Il racconto

Salvini, il brutalista. Non risponde ai messaggi di Meloni. Vuole Borghi al posto di Romeo, che dice: "Chiedo cambio di linea Lega"

Dopo le cartelle rilancia sulle soprintendenze. FdI ora dice: "Per l'offesa delle nostre chat torna a chiedere il Viminale"

Carmelo Caruso

Fa depositare ai suoi il testo taglia soprintendenze: dopo 30 giorni si procede con il silenzio assenso. Fa ancora l'offeso  e si lamenta dei suoi, del sottosegretario Morelli che non lo aiuta sul dossier Ponte sullo Stretto

Si è dato al brutalismo come l’architetto interpretato da Adrien Brody. Non risponde ai messaggi di Meloni, che gli chiede ancora “scusa” per la chat di FdI,  Salvini “bimbominchia”, accarezza, ancora,  il Viminale come riparazione. Intende farsi pagare l’offesa con la legge sulle soprintendenze, che ripresenta, e finita sulla scrivania del Foglio. E’ entrato nel mese del Salvini cemento armato. Non vuole sentire scuse dal suo sottosegretario Morelli, che non si spende  abbastanza per il Ponte sullo Stretto, e non vuole sentire parole come quelle che ci dice, alla Camera, Max Romeo: “Al congresso  ho intenzione di chiedere un cambio di linea politica. La Lega non è un partito di destra-destra”. Brutalmente: Salvini vuole cambiare, lui, Romeo, e al suo posto mettere Claudio Borghi, The basettonist. 


Gli hanno dato l’occasione di fare il duro, lui che come canta Luciano Corsi, la sorpresa di questo Sanremo Rai, era il Salvini che “se faccio a botte le prendo”. Mercoledì, quando Romeo si è messo a urlargli contro, dicono che sia rimasto imperturbabile e abbia poi ordinato: votate. Pochi minuti prima, il vice, Andrea Crippa, su mandato del segretario, aveva chiesto di espellere tutti i vecchi leghisti di Patto per il Nord, l’associazione di Paolo Grimoldi, parlandone come sabotatori, “non solo di Salvini, ma anche di Attilio Fontana, perché se contesti Trenord, come è accaduto, contesti la regione, contesti anche Attilio”. Hanno messo ai voti la proposta e Romeo ha perso. Ma perché alzare la voce? Alla Camera, per l’elezione, avvenuta, dei giudici costituzionali, Romeo conferma che è vero che si è lasciato prendere ma solo per passione, per “non frustrare la militanza, per non farne dei martiri”. Ma lei, Romeo, cosa vuole? “E’ stato Salvini a dire che la Lega non è una caserma e dunque io seguo la sua regola. Nella Lega si può parlare, discutere”. E di cosa? “Della linea da seguire, dei programmi. La Lega non è un partito di destra-destra. E’ la Lega. Stiamo a destra, ma bisogna ragionare su quale destra. Al prossimo congresso ho intenzione di sollevare la questione”. Un deputato lombardo, che lo sente, viene a ricordarci: “Parla lui che è un ultrà cattolico, di destra. Ha alzato la voce perché aveva promesso a Grimoldi di rientrare in Lega ma ora non può mantenere tutte le promesse. Ecco ora parla”. Parlano tutti. In Transatlantico, poco lontano, Matteo Renzi annuncia che punterà Giorgetti e che presto chiederà a Meloni e Salvini la lista di “tutti coloro che prendono l’aereo di stato, non solo Lo Voi” e che “Paolo Gentiloni ed Enrico Letta dovrebbero smetterla di andare in giro per l’Europa a dire che Meloni è brava. Con lei siamo il paese di Pulcinella”. Tajani, con la giacca a vento Canadian, ripete che “adesso che si sono votati i quattro giudici della Corte costituzionale, si può provare con la Agnes presidente Rai, figlia di chi ha creato il Tg3”. Per farla eleggere, Forza Italia avvisa la presidente della Vigilanza, Floridia, del M5s, che chiederà lo scioglimento della sua Commissione, e che lei perderà presto la poltrona e, ignominia massima, offerta al Pd. Marameo. Gasparri per oliare meglio la scelta ci dice: “Chiara Appendino ha rotto il cazzo, parla di giustizia lei che è condannata”. Chiediamo a Tajani, ministro, ma lei ha mai parlato male di Salvini, lo ha mai definito “bimbominkia”? E lui: “Mai, ho parlato male solo di Minzolini, ma a Minzolini lo dico a voce”. E’ già ora di pranzo, e mentre si va al Pastation, a piazza in Campo Marzio, focaccia e amatriciana da premio della critica, viene incontro un deputato di FdI che la lancia: “Con il pretesto della chat, Salvini chiederà il Viminale, un’altra volta ancora. Chiagne e incassa”. Ha puntato un’authority pesantissima, Arera, l’autorità di regolazione rete e ambiente, per consegnarla a Paolo Arrigoni, ex senatore e oggi presidente di Gse, ed è probabile che Meloni gliela consegni con tanto di “Scusa, Matteo”. E’ brutalista a cominciare dal ddl che verrà presentato ufficialmente lunedì, il ddl promesso sulle soprintendenze e che introduce “il meccanismo di silenzio assenso: se il parere della soprintendenza non viene reso entro 30 giorni, si considera automaticamente favorevole”; “il parere delle soprintendenze, attualmente vincolante, diventa obbligatorio, ma non vincolante, lasciando discrezionalità agli enti locali”. E’ brutalista, infastidito anche da Alessandro Morelli, il sottosegretario che vola a Sanremo (lo hanno visto la prima sera all’ Ariston, in smoking) anziché accelerare sulle opere con il via libera del Cipess, il comitato interministeriale.  Salvini si sfoga con i suoi leali e dice che i leghisti gli chiedono tutti qualcosa, gli chiedono nomine a Rfi per le loro vecchie fiamme, gli sponsorizzano amministratori delegati, direttori, si permettono pure di rompergli le scatole a casa sua, di suggerirgli chi deve nominare alla holding di Ferrovie. Dopo il congresso della Lega che vincerà, perché anche Romeo garantisce, “il candidato unico sarà Salvini”, vuole sostituire il capogruppo al Senato, Romeo, con Borghi, un altro che gli è fedele, che lo asseconda, come Durigon, che dice “si è battuto da laziale per far vincere la Ceccardi, ha fatto gioco di squadra”. Salvini può tornare a fare il duro, il brutalista, prendere ancora tempo, cantare il ritornello di Lucio Corsi: “Se faccio a botte le prendo/ ma non ho mai perso tempo/ è lui che mi ha lasciato indietro”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio