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Il retroscena
Meloni teme una crisi di Salvini e dice ai capigruppo: "Non prendiamo transfughi dalla Lega"
I timori dei vertici di FdI sulla tenuta interna del vicepremier: davanti alle iniziative del Carroccio, la linea di Palazzo Chigi è di abbozzare. Oggi possibile vertice di governo
I vertici di FdI sono preoccupati per Matteo Salvini. Temono che la leadership del leghista possa scricchiolare di paripasso con i risultati non più sfavillanti del Carroccio. Uno scenario da evitare e che potrebbe destabilizzare l’esecutivo aprendo una porta sull’abisso. Altro che tentazione di voto anticipato: la chiacchiera che gira in Transatlantico sulla scia dei mille e forse troppi fronti aperti da Palazzo Chigi con procure e servizi è che questa opzione sia fuori dai radar del presidente del Consiglio. Che sulla stabilità dell’Italia ha costruito una narrazione forte: in patria e soprattutto all’estero. D’altronde se si osserva la foto dei leader del G7 a Borgo Egnazia della scorsa estate e si fa un salto nel presente, molti protagonisti sono cambiati o non sono messi bene. Il problema dunque è un altro: fare in modo che gli alleati di governo non vadano in sofferenza.
Se Forza Italia, con Antonio Tajani patisce una proiezione esterna nei nuovi rapporti con gli Usa ma in casa gode di buona salute, lo stesso discorso non si può dire per Salvini. L’attivismo esasperato del capo del Carroccio è una spia di malessere, secondo la Fiamma magica che governa Palazzo Chigi. E non va sottovalutata perché se dovesse implodere una gamba della coalizione allora si metterebbe male per tutti. Ecco perché l’offensiva del vicepremier su condono, viaggi in Israele e meeting a Madrid con i Patrioti non è percepito come un atto di guerriglia da FdI e dal capo del governo. O meglio: è il male minore, viene capito, tollerato proprio in ottica di stabilità. In questa fase l’ordine di scuderia, da via della Scrofa, è di evitare qualsiasi scontro frontale con la Lega: non solo perché sarebbe facilmente vinto visto il rapporto di forza. E quindi se per esempio Salvini a sorpresa appoggia Giovanni Malagò alla guida del Coni fino al 2026, nonostante la contrarietà del ministro dello Sport Andrea Abodi, non è un problema. Così come l’uscita di Claudio Durigon, vicesegretario della Lega, contro il governo e il ministero della Giustizia sul caso Almasri: “Gli avvisi di garanzia sono stati inopportuni, ma andava messo il segreto di stato”. Per i meloniani della cerchia che conta “Matteo va in un certo senso, non diciamo coccolato, ma sicuramente non ostacolato eccessivamente”. Motivo per il quale per esempio lasciare la regione Veneto alla Lega è un’opzione che rientra in questo sentimento. Così come alla fine è probabile che qualche piccola bandierina sul fisco, ultima battaglia made in Via Bellerio, sarà concessa a Salvini. Di cui fino in fondo nessuno conosce le reali intenzioni, al di là del marchio di fabbrica del Papeete che gli è rimasto addosso dal 2019, come emblema di scuffiata, mossa azzardata o capacità di far saltare il tavolo (con pessime conseguenze). Meglio dunque evitare tensioni, lasciando all’alleato uno spazio vitale di manovra – molta è comunicazione fine a se stessa – evitando così il controcanto che fino a poco tempo fa riempiva i retroscena dei giornali (genere che Meloni, come si sa, non ama). Oggi la premier, Salvini e Tajani dovrebbero vedersi per fare il punto sull’elezione dei giudici della Corte costituzionale. L’appuntamento rientra nella consuetudine del pranzo settimanale – ancora non confermato – voluto dall’inquilina di Palazzo Chigi per cercare di fluidificare i rapporti della maggioranza, vis à vis, lontani dalle schermaglie quotidiane della “Roma montecitoriale”. Questa dinamica di pax e armonia, almeno nelle intenzioni, può durare lo spazio di un mattino, certo. Ma l’intenzione è questa, da parte di Meloni. La quale, più che altro, percepisce il fastidio crescente di Forza Italia verso la Lega, e viceversa, in questa perenne lotta per il secondo posto della coalizione. Tajani anche ieri davanti allo stato maggiore del suo partito ha dato l’impressione di avere pensieri lunghi, continua a parlare di 20 per cento, ha bocciato la proposta di Salvini sulle cartelle esattoriali pensando che sia meglio abbassare la pressione fiscale attraverso la riduzione dell’aliquota Irpef. Meloni in questo quadro sta al centro, consapevole di dover cedere un po’ anche agli altri commensali. Si spiega anche così, per esempio, il sostanziale via libera informale arrivato a Maurizio Lupi, leader di Noi moderati, come candidato sindaco di Milano: il centrista ha in tasca l’ok di Meloni, dice, e non ne fa mistero, poco preoccupato dal muro leghista. Nell’operazione “coccoliamo Matteo” c’è anche un altro dettaglio, non secondario: ai capigruppo di Camera e Senato di Fratelli d’Italia, così come nelle regioni, è stato detto in maniera esplicita di non accettare transfughi del Carroccio, nonostante le richieste siano frequenti.