Protesta del Pd alla Camera durante l’informativa dei ministri Nordio e Piantedosi sul caso Almasri (Foto Roberto Monaldo / LaPresse)  

L'editoriale del direttore

Perché il dibattito sul caso Almasri è una finestra sulla forza della nostra democrazia (ascoltate Cassese)

Claudio Cerasa

Il Dis attacca stampa e procura. Ma, pasticci e denunce a parte, il caso del generale libico ha costretto l'Italia e il Parlamento a immergersi in una discussione fenomenale sui limiti del diritto internazionale e della ragione di stato, sul primato della politica, sul ruolo delle corti internazionali e sulla trasparenza. Meglio scannarsi su questo che su Peppa Pig

La chiave potrebbe essere questa: più Hegel, meno fuffa. Abbiamo scelto di resistere alla tentazione di commentare una notizia che abbiamo ricevuto ieri, quando le agenzie hanno comunicato l’intenzione del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) di querelare il nostro giornale, in riferimento all’oggetto del viaggio  fatto il 28 gennaio dal capo dell’Aise Giovanni Caravelli in Libia per evitare altri casi Almasri. Abbiamo scelto di non far notare che un Dis che decide, in pochi giorni, di denunciare prima una procura (Roma) e   poi  un giornale (il nostro) è un Dis che rischia come dice il nostro Luciano Capone di entrare in modalità Codacons e di confermare un’impressione rischiosa: la presenza  di  fibrillazioni al di fuori della norma. Abbiamo deciso, vista la stima per quello che l’intelligence fa  ogni giorno quando non si fa notare,  di limitarci a registrare senza polemiche la  nota del Dis (le nostre fonti sono buone, ma alla ragion di stato siamo affezionati e prendiamo atto che  il capo dell’Aise, secondo quanto riferito ieri da Alfredo Mantovano, non è andato a Tripoli per svelare  i nomi  dei ricercati libici dalla Cpi). E così abbiamo scelto, per restare sul caso, di concentrarci su un dettaglio più controintuitivo che riguarda una questione non esplorata nella pazza storia del generale Almasri, il famoso libico con a carico un mandato di arresto della Corte penale internazionale goffamente rimpatriato dall’Italia in Libia tre settimane fa.

 

Il dettaglio ce lo ha fatto notare il nostro amico Sabino Cassese pochi giorni fa evocando, rispetto al caso Almasri, una formula hegeliana: l’immane potenza del negativo. I pasticci sul caso del generale libico sono stati infiniti, questo è evidente, e dal momento in cui il governo ha scelto di non adottare lo scudo del segreto di stato, non coinvolgendo il Copasir per spiegare la ratio delle sue azioni, si è trovato inevitabilmente in una situazione ingestibile: spiegare, in modo trasparente, in Parlamento una decisione dalla cui non trasparenza dipende anche la sicurezza nazionale. Pasticci a parte, però, il caso Almasri ha prodotto anche effetti incredibilmente positivi e ha costretto un paese intero e un Parlamento intero a immergersi in una discussione a suo modo fenomenale, distante anni luce dai tempi in cui in Aula si dibatteva di Peppa Pig. In questi giorni si è discusso dei limiti del diritto internazionale,  del perimetro del primato della politica, dei confini della ragion di stato, del ruolo delle corti internazionali, del diritto di un governo a non essere sempre trasparente. E si è discusso persino di quelli che possono essere i confini del garantismo. Per dirne una: che margini di azione ha un governo quando le indagini internazionali contro un sospettato si trovano  nelle fasi preliminari, “pre-trial”? Per dirne un’altra: che margini di azione ha un governo quando le carte che arrivano dalla Cpi rientrano all’interno del cosiddetto “dovere di cooperazione”, come era il caso Almasri, e non all’interno del cosiddetto “obbligo d’esecuzione”, come non era il caso Almasri?

 

Ascoltate il professor Cassese. “Il punto è tutto qui. Non esiste nel mondo un’autorità con poteri così estesi e superiori agli stati, tale da imporsi a questi ultimi. Quindi, il diritto internazionale deve affermarsi innanzitutto nelle coscienze e nelle culture dei cittadini, abituati finora a riconoscere gli stati come autorità sovrane. Per questo anche la vicenda Almasri è a suo modo istruttiva, perché è stata l’occasione per una discussione collettiva, una grande scuola di diritto internazionale. Ancora una volta si dimostra quel che Hegel chiamò l’“immane potenza del negativo”. Quello che è accaduto ha svolto la stessa funzione delle “pietre d’inciampo”, un’idea di un artista tedesco perché le persone ricordassero”. Occuparsi dei segreti in segreto, rivendicare il primato della politica senza vergogna, difendere il diritto di uno stato a non essere trasparente, mostrare la forza di un sistema più con i fatti che con le denunce. Più Hegel, meno fuffa.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.