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(foto Ansa)
Il colloquio
Lollobrigida: “Agricoltura, immigrazione e ambiente. Facciamo l'Europa”
"Siamo per un’Unione più politica e meno burocratica”, dice il ministro dell'Agricoltura. L'obiettivo di incidere a Bruxelles, oltre i dazi
“L’Europa deve essere sempre meno una entità burocratica e regolatrice per diventare sempre di più un’entità politica. Il governo lavora a questo obiettivo. In tutti i campi. E ci sono buone ragioni per sostenere che oggi la nostra nazione abbia ritrovato protagonismo in Europa. Sull’agricoltura sta cambiando tutto, per esempio”. Dice così il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, seduto su un divanetto della Camera, nel giorno in cui la Commissione di Bruxelles ha presentato le nuove linee guida della politica agricola europea – “segnando una netta discontinuità con il passato e facendo proprie istanze, idee e proposte italiane”, dice il ministro – e mentre la costruzione europea è sollecitata dagli eventi internazionali e dalla politica americana dell’Amministrazione Trump: dalla questione Ucraina che impone nuove politiche di Difesa, ai dazi che richiederanno politiche europee comuni. “Il governo è impegnato per rafforzare il libero mercato nell’Unione”, dice Lollobrigida. “Che è quello di cui ha bisogno un grande paese esportatore come il nostro”. Ecco. Sono parole significative, visto il contesto protezionistico nel quale stiamo per precipitare. E l’accordo di libero scambio tra l’Europa e l’America del sud, il Mercosur? L’Italia voterà favorevolmente o si opporrà ancora? “Questo trattato è per noi un’occasione, perché permetterebbe di avere un accesso più facile al mercato. Noi esportiamo moltissimo, come dicevo, quindi siamo sempre interessati a un mercato aperto. Tuttavia il nostro voto favorevole è condizionato da alcune rassicurazioni di cui abbiamo bisogno, ovvero che negli accordi non ci siano vittime sacrificali”. Che significa? “Che non ci devono essere settori penalizzati, spinti ai margini. Stiamo lavorando”.
E insomma, vedremo. Ma intanto Lollobrigida è sorridente. Pimpante. Le linee guida europee sull’agricoltura, presentate ieri dal vicepresidente della Commissione Raffaele Fitto e dal Commissario Christophe Hansen, danno l’idea di quanto Giorgia Meloni sia dentro la Commissione. Dentro un patto politico e pragmatico. “Le dichiarazioni di Hansen, che verrà in visita a Roma il 25 marzo, e quelle di Fitto, segnano la completa discontinuità con quanto messo in campo dalla Commissione precedente. Persino dal punto di vista della terminologia. Si parla di ‘sovranità alimentare’ e anche di garanzie a sostegno della produzione. Sono le cose per le quali abbiamo lavorato negli incontri con gli altri ministri dell’Agricoltura. Ed è il frutto di un impegno diretto di Meloni che, il 21 marzo scorso, al Consiglio europeo, assieme alle grandi questioni dell’Ucraina e del medioriente, ha riportato i leader europei a occuparsi di agricoltura dopo decenni di politiche che avevano comportato una riduzione della produzione e del reddito degli agricoltori”.
“Siamo soddisfatti”, ripete allora il ministro Francesco Lollobrigida. “Anche se siamo realisti e consapevoli che adesso alle dichiarazioni dovranno seguire i fatti”, aggiunge. E spiega: “Ci vorranno investimenti sull’agricoltura, intesi non come privilegi per gli agricoltori ma come garanzia ai cittadini di avere cibo di qualità e catene di produzione che siano al riparo da eventi contingenti e traumatici come la guerra in Ucraina o il blocco del canale di Suez” . E allora il ministro elenca tutti i punti del piano europeo che secondo lui qualificano questa nuova fase della politica europea: “Semplificazione normativa, riduzione degli oneri per gli agricoltori, contrasto alle pratiche sleali, reciprocità nelle regole per i paesi terzi con standard più severi su pesticidi e sicurezza alimentare”. Tutte cose che probabilmente, anzi certamente – diciamo noi al ministro – sarebbero state impossibili se Giorgia Meloni si fosse messa fuori, di lato, e non al centro della politica europea. Se non avesse siglato un accordo con Ursula von der Leyen. Se non avesse esercitato potere e influenza. Se insomma avesse fatto come Matteo Salvini o come gli estremisti che in Francia e in Germania rumoreggiano, ma restano fermi su un improduttivo euroscetticismo di protesta. E Lollobrigida, uno che ripete spesso “guardate che noi di Fratelli d’Italia siamo i più pragmatici del mondo”, sembra rispondere, seppur diplomaticamente, che la politica si fa con l’azione, non con la rinuncia o con la sudditanza, che lui tuttavia attribuisce alla sinistra: “Ci hanno riempito la testa per anni parlando di un’Italia che doveva ottemperare a indirizzi europei al motto di ‘senza Europa non si va da nessuna parte’. Cosa che è vera. Ma anche senza l’Italia, l’Europa non va da nessuna parte. Le politiche si costruiscono, non si devono subire. Il governo, con il presidente Meloni, ha scelto di incidere sulle scelte comuni. Bisogna contribuire a realizzare la politica, con lealtà ma anche con determinazione e idee in proprio”. La politica agricola europea si fa più “meloniana”, pare di capire. E forse lo stesso destino avrà la politica europea sull’ambiente con il famigerato “Green deal”. Mentre negli ultimi giorni si sono manifestate molte aperture, tra i paesi dell’Unione, anche nei confronti della politica italiana in materia di immigrazione. “Non lo trovo strano”, dice Lollobrigida. “Semplicemente perché chiunque abbia un minimo di realismo politico non può non essere d’accordo con l’idea che bisogna aumentare il numero di migranti regolari e contemporaneamente fare anche una guerra senza quartiere ai trafficanti di esseri umani e all’immigrazione clandestina. Noi siamo il governo e la nazione che ha preso più migranti regolari di tutti. E’ importante ricordarlo. Solo chi farnetica può chiedere ai paesi europei di dividersi gli effetti devastanti dell’immigrazione clandestina, sull’onda di una malintesa solidarietà, anziché lavorare a canali d’immigrazione regolare che non sono soltanto un gesto di solidarietà reale ma sono anche un metodo razionale di affrontare l’esodo biblico che spinge masse umane dal sud verso il nord del mondo”. E allora, aggiunge Lollobrigida, “è in questo senso che dico che lavoriamo per il rafforzamento di una Unione europea in ottica politica. E non burocratica. Meno regolamenti. Più azione che consenta alle forze vive e produttive della società di partecipare al progresso sociale ed economico del nostro paese e del continente europeo. Il prodotto interno lordo dell’Unione è fermo a dieci anni fa. La crescita cinese si è moltiplicata di circa sedici volte. Un’Europa fragile non serve a nessuno, e soprattutto non serve ai cittadini europei. A est e a ovest dei nostri confini ci sono player internazionali che fanno scelte legittime nel loro interesse. E noi che facciamo?”. Trump mette i dazi. “Ecco, appunto. Noi non possiamo limitarci a regolare e a comprimere con la burocrazia spesso demenziale, dobbiamo avere visione. I dazi sono un problema, è evidente, ma tanti problemi ce li provochiamo anche da soli come quando criminalizziamo il vino o introduciamo il ‘nutriscore’ perché siamo troppo impegnati a regolare piuttosto che a lasciar intraprendere”.