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Il racconto
Santanchè lasciata sola in Aula rimpiange il garantismo ai tempi del Cav. Ma ora Meloni ha altre grane
La ministra alla Camera alle prese con la mozione di sfiducia: nel centrodestra solo una decina di parlamentari di FdI. La Pitonessa non si vuole dimettere, ma la premier ha pensieri più importanti: dalla Cpi al rebus Albania
Vive la mozione di sfiducia come una seduta dal dentista. Un’oretta e passa la paura. Solo che invece di aprire la bocca, Daniela Santanchè la tiene bella cucita. Nonostante Pd, M5s e Avs gliene dicano di tutti i colori. “Fascista”. “Barabba”. “Bugiarda”. “Vergogna” . Addirittura c’è chi le ricorda il suicidio dell’imprenditore che aveva salvato la sua azienda. La ministra del Turismo balla da sola. Non solo alla fiera di Milano del Bit con Pulcinella, da cui proviene e per la quale ripartirà finita l’incombenza. In Aula ci sono una decina di deputati di Fratelli d’Italia e nessun altro della maggioranza.
Lunedì uggioso alla Camera, il convento passa la “Santa” e tutti i giornali in grandi forze accorrono: retroscenisti, coloristi, notisti. “E’ vestita di color panna o d’avorio?”, è la prima domanda dei cronisti quando la ministra appare a Montecitorio in compagnia del deputato di FdI Andrea Mascaretti, uno dei martiri meloniani costretto a star seduto sugli scranni mentre le opposizioni – presenti i leader Giuseppe Conte ed Elly Schlein – si divertono con il tiro al piccione. Nessuno in Aula la difende. Sui banchi del governo parlotta con Musumeci, accanto al quale c’è Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento. Davanti la viceministra Vannia Gava (Lega) e il sottosegretario, di FdI, Marcello Gemmato. Santanchè prima di questa seduta, di togliersi questo dente, si è lamentata per il garantismo che non percepisce nell’aria: “Io vengo da Forza Italia, ne ho passate tante ai tempi di Berlusconi, io resto garantista. E gli altri?”.
Musumeci, che la conosce dai tempi della Destra di Storace, ribadisce che la Pitonessa è una tipa tosta. Non dice che farebbe bene a dimettersi, “ci mancherebbe non do giudizi”. Ma aggiunge: “Spero che tutto questo finisca presto”. Dentro Fratelli d’Italia i più smaliziati, specie i romani, vivono la pratica senza entusiasmo, consapevoli che “è una questione di giorni: deve lasciare, c’è da capire solo quando”. Intanto in settimana, quando il calendario delle mozioni avrà preso un verso si arriverà al voto. “E allora in quel momento saremo in Aula”, ride il leghista Stefano Candiani, che si è tenuto lontano dall’emiciclo. Poi quando arriverà il rinvio a giudizio per truffa ai danni dello stato probabilmente Palazzo Chigi staccherà la spina. Forse. La mozione, presentata dal M5S, alla fine cade addosso alla premier Meloni. Il Pd – con i deputati Toni Ricciardi e Federico Gianassi – ma anche i pentastellati – con Vittoria Baldino – suonano lo stesso citofono: “La premier è ricattata dalla ministra? Perché non la fa dimettere?”. Anche Filiberto Zaratti di Avs insiste su questo argomento. Elly Schlein in divanetto della galleria fumatori dice: “Non c’è nulla da fare: Santanchè tiene testa a Meloni perché la ministra è la scatola nera del partito”. Giuseppe Conte in Transatlantico aggiunge: “Oggi la maggioranza non c’è in Aula, ma presto dovrà difenderla quando ci sarà da votare la mozione, poi se la ministra lascerà che figura faranno?”.
Notizie di Meloni? Si sa che da tempo non parla con la sua ministra, che le comunicazioni dirette sono ridotte all’osso. Che ha un diavolo per capello. In pieno scontro con la Corte penale internazionale ha Matteo Salvini che vola in Israele e si fa fotografare con il primo Ministro Benjamin Netanyahu, nel mirino dell’Aja, creando scompiglio nella maggioranza. Perché nel frattempo Palazzo Chigi prova a mandare segnali distensivi dopo il caso Almasri, almeno di facciata. Tenendo il punto nel merito del “pasticcio” ma cercando una sponda. Non a caso mentre Salvini è da Bibi esce una nota che chiede “all’Aja di avviare consultazioni funzionali a una comune riflessione sulle criticità che hanno connotato il caso Almasri al fine di scongiurare il ripetersi di situazioni analoghe”. Il trambusto è figlio dell’indagine che la Cpi ha aperto sul governo italiano (già al centro di un’inchiesta in cui sono coinvolti la premier, i ministri Piantedosi e Nordio e il sottosegretario Mantovano) e ora allo studio della camera preliminare dell’Aja. In questo scenario Meloni non vuole mollare su un’altra ciambella che non è uscita con il buco: quella dei migranti in Albania. Per questo la giornata a Palazzo Chigi è attraversata dagli incontri tecnici fra il dipartimento legislativo del governo e quello del Viminale per trovare una via di uscita. La soluzione in cottura è la trasformazione dei centri in Cpr purissimi, senza più centri di riconoscimento veloce, osteggiati finora dai giudici. Servirà però un decreto che il governo potrebbe licenziare in settimana senza toccare il protocollo d’intesa con Tirana. In questo modo i centri di espulsione congestionati in Italia invierebbero migranti in Albania. Non proprio la certificazione di un successo. Ecco perché Santanchè riparte per Milano pensando che anche questa è passata e che la priorità al momento non sono certo le sue dimissioni.