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(foto Ansa)
la premier
Meloni parla al Cpac, ma per dieci giorni la premier ha fatto suo un antico precetto romano: tacere
L'arte del restare in silenzio, ovvero la spontaneità temperata della presidente del Consiglio. Che da giorni non compare in pubblico e non ha ancora detto una parola sull'Ucraina
Non promette certezze fintanto che intravede rischi, le piace decidere e infatti sul piglio sicuro ha costruito la sua immagine, ma sa anche quando non bisogna battere i pugni né pronunciare la parola decisiva. Da circa dieci giorni Giorgia Meloni non compare in pubblico, e non ha detto una parola sull’Ucraina. Non devono esserle piaciute le parole brutali di Trump su Zelensky, ma s’è guardata bene dal farlo sapere. E proprio come nei giorni più complicati del caso Almasri, quando in Parlamento a spiegare mandò Bibì e Bibò, cioè i ministri Nordio e Piantedosi, anche adesso il presidente del Consiglio esercita quell’arte del tacere che può comportare qualche critica di carattere morale, ma che pure ha una sua nobiltà che discende da un antico e assai disatteso precetto espresso nel Settecento dall’abate Dinouart: “Il silenzio politico è quello di un uomo prudente, che si comporta con circospezione, che non si apre sempre, che non dice tutto ciò che pensa”.
Oggi parlerà, Giorgia Meloni, collegata con il Conservative Political Action Conference americano, casa della destra mondiale. Interropendo, con quali contenuti si vedrà, la sua non presenza pubblica. Un silenzio che “finora a Meloni è costato mezzo punto percentuale nei consensi”, dice Livio Gigliuto, presidente dell’Istituto Piepoli. “Ma il ‘costo’ di un’azione o di una non azione politica non si misura soltanto col consenso”, aggiunge. Ed è vero. C’è la politica, ci sono gli equilibri internazionali che possono lanciarti come nuova stella del firmamento o stritolarti in un lampo, quelli che prescrivono valutazioni che vanno fatte perseguendo anche il surplace più per autocontrollo e calcolo, forse, che per una genuina vocazione all’appartarsi. E dunque sospesa tra Europa e Stati Uniti, tra una politica continentale sempre più sua e un presidente americano brutale e vendicativo ma pure amico, Meloni, spesso sospettata d’impeti umorali, ma pure capace di una spontaneità propria dell’ariete, rivela d’appartenere sì all’antropologia della franchezza e della semplicità che sono parte del suo fascino politico e tra le ragioni del suo successo popolare, ma ora lascia anche intendere di sapersi muovere benissimo nell’arte del tacere. Che non è mutismo, ma può essere una risorsa della comunicazione.
Un tratto, questo del silenzio, del saper apparire e scomparire, ma anche del parlare senza dire, che in Meloni è tanto romano quanto la sua schiettezza e immediatezza caratteriale, quanto il suo sorriso o il suo broncio improvvisi e istintivi: è la cifra di chi ha navigato nella politica della capitale, città dei presidenti e dei cardinali, di chi ha impostato felpate partite sul biliardo della vita di Palazzo, nei vicoli del potere, e praticato sin quasi da bambina quel gioco fasciato di delicate sordine in cui – non a caso – i politici romani eccellono ancora oggi assai più dei fiorentini come Matteo Renzi, tutto impeti e scatti fulminei, capace di lanciarsi quasi senza paracadute, o dei milanesi come Matteo Salvini, dichiaratore pronto uso e trapezista provetto, o come Silvio Berlusconi, il grande impresario che fu uomo babele, dove cento lingue fanno chiasso insieme, geniale, fantasioso ma anche incontenibile. Solo nella bocca chiusa, d’altra parte, non entrano le mosche. Lo sapeva bene Giulio Andreotti, e lo teorizza (e pratica) anche Paolo Gentiloni. Entrambi, non a caso, romani come Giorgia Meloni. Così nel momento di maggiore difficoltà il presidente del Consiglio rivela questa risorsa certamente intima oltre che pubblica, un carisma – quello del silenzio – di cui pochissimo si scrive. Ma tacere non vuol dire che non ci siano angosce, rabbie, paranoie, esagerazioni. Al contrario. E’ proprio da tali insidie che deriva l’opportunità di utilizzare questo speciale strumento scansa grane, l’arte di sparire e restare nell’ombra se non addirittura sospesi, appunto, muti se necessario, capaci di parlare senza nulla dire, quando serve. Dopo il caso Abedini, dopo il caso Almasri, dopo la storia di Paragon, a Palazzo Chigi si sono diffusi sospetti, interrogativi oscuri e ricostruzioni delle più svariate e allarmate: ci sono di mezzo i servizi segreti tedeschi e inglesi, è in atto un boicottaggio straniero... Ma non una di queste congetture, di queste ricostruzioni, di queste paure è precipitata fuori dalla bocca del presidente del Consiglio, che è assai più accorta e prudente di quanto la sua immagine pubblica forse non lasci sospettare. E dunque anche adesso, in bilico tra Europa e America, ben sapendo che nei momenti di passaggio e di crisi lo spirito, se non soffia dove vuole, si rifugia dove può, Meloni ha scoperto la trincea del dire senza dire, il silenzio, come quel personaggio di Pirandello, Serafino Gubbio operatore: “Io mi salvo, nel mio silenzio, col mio silenzio, che m’ha reso così come il tempo vuole: perfetto”.