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Il caso
Migranti, a sorpresa anche la Francia appoggia l'Italia sull'Albania con una memoria alla Corte di giustizia Ue
Il governo di Parigi fra i dodici paesi che sosteranno la posizione di Meloni e Piantedosi davanti alla giudici del Lussemburgo. Intanto Palazzo Chigi pensa a un decreto per uscire dal fallimento
Sorpresa: anche la Francia appoggia la linea italiana sull’immigrazione. E in particolar modo sull’Albania. Secondo la lista consultata in anteprima dal Foglio, la repubblica guidata da Emmanuel Macron con il gabinetto di François Bayrou, risulta tra i paesi – dodici in tutto – che hanno presentato “osservazioni scritte” alla Corte di giustizia europea nell’udienza dibattimentale prevista il prossimo 25 febbraio “riguardante le cause pregiudiziali C- 758/24 e C 759/24 sollevate dal Tribunale ordinario di Roma sulla questione dei paesi sicuri”. Una mossa dal forte impatto politico e diplomatico che Palazzo Chigi e il Viminale si giocano per cercare di uscire dalle sabbie mobili albanesi: un progetto che, a colpi di ordinanze e sentenze, non decolla e che Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi non vogliono affatto mollare. Percorrendo tutte le vie.
La posizione dell’Italia in Lussemburgo – davanti ai 27 giudici che si riuniranno in sessione plenaria – riguarda le procedure accelerate di frontiera che si fanno in Albania che sono previste dal Patto migrazione e asilo destinato a entrare in vigore dal 1° luglio 2026. L’altro contenzioso riguarda i paesi terzi sicuri e poi in udienza verrà portato il documento della presidenza di turno polacca in cui si faceva riferimento agli hub albanesi come modello su cui lavorare. A Varsavia, a margine del Consiglio informale Giustizia e Affari interni, il ministro Matteo Piantedosi aveva chiesto di anticipare l’applicazione di alcune disposizioni del Patto migrazione e asilo, per facilitare il ricorso alle procedure accelerate di frontiera, come quelle previste nel Protocollo Italia-Albania “riscontrando un’ampia convergenza sulle posizioni italiane”.
Tra gli argomenti sul tavolo, anche l’interpretazione della sentenza della Cassazione alla Corte di giustizia europea. Un’interpretazione che, secondo fonti del Viminale consultate da questo giornale, ribadisce che “l’elenco dei paesi sicuri lo fa il governo e che il giudice ordinario può intervenire nei singoli casi specifici disapplicando la normativa quando c'è una manifesta violazione delle norme europee o quando il richiedente asilo dimostra di vivere una situazione di pericolo nel paese di origine”.
Dodici paesi presenteranno, come detto, una memoria scritta a sostegno dell’Italia, altri tre lo faranno per via orale. La spinta alle politiche del governo Meloni è figlia della lettera dello scorso maggio in cui 14 stati membri scrissero alla Commissione europea per chiedere “nuove misure da affiancare al Patto sulla migrazione appena varato inserendo anche gli hub per rimpatriati in paesi terzi”. Come appunto l’Albania. A differenza di quel documento – a cui non aveva aderito la Francia, così come la Germania e la Spagna – questa volta c’è Parigi. In compagnia dei governi di Sofia, Praga, Copenaghen, Tallinn, Atene, Nicosia, Riga, Vilnius, La Valletta, L’Aia, Vienna, Varsavia, Bucarest, Helsinki. Ovvero: paesi del sud, dell’est e del nord, ognuno con le proprie priorità sul piano della gestione dei flussi migratori. Davanti alla corte del Lussemburgo da quanto apprende il governo italiano potrebbe esserci anche un parere contrario alla posizione di Roma: gli occhi sono puntati sul Portogallo. E non sulla Germania che, pare, non si sia schierata nemmeno questa volta per via delle imminenti elezioni. La via giudiziaria in Europa corre su un binario parallelo rispetto all’intervento normativo che ha in animo il governo per cambiare totalmente approccio alla finora fallimentare vicenda albanese. Gli uffici legislativi di Palazzo Chigi, Viminale e Farnesina sono al lavoro per produrre un decreto che possa in qualche modo far vedere all’opinione pubblica che “lo spreco di risorse”, come ha detto la leader del Pd Elly Schlein, si appresta a una svolta. Anche perché sui tempi dell’organismo europeo nessuno è in grado di fare pronostici. Ecco perché si pensa a un decreto – o un disegno di legge, più difficile – che converta le strutture in centri di permanenza per i rimpatri. In poche parole: le strutture di Gjder e Shengjin fossero trasformate in Cpr, lì non verrebbero più trasferiti i richiedenti asilo salvati dai pattugliatori della Marina nelle acque internazionali del Mediterraneo, in attesa delle procedure di frontiera accelerate, ma diventerebbero centri per gli irregolari già presenti in Italia e su cui pende un decreto di espulsione. Un escamotage che eviterebbe il passaggio dai giudici per la convalida del trattenimento nelle strutture – negato in tre occasioni con conseguente scorno del governo Meloni, premier in primis – che è invece obbligatorio nel caso di richiedenti asilo. Ma la notizia resta il sì, anzi oui, della Francia al modello albanese.