Il racconto

Le "borsettate" di Santanché, garantismo, tacchi a spillo, si difende dalle opposizione e da FdI. Una lezione a Meloni

Carmelo Caruso

Ricorda i parlamentari che volevano entrare al Twiga, promette che farà una riflessione, si difende con la borsetta sul banco. e dice "nella mia borsa non troverete paura"

Roma. Impari, cara Schlein, a rispondere come la ministra Santanchè. Impari, a replicare da leader sola. Impari, segretaria, a dire “nella mia borsa non troverete paura”, “non rinuncerò ai miei tacchi a spillo”. Impari, invece di fare la permalosa. Ricorderanno tutti le parole di Santanchè, tutti si ricorderanno di questa torera, rosso vestita, che si presenta alla Camera, il giorno della sfiducia, bocciata, con i denti di chi ha azzannato il mondo. Parla da donna in più come il Tony Pisapia di Sorrentino che diceva “a me non è mai fregato un cazzo”. 


 C’è più verità nelle sue presunte borse pataccate, che in tutte le telefonate, e lo ricorda Santanchè, che i parlamentari le facevano per entrare al Twiga. Meschini? C’è più verità nel suo discorso che nelle facce, pataccate, amiche, dei colleghi di FdI, che da mesi la offrono alla furia delle tv, dei giornali, come i padri, nella Napoli occupata, offrivano le figlie agli americani per qualche spicciolo, qualche riga compiacente. Felloni? Sono venuti a farle fiato Tajani, che si crede Craxi, e che raduna i giornalisti per dire, “Macron? E che ne so di Macron, chiedete a Macron”. Ci sono i ministri Bernini, Schillaci, Foti, Casellati, Roccella, Calderoli, che va subito via, arriva  Giuli che quando scriveva al Foglio, ma l’invenzione è del maestro Giuseppe Sottile, la chiamò “Pitonessa” e che commenta, prima di berci l’aperitivo: “La sua improntitudine, la sua capacità di difesa è notevole”. Alla buvette mangia il bignè e a chi  cerca i suoi sfoghi, Santanchè risponde: “Vi farò divertire. Metterò la mia borsa sul tavolo”. E’ la seconda sfiducia della giornata, la prima, di mattina, al ministro Nordio, un’altra patacca di mozione tanto che l’Aula viene disertata perfino da chi la mozione l’ha presentata. Per il M5s ci sono 16 deputati. Ha più interesse il governo a essere sui banchi o dovrebbe essere l’opposizione a chiamare tutti, ordinare: venite anche con l’influenza? Sono, almeno in questo, tutti fratelli di patacca, la patacca è la nostra vera Nato, la patacca che serve a  fare schiuma” C’è la sola eccezione di Roberto Giachetti  che riesce nei suoi minuti a chiedere a Nordio conto del Dap e di dove sia finito il ministro che citava Anatole France, oggi in compagnia di Matteo Piantedosi (presente) la coppia Totò e Peppino in Cirenaica. Non c’è il dramma della caduta, ma c’è  il deputato di FdI, De Bertoldi, passato con la Lega, che i suoi vecchi colleghi non hanno il coraggio di avvicinare e chiedergli: “Ma tu, le chat di FdI le hai conservate?”. Nessuno riesce a dire la verità tranne Santanchè e per scriverla l’unico modo è ormai prendersi la patente del folle  o essere Minzolini che da Tajani raccoglie la frase strepitosa, noi presenti dietro, “Salvini salta su tutti i treni, ma puntualmente li perde”. No, cara Schlein, questa volta la sua battuta in rima, “Santanchè difende le sue borsette, non gli italiani dalle bollette”, è surclassata dalla frase di Santanchè,  donna in più, “onorevole Baldino, lei mi accusa di conflitto di interesse per la mia competenza avendo operato nel turismo, ebbene, detto da chi ha fatto dell’incompetenza, governo, fa sorridere”. Sono quattro pagine di discorso, ed è probabile che ci sia la mano di Caramanna, il solo di FdI che l’ha sempre difesa, è probabile che ci sia la penna dei direttori che Santanchè ha frequentato,  una parte di Salvatore Tramontano, ex vice del Giornale, che  la segue, e però vale sempre la regola: “I versi sono i miei, ma se li reciti male sono i tuoi”. Sono di Santanchè le frasi “io mi guardo alla specchio e mi riconosco e ho capito meglio chi siete voi”; “per nascondere il giustizialismo parlate di opportunità, ma la storia non vi insegna nulla?”. Mette in fila Mastella, Bassolino, Errani, Uggetti, Renzi, e Stefano Esposito, perseguitato per sette anni e poi assolto, e dice: “Io non vorrei fare parte di questo elenco”. Parla mentre  Barelli, c’è da scommettere, ricorda a Conte: “Vota Agnes, vota Agnes, presidente Rai”, anche se Conte smentisce: “Stavamo parlando di come fare in acqua il morto”. Tutti i cronisti, compresi quelli che noteranno “Delmastro arriva e viene abbracciato dall’intera FdI” o che “Donzelli entra in ritardo”, tutte immagini che cattura l’inviata di Piazza Pulita, Roberta Benvenuto, tutti quelli che metteranno in rilievo la solitudine di Santanchè sono ammirati dalla sua borsetta sul tavolo,  dal suo “l’ergastolo mediatico è una condanna che dura tutta la vita”, dal “sono una donna libera, porto i tacchi 12, ci tengo al mio fisico, amo vestirmi bene”, “sono quella del Twiga del Billionaire, però questa persona che odiate è la stessa che risponde al telefono per qualche favore”. Sono ammirati dalla promessa, “sono una signora, sarò battagliera, sono contenta di vivere” e “alla fine farò una riflessione, da sola, guidata dal mio presidente del Consiglio, io non voglio diventare un problema”, “la ragione e il cuore non vanno d’accordo ma prevarrà il mio cuore”. Che la Camera abbia respinto la sfiducia con 206 voti, non toglie nulla alla verità. Non è Schlein e Conte che hanno sfiduciato Santanché, ma Meloni. L’ha lasciata “bruciare” da FdI, con poche eccezioni. Ogni volta che Meloni si guarderà, vedrà il volto dell’altra, le tornerà in mente la sua elegia garantista, come il monologo di Tony Pisapia del film “L’uomo in più”, il talento che aveva perso tutto. Anche la paura.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio