La manifestazione dei Patrioti europei a Madrid per "rendere l'Europa di nuovo grande" (Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images) 

l'editoriale del direttore

Contro i nuovi bimbominkia europei

Claudio Cerasa

I patrioti che da non patrioti  si fanno dettare l’agenda dall’estero  dovrebbero suscitare non ironie ma terrore. Il disegno  è chiaro: rompere l’Ue e metterla al servizio di chi vuole indebolire l’occidente. Aprire gli occhi, anche a destra

Nelle chat di Fratelli d’Italia, probabilmente li chiamerebbero i “bimbominkia d’Europa”. E le ragioni per ironizzare sui patrioti europei, che sabato e domenica scorsa si sono sobriamente riuniti tra le castigatissime mura dell’Hotel Marriott di Madrid, in effetti ci sono e sono molte. Tanto per cominciare, i patrioti europei (l’ungherese Orbán, l’italiano Salvini, la francese Le Pen, l’olandese  Wilders, il ceco Babis, il portoghese Ventura) tifano in America per un leader (Trump) che vuole costringere i paesi europei ad aumentare le spese militari (cosa che i patrioti detestano) e che vuole punire con i dazi i paesi europei (cosa che i patrioti non gradiscono). Tanto per proseguire, poi, i patrioti europei considerano come unico faro nella notte il capo di X e di Tesla. Ma gli stessi patrioti sanno che l’unico leader europeo endorsato con forza dalla Decima Musk guida un partito (l’AfD) che persino i patrioti (maggio 2024) hanno scelto di tenere fuori dal proprio circoletto estremista dopo aver definito i follower politici di Weidel (questa settimana in visita  da Orbán) troppo ambigui sul tema del nazismo.

    

A tutto questo, poi, si potrebbe anche aggiungere (a) che il patriota in chief (Trump) considera come interlocutrice privilegiata in Europa una leader (Meloni) che i patrioti osservano con sospetto (e disprezzo) per via delle sue posizioni filoucraine e che gli stessi patrioti (b) considerano male assoluto la stessa leader (von der Leyen) che a Bruxelles ha ricevuto la fiducia del partito (FdI) con cui è alleato uno dei principali patrioti (la Lega).

 

Contraddizioni a parte (qualcuno dovrebbe poi spiegare al patriota Salvini che chiedere meno Europa in Italia in un momento in cui l’Italia si tiene a galla economicamente soprattutto grazie ai soldi europei del Pnrr è sconclusionato più o meno come guidare con la testa rivolta verso sud un partito che nasce per tutelare il nord), la verità  è che i “bimbominkia d’Europa” (BdE) mai come oggi meriterebbero di essere presi sul serio per alcune ragioni non secondarie.

  
BdE non si limitano a voler adottare un pugno più duro nei confronti dell’immigrazione (avere meno solidarietà, per alcuni paesi come l’Italia, significa avere più immigrazione, non meno immigrazione) ma sono lì di fronte a noi a spiegare i motivi per cui tutto ciò che oggi ci protegge dalle minacce esterne meriterebbe di essere smantellato con forza. I BdE, facendosi eterodirigere in modo poco patriottico da un imprenditore straniero (Musk) e da un leader non europeo (Trump), vogliono la fine dell’Europa sovrana, vogliono la fine dell’integrazione europea, vogliono indebolire gli argini che hanno permesso all’Europa di proteggersi dalle interferenze straniere, vogliono combattere la globalizzazione e difendono una forma di pacifismo farlocca, autodistruttiva, all’interno della quale la difesa delle democrazie diventa secondaria e all’interno della quale la priorità massima è usare ogni mezzo a disposizione per trasformare l’estremismo, compreso quello putiniano, come unico argine all’ideologia woke, ai burocrati di Bruxelles, ai figli di Soros.

 

L’attivismo dei bimbominkia d’Europa si scrive Mega, Make Europe Great Again, ma si legge Mepa: Make Europe Putinian Again. E il modo peggiore per combatterli è chiudere gli occhi, scherzare sulle loro contraddizioni e non prendere sul serio il tentativo della Decima Musk e dell’internazionale putiniana di avere dei cavalli di Troia con cui provare a indebolire l’occidente iniziando a distruggere un sogno di libertà chiamato Europa.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.