L'intervista

Elisabetta Sgarbi: "La nomina di Foa nel cda della Scala? Se si tratta di trumpismo, è un passo indietro"

Ginevra Leganza

La fondatrice de La nave di Teseo e direttrice artistica de La Milanesiana commenta le ultime nomine del Mic alla Scala: "Mi rammarica che non sia stato nominato Francesco Micheli un uomo competente. Se la fiducia ha la meglio sul merito, spesso, è un boomerang"

“Conosco molto bene Melania Rizzoli e molto poco Marcello Foa, se non per alcune sue affermazioni che non condivido”, dice. “Ma quel che mi rammarica di più – aggiunge – è l’assenza di Francesco Micheli dalle nomine nel cda del Teatro alla Scala. Micheli è uomo che incarna competenza sulla materia, conoscenza, amore per il teatro e, non ultimo, capacità gestionale”. Parla così, al Foglio, Elisabetta Sgarbi, fondatrice de La nave di Teseo, direttrice artistica della Milanesiana – e milanese in pectore – che dalle ultima nomine nel cda del Teatro alla Scala non pare ammirata. Vuoi per l’assenza di Micheli, il finanziere che nell’edificio in cui abita ha dato asilo alla sua coraggiosa creatura editoriale – La nave di Teseo nel 2015 – vuoi per quel che Sgarbi spera non sia uno sfregio alla competenza nonché un passo in direzione del trumpismo con la nomina di Foa. “Trumpismo che non so bene cosa sia – precisa – e questo è un problema, ma che rappresenta in generale un passo indietro”. A tal proposito, dopo Barbara Berlusconi (in quota Forza Italia), e insieme a Melania Rizzoli (voluta dai Fratelli), è Marcello Foa (per la Lega) il nuovo membro del cda del teatro. La nomina arriva direttamente dal ministero della Cultura, che tesse le varie anime del governo. Quella a trazione liberale (o liberal) impersonata dalla terzogenita del Cav., quella meloniana con Melania Rizzoli (animatrice dei cenacoli milanesi di destra con Vittorio Feltri), e infine l’anima filorussa e trumpista con Foa. Marcello Foa – lo ricordiamo – che fu presidente della Rai sotto il governo Conte I e che negli anni non ha mascherato l’amore per Mosca, il disprezzo per gli Usa di Obama e Clinton, un certo sdegno per i vaccini e per l’Oms, l’endorsement a Donald Trump. Ed ecco: “Mi auguro che le nomine non rappresentino un’adesione a quest’idea di mondo”, dice Elisabetta Sgarbi. Ma c’è da credere, allora, che rappresentino un banalissimo manuale Cencelli? “Un cda risponde sempre a logiche di spartizione dei poteri. È ovvio”. D’accordo. Ma, nel caso specifico, è possibile tenere insieme mondi tanto lontani? “Sulla carta no. Ma nessuna forza politica si aggrega per una comunione ideale”. E per cosa ci si aggrega, allora? “Le forze si  aggregano nella costruzione del nemico, come scriveva Umberto Eco, e in nome dell’utile più utile. A sinistra considerano più utile stare separati, per la propria sopravvivenza elettorale, e semmai si uniscono a intermittenza. A destra il contrario. Ma né gli uni né gli altri stanno insieme per la rivoluzione liberale o per la redistribuzione della ricchezza. Difatti non accade mai né l’una cosa né l’altra, quando si alternano i governi”. Tornando alle ultime nomine alla Scala, e al suo rammarico per l’assenza di Micheli, ritiene che il merito e la competenza siano state sacrificati in favore della fiducia politica? “Forse. Ma, sa…”. Cosa? “A volte i cda che sembrano meno competenti costruiscono lo spazio di autonomia e libertà utile al direttore per lavorare meglio”. Un paradosso. O come dire: dal male viene il bene. Epperò, alla fine, cosa conta di più: la fiducia o il merito? “Una fiducia cieca, che non tenga conto del merito ma della convenienza, alla lunga è un boomerang. Ma solo alla lunga…”. Invece a stretto giro? “Conta la sopravvivenza. L’utilità immediata. In ogni caso il merito alimenta la fiducia e la fiducia stimola e amplifica il merito. Un cda è un equilibrio delicato”. Un equilibrio che in questo caso funzionerà? “Lo si vedrà alla prova dei fatti. Le sfide non sono poche”.