e ai quadri di riferimento ambientali, sociali e di governance”.
Una speranza arriva proprio dal vertice europeo di alcuni giorni fa. Tra le ipotesi per garantire al settore un flusso di finanziamenti adeguato c’è quella di allargare al settore della difesa il perimetro di attività della Banca europea per gli investimenti. Già da maggio scorso la Bei può finanziare aziende e start-up che lavorano a tecnologie dual-use, e cioè con applicazioni sia civili sia militari. A breve, i leader europei potrebbero fare un ulteriore salto in avanti. “Già oggi – dice Festucci – l’atteggiamento delle banche è un po’ cambiato. La situazione geopolitica ha fatto capire agli istituti di credito che c’è una grande opportunità di business. Un cambiamento delle regole della Bei darebbe un ulteriore segnale”. Cancellando, citiamo il rapporto Draghi che invitava a seguire questa strada, “l’effetto di segnalazione negativa per il settore finanziario in generale” che l’esclusione della difesa da quelli finanziabili dalla Bei genera.