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"La corda" di Meloni e il rapporto con Trump
Il "grande freddo" Meloni-Draghi. Rapporti di cortesia, diversità di vedute
L'ex presidente del Consiglio sferza la Ue, la premier lo evoca di fronte a Macron ma non lo invita a Chigi. Si marca la distanza tra i due. Il fastidio per le parole di Giavazzi
L’altro gettito che aumenta è quello dei suoi fantasmi. Dice Meloni, in un video propaganda, che in Italia è aumentato il gettito fiscale ma, in Europa, cresce chi non la pensa come lei. Torna un Draghi strepitoso, purisssimo, e rivolgendosi agli stati, al governo Meloni, spiega che bisogna abbattere le barriere interne”, e “agire come un unico stato”. Di chiarissimo c’è che Meloni non può più essere chiamata “draghetta” e che Draghi è il suo “non mi somiglia per niente”. Per Draghi, e gli capita di dirlo, a Meloni servirebbe più europeismo, ritiene che sia pericoloso fare i funamboli, camminare, come fa Meloni, sulla corda America-Europa. A Chigi tengono la sua relazione sulla competitività come feltrino fermaporta, mentre i suoi consigli vengono presi in esame come i volantini “si svuotano cantine”.
Meloni sta perdendo l’Europa a Parigi, Tajani, lo perde per strada, in Aula, alla Camera, dove amoreggia, sempre per la Rai, visto da tutti, con Elly Schlein. Ma Meloni sta perdendo anche, e per sempre, l’occasione di dire “Draghi è nostro, italiano”. L’ex premier fa uno dei suoi discorsi migliori, c’è chi si spinge a dichiarare: il migliore di sempre, ancora uno, alla Churchill, per sferzare l’Europa, avvisarla che “il mondo confortevole per l’Unione Europea è finito”, che siamo più soli di un cane in chiesa, “che il tempo non è dalla nostra parte”, che “la risposta deve essere commisurata alla portata delle sfide”, che “velocità, scala e intensità” saranno essenziali, ma Meloni tace. I parlamentari di FdI, alla Camera, non dicono nulla, anzi, al dire il vero, neppure si vedono. E va bene che nessuno dei suoi ha il blasone di Giulio Tremonti, l’ex ministro dell’Economia che aveva Draghi nella stanza accanto, come oggi Meloni ha Fazzolari. Va bene, che nessuno ha l’arguzia, l’ironia dell’ex ministro, che dice, alla domanda, “professore, cosa ne pensa di Draghi?”, e lui, Tremonti, “siamo di fronte a un caso di saggezza retroattiva”. A Palazzo Chigi è stato più ricevuto Pino Insegno che Draghi. In due anni e mezzo una sola visita, di cortesia, dopo che Draghi ha presentato il rapporto sulla competitività, e non si può escludere che stasera, Meloni, tramite i suoi straordinari Fred Buscaglione, provi a far passare la linea “informazione pulita”, spiegarci con Draghi “si messaggia sempre”, che con Draghi gioca a burraco, e che ha preparato il karaoke per cantare insieme a lui la hit di Lucio Corsi, “Volevo essere una dura”. Si è saputo che Meloni, a Parigi, con Macron, Starmer, nella foto che passerà alla storia come lo scatto, “io quei nun ce vojo stà”, lo abbia evocato, un po’ come la maga evocava gli spiriti, quando ha citato, a sua difesa, di fronte a Macron, “conclusioni di importanti personalità europee”, quelle personalità che hanno sferzato l’Europa. Si prende il Draghi che le piace, quello che le canta alla Ue, quello che le fa tenere insieme il diavolo americano Vance e l’acqua Santa(chè), ma dimentica il Draghi che viaggiava con Macron e Scholz a Kyiv, il Draghi che non è mai stato antitedesco, antifrancese. Venerdì, sul Financial Times, c’era un editoriale dell’ex premier sulla concorrenza interna, sugli errori dell’Europa, e quello, ovviamente, dicono che piacesse tantissimo a Meloni perché dimostra ancora che l’Europa è marcia e che, lo spiegavano i migliori dei suoi, “non appena si parlerà di dazi contro l’America, noi solleveremo il tema del dumping interno, dell’Irlanda che fa concorrenza sleale delle big tech”. Giuseppe Conte, che è ultimamente più ammirato della cantante Clara, si può permettere di scherzare, rispondere a chi gli chiede: “Presidente, ha sentito Draghi? Cosa ne pensa del suo discorso, dice che bisogna fare qualcosa” e Conte, che sembra quasi se la sia preparata, “è arrivato il genio!”. Ma lei, Meloni, non può fare spirito come Conte. Adesso ce l’avrebbe anche con Francesco Giavazzi che, è l’amico geniale di Draghi, l’economista che, sul Corriere, ha osato, sommessamente, criticare alcune misure sull’energia, ricordarle, ma il Pnrr che fine ha fatto?. Dietro l’editoriale ci avrebbe visto niente meno che lo spostamento delle banche, del Corriere, “attenti alle pagine economiche”. Anche l’intervista di Marina Berlusconi, nell’armadio fantasmi, sarebbe addirittura opera di un cartello di intellettuali, che l’avrebbero preparata a rispondere al Foglio, una specie di laboratorio composto da Walter Siti e dall’ad di Fininvest, Danilo Pellegrino. Per due anni e mezzo Meloni sorrideva quando leggeva “Meloni sul solco di Draghi” , perché mai Draghi, prima d’ora, aveva parlato così tanto, mostrato che è incociliabile con Meloni. Non si può neppure scrivere, fino in fondo, che adesso tra di loro c’è il grande freddo. Non si sono allontanati, la verità è che non sono mai stati vicini e che è solo finito l’inganno, il momento sconfinato della poesia di Robert Frost: “Ero sedotto dal mio stesso inganno/faggio aggrappato alle foglie dell’altr’anno”.
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