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"Dittatura della trasparenza"?

Tacito, Richelieu, la ragion di stato, Almasri. Parla Mario Mori

I confini dell'agire politico, la decisione di dire o non dire, nel racconto del generale dei Carabinieri ed ex direttore del Sisde

Marianna Rizzini

Rivelare, tacere? "E’ un problema vecchio come il mondo, se è vero che già Tacito parlava di ‘arcana imperii’, ciò che nella gestione dell’impero doveva restare riservato”, dice Mario Mori: "Nella sua brevità, quella definizione dice tutto". Ma una democrazia oggi ha il diritto di affermare il primato della politica? 

Il caso Almasri, l’Italia, la Corte penale internazionale, le informative dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e una domanda: una democrazia ha il diritto, per affermare il primato della politica, di scegliere in alcune circostanze la via del non dire o le democrazie, oggi, subiscono una sorta di “dittatura della trasparenza”? “E’ un problema vecchio come il mondo, se è vero che già Tacito parlava di ‘arcana imperii’, i segreti del potere, ciò che nella gestione dell’impero doveva restare riservato”, dice Mario Mori, già generale dei Carabinieri, ufficiale del Sid, membro dei nuclei speciali antiterrorismo, fondatore del Ros, direttore del Sisde, guida di molte operazioni sotto copertura, tra cui la cattura del boss mafioso Totò Riina.

Tacito, dunque. “Nella sua brevità, la sua definizione dice tutto. Parla di ragion di stato, ovviamente e direttamente collegata con la sicurezza di uno stato, sicurezza che quasi sempre resta nell’ambito della riservatezza”. E la valutazione sulla “riservatezza con cui gli stati conducono alcune attività” può avere a che fare, dice Mori, “con condizionamenti interni o esterni. Si veda proprio il caso Almasri: non si era in presenza di una minaccia partita dalla Libia. Si era di fronte a quella che viene definita ‘minaccia innominata’: quando cioè si sa che, assumendo un determinato atteggiamento rispetto a una determinata situazione o persona, andrà a finire male. Penso al caso di Cecilia Sala, caso in cui, è evidente, la ragion di stato ha funzionato, addirittura esplicitata pubblicamente. La ragion di stato insomma esiste, deve esistere ed è strumento indispensabile a uno stato per fare politica”.

Il caso drammatico di Giulio Regeni, invece, dice Mori, “non è stato purtroppo trattato secondo questa impostazione, ed è diventato irresolubile. Forse sarebbe andata diversamente se, invece di mandare il procuratore della Repubblica di Roma a incontrare il suo omologo al Cairo, situazione in cui ognuno parlava con l’altro in base a un proprio codice, si fosse deciso di inviare al Cairo il direttore di un servizio o qualcuno idoneo a condurre questo tipo di trattativa, parlando informalmente con quelle persone. Lo dico avendo diretto un servizio per cinque anni: per risolvere casi delicati, così si è sempre fatto e così sempre si farà”. Il ministro della giustizia Carlo Nordio, nel corso dell’informativa su Almasri, ha parlato di errori formali e diritti uguali per tutti, e ha sottolineato, pur senza approfondire il tema, il fatto che il ministero della Giustizia, di fronte a un individuo che ha a suo carico un mandato di arresto della Cpi, non è un semplice “passacarte”.

“Il cardinale Richelieu diceva: ho fatto quello che ho fatto per motivi di ragion di stato”, dice Mori: “La ragion di stato sta alla base dell’agire delle democrazie come delle dittature, anche se poi si vuole evitare di ammettere di essere venuti a patti con il nemico. Una remora che tutti i politici hanno, a destra come a sinistra”. La iper-trasparenza è oggi forse imposta dall’overdose social, dall’amplificazione istantanea del detto e del non detto in rete, dal ripensamento suggerito dall’eco mediatica? “Secondo la mia esperienza di vecchio ufficiale di polizia giudiziaria e poi di addetto ai servizi”, dice Mori, “se con la mente si andasse a riesaminare i casi dopo aver agito, conoscendo magari ex post fatti che al momento dell’azione non si conoscevano, sempre si sarebbe portati a pensare qualcosa come ‘mi dovevo comportare in maniera diversa’”. Eccesso di trasparenza o azione non trasparente in nome della sicurezza dello stato: in mezzo, una decisione non semplice (in un senso o nell’altro). Davanti a un caso tipico di applicazione della ragion di stato, Mori, per scegliere una strada, esaminerebbe alcuni elementi: “Mi chiederei intanto: vale la pena pubblicizzare il fatto oppure no? Che elementi ho, se decido di non pubblicizzarlo, per sapere se la conoscenza del fatto resterà davvero circoscritta a poche persone? Sono cose che – messe in fila: a, b, c – mi porterebbero a decidere se parlare o se tacere”.
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.