Il caso

La forbice di Meloni fra l'Ue e Trump. E Foti critica l'iniziativa di Macron a Parigi sull'Ucraina

Simone Canettieri

I dubbi della maggioranza sulla risposta militare in caso di pace. Il ministro degli Affari europei: "L'Europa deve sedersi al tavolo, ma serviva una risposta unitaria di tutti gli stati membri"

Il pendolo di Marina, la forbice di Giorgia. Se la primogenita del Cav. scuote Forza Italia su trumpismo ed Europa, la premier è in una posizione poco invidiabile. Il ruolo di pontiere fra Bruxelles e l’America lambisce l’azzardo. “Il tavolo di pace senza l’Europa è squilibrato perché la Ue ha investito su Kyiv, ma allo stesso tempo una posizione che nasce da pochi paesi, a Parigi, permette agli esclusi dei distinguo e ci indebolisce”, ragiona Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei.  

 

Fratelli d’Italia si trova dunque fra l’incudine e il martello, come la sua leader. La sintonia politica con il nuovo inquilino della Casa Bianca spingerà – come d’abitudine – una delegazione composta da Antonio Giordano, segretario generale di Ecr, e Carlo Fidanza, europarlamentare e vicepresidente dei conservatori, a volare a Washington al Conservative Political Action Conference 2025 (Cpac) a cui parteciperà anche Donald Trump, ospite d’onore e padrone di casa. Ma con quali propositi? “Un’occasione per confermare la sintonia tra conservatori e repubblicani e la naturale collaborazione tra gli Usa e l’Europa”, spiega una nota di Via della Scrofa. Tuttavia la situazione è molto più complessa. “La conferenza di Parigi è inutile e non farla a Bruxelles, magari convocando un Consiglio europeo straordinario, ha dimostrato la debolezza di questa Europa”, dice il deputato di FdI eletto nella circoscrizione Esteri, Andrea di Giuseppe, uno dei pochi, se non l’unico, ad avere da tempo contatti solidi con il trumpismo, a partire dal grande capo. Mentre tutto va veloce, e Meloni è all’Eliseo per la conferenza sull’Ucraina, c’è la sensazione che il Parlamento, abbastanza affollato per votare l’ennesima fiducia, non colga l’urgenza del momento. E soprattutto la risposta. Come dovrebbe muoversi l’Italia davanti a un possibile accordo di pace? Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera big di Forza Italia “tendenza Marina” e già sottosegretario alla Difesa, offre ragionamenti densi di realismo: “Al momento disponiamo di circa 8.200 militari sparsi per le missioni nel mondo: ne servirebbero il triplo. Come gli equipaggi che hanno i francesi sulle loro navi: il triplo dei nostri. Una riflessione andrebbe fatta anche sui nostri mezzi e soprattutto in quasi due anni e mezzo cosa ha fatto l’Europa per costruire una forza comune?”. 

 

Secondo il ministro Foti, Roma potrebbe mettere disposizione “4-5mila uomini” per un’eventuale operazione comune in Ucraina, magari sotto la bandiera dell’Onu. “Il fatto – aggiunge Mulè – è che la stessa sinistra che accusa Meloni di non essere centrale fa una battaglia per non aumentare le spese militari per la difesa comune: un cortocircuito da cui non se ne esce”. “Se dobbiamo muoverci come cuscinetto, tutta l’Ue deve essere coinvolta, ma anche l’Inghilterra deve fare la sua parte”, ragiona ancora Foti con il suo staff prima di partecipare a un vertice europeo a Varsavia. 

 

I dubbi di Meloni prima del vertice di Parigi serpeggiano dentro la compagine governativa di Fratelli d’Italia, con Lega e Forza Italia tagliati fuori dal dibattito. Il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ieri ha preferito il silenzio – salvo annunciare la sua presenza al Giubileo degli sbandieratori e un tour elettorale ai Castelli romani – restando convinto che serva una voce dell’Europa e che nessuno, dunque gli Usa, possa parlare “a nome nostro”. Spaesamento e impotenza, da destra a sinistra, sono abbastanza tangibili in Transatlantico, almeno fra i deputati di maggioranza e opposizione in versione “Zattera della medusa”. Meloni resta in una forbice, soddisfatta, questo sì, dalle parole del commissario all’Interno Magnus Brunner alla vigilia della sua visita in Italia sul sostegno del protocollo Italia in Albania con “regole più severe” sule norme che riguarderanno i rimpatri. Una nota positiva per la premier alle prese con un caos affatto calmo.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.