Europa, svegliati

Le democrazie minacciate dalle autocrazie (e l'Italia che fa?). Dibattito in Senato

Marianna Rizzini

Il terzo anniversario della guerra, Trump, la Germania, il ruolo dell'Occidente

È il terzo anniversario dell’invasione russa in Ucraina ed è anche il giorno in cui, all’Onu, gli Usa votano come la Russia contro l’integrità territoriale del paese invaso. L’Europa che fa? L’interrogativo attraversa il vecchio continente all’indomani delle elezioni tedesche e percorre anche le aule parlamentari italiane dove, da destra a sinistra, si ragiona sull’atteggiamento della premier Giorgia Meloni dopo la vittoria di Donald Trump: è cambiato? Deve cambiare, in un senso o nell’altro, mentre il vecchio continente è stretto nella morsa delle autocrazie? E, mentre la facciata di palazzo Madama si illumina con i colori della bandiera ucraina per ricordare il 24 febbraio del 2022, il presidente del Senato Ignazio La Russa invia il suo saluto all’evento organizzato da Centro popolare per la presentazione del libro di Maurizio Molinari “La nuova guerra contro le democrazie-così le autocrazie vogliono stravolgere l’ordine internazionale” (ed.Rizzoli). Non invia se stesso, La Russa, come si era inizialmente pensato, per via di un altro concomitante impegno istituzionale a tema sportivo al nord (Milano-Cortina 2026), e l’augurio di una costruttiva discussione su un tema “di grande rilevanza per tutto l’Occidente” si posa sui relatori, alcuni dei quali direttamente coinvolti nella nuova ora buia per il fronte occidentale (Winston Churchill è il convitato di pietra, citato e rimpianto): l’ambasciatore ucraino a Roma Yaroslav Melnyk e l’ambasciatore d’Israele Jonathan Peled; l’ex presidente della Camera e senatore dem Pierferdinando Casini; il capogruppo in Senato di FdI Lucio Malan, le parlamentari di Noi moderati-Centro popolare Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Giusy Versace. E sono proprio gli ambasciatori ad esplicitare l’inquietudine. “Amara consapevolezza”, dirà Melnyk: consapevolezza di una possibile estensione della crisi dal Mar Nero al Circolo polare artico, consapevolezza del fatto che, con il passare del tempo, le democrazie non sono in grado di “rispondere in modo simmetrico e immediato” al pericolo che le minaccia. Ai paesi europei serve un passo “più deciso”, dice, e i diritti “non sono slogan per libri di scuola”. Di nuovo l’Europa è chiamata in causa, quando l’ambasciatore d’Israele parla del 7 ottobre come “attacco a tutto l’Occidente” da parte di chi vuole creare instabilità in tutti i paesi democratici con una guerra “multiforme”, e Molinari ricorda che le democrazie sotto attacco possono decidere se “combattere, negoziare o arrendersi”, ma le autocrazie “non cambieranno certo la loro direzione di marcia”. Il tema interpella centrosinistra e centrodestra. E se Malan porta il discorso su un terreno relativamente al sicuro da polemiche anti-meloniane (“negli anni Settanta già abbiamo visto all’opera le autocrazie”, e la soluzione trovata ruotava attorno all’impedire che si unissero”, motivo per cui ora il vederle unite dovrebbe far sorgere qualche dubbio sugli errori commessi dall’Occidente), Casini punta dritto alla difesa europea (vallo a dire ad alcuni alleati del Pd e anche ad alcune aree dello stesso Partito democratico): la difesa comune è necessità “impellente”, servono “forze di dissuasione”, ma il conto non lo possono pagare solo gli Usa. Mara Carfagna, nell’invitare la Ue a “farsi stato”, pensa al Medio Oriente: “Non c’è un conflitto israelo-palestinese, c’è un’aggressione brutale portata avanti da un’organizzazione terroristica, Hamas, contro uno Stato libero, democratico e civile” e “sarebbe opportuno che le Nazioni Unite, invece che mettere nel mirino costantemente Israele, promuovessero la costituzione di una coalizione internazionale per sradicare il terrorismo islamista radicale dal Medio Oriente”. Mariastella Gelmini teme che un’Europa “senza visione” sia destinata all’emarginazione: “L’Unione ha fatto un lavoro straordinario ai tempi del Covid”, dice Gelmini, e “prima ha garantito la pace nel nostro continente, è stata al fianco dell’Ucraina senza tentennamenti fin dal primo momento e con due diversi governi e con finanziamenti nel complesso simili a quelli statunitensi. Ma è ininfluente sulla soluzione degli eventi critici. Oggi chi vuole realmente difendere l’Ue deve battersi per uno scatto in avanti e per recuperare una visione. Può farlo solo se decide di darsi una politica estera comune e una difesa comune, e se esce dalla dimensione estemporanea e dalle illusioni di grandeur dei singoli stati”. Intanto, il faro è la strada “indicata con chiarezza da Mario Draghi": “Dobbiamo preoccuparci di far crescere le nostre economie, snellire la burocrazia, investire le risorse che occorrono, aiutare le imprese”.
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.