(foto Ansa)

Il colloquio

Gozzi (Federacciai): “Meloni faccia ragionare Trump. Deregulation peggio dei dazi”

Luca Roberto

Il patron di Duferco: "L'Europa non può più continuare a essere un erbivoro in una giungla di cannibali. Molti imprenditori italiani pensano di investire negli Usa per le condizioni favorevoli: è un bel problema. La premier aiutando l'Europa deve fare gli interessi italiani"

A me quello che preoccupa di più, al di là dei dazi, è la deregulation di Trump. Ci sono tanti imprenditori italiani che guardano sempre più agli Stati Uniti come un luogo dove investire. E’ un problema gigantesco, a mio avviso ancor più preoccupante del tema dei dazi. Spero che Meloni, che con Trump ha un rapporto privilegiato, riesca a farlo ragionare”. Lo dice con grande franchezza, parlando col Foglio, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi. Alla guida di Duferco, uno dei giganti della siderurgia italiana, Gozzi potrebbe essere direttamente affetto dalle dichiarazioni del presidente americano dei giorni scorsi. “Stiamo cercando di capire, in concreto, cosa significhino questi nuovi dazi al 25 per cento sull’import di acciaio e alluminio negli Stati Uniti. Lo scenario più prudente è quello secondo cui è una proroga di misure già in atto, e che in effetti hanno già portato a una drastica riduzione del nostro export negli Usa, che è passato dalle circa 600 mila tonnellate nel 2018 a meno di 200 mila tonnellate nel 2024.  Lo scenario peggiore prevede invece un raddoppio dei dazi. In quest’ultimo caso, sarebbe un bel guaio”. Una situazione a tal punto critica che secondo Gozzi “dovrebbe portare l’Unione europea ad avere una strategia più elaborata della semplice ritorsione. Io credo che non si possa più continuare a essere degli erbivori in una giungla di carnivori. Dipendiamo dal commercio internazionale ma facciamo troppo affidamento sui meccanismi di fair trade, che sono debolissimi. Per questo più della semplice ritorsione dobbiamo sederci a negoziare”. A maggior ragione perché degli errori evidenti, a livello europeo, ci sono stati. “Un anno e mezzo fa si è persa una grandissima occasione per creare, insieme all’amministrazione Biden, una grande area di libero scambio che comprendesse, oltre a Stati Uniti ed Europa, anche Australia, Giappone e Corea del sud. Fu rifiutata soprattutto per l’opposizione dell’allora commissario Dombrovskis e della Germania”, racconta ancora Gozzi, che è anche nell’ufficio di presidenza di Confindustria con competenze sul Piano Mattei.

 

Proprio in questo quadro di interessi nazionali che spesso sovrastano quelli europei, che ruolo può svolgere l’Italia e la premier Giorgia Meloni? “Le regole europee non prevedono accordi singoli, perché altrimenti si rompe il mercato unico. Per questo è chiaro che Meloni dovrà lavorare per l’Europa”, analizza il presidente di Federacciai. “Tutt’al più una cosa che può fare Meloni, in ragione di questo rapporto privilegiato con Trump, è convincerlo a ragionare. Partendo dal dato di partenza che con gli Stati Uniti abbiamo un surplus commerciale di 260 miliardi di euro e le scelte di Trump minacciano di ridurre questo surplus. Dobbiamo fare di tutto per limitare i danni, perché come Italia il libero commercio è essenziale al nostro modello economico. La domanda estera cresce da anni. Nessun altro paese ha un complesso industriale come il nostro. Ragion per cui la reciprocità delle misure deve funzionare davvero. Il lavoro a fianco delle istituzioni europee  non significa che non si possa essere critici nei confronti di chi ricopre incarichi di governo a livello comunitario. Visto che è stata la stessa von der Leyen a metterci la faccia sulla sciagura del green deal, i cui effetti, diretti e indiretti, hanno messo in crisi il 25 per cento dell’industria europea. E che si ripercuoteranno di qui ai prossimi anni con risultati che ancora non immaginiamo”.

 

In sostanza, aggiunge ancora Gozzi, “il ruolo di Meloni deve essere quello di chi aiutando l’Europa aiuta l’Italia. Cercando, contemporaneamente alla partita dei dazi, di guardare anche all’apertura di nuovi mercati. Per esempio quelli a sud del Mediterraneo. O nel Golfo. Latitudini in cui ci muoviamo meglio di chiunque altro per competenze culturali e non solo”. Tenendo a mente che per ora di risposte europee non ce ne sono state ancora. “Un cambio di passo non l’ho ancora visto”, aggiunge Gozzi al Foglio. “La questione dei dazi non è isolata ma si inserisce in un rapporto sempre più sfavorevole nei confronti di Usa e Cina. L’Europa non può reagire nel mainstream, c’è bisogno di soluzioni nuove”.

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  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.