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(foto Ansa)
Il racconto
Le scale di Meloni. Ucraina-Trump, la premier vuole scalzare Macron come negoziatore. Mattarella si interroga sulla "linea"
Infastidita da Stroppa "un altro nuovo personaggio", vuole essere incoronata dalla Ue come negoziatrice ufficiale e non si confida con il Quirinale. L'apertura ai magistrati, la sua scommessa sullo "sconto" di Trump sui dazi
Scriverebbe Fazzolari: piovono bimbiminkia. Giorgia Meloni si sta mordendo la lingua. E’ incollerita con Andrea Stroppa, l’amico alla seconda di Musk, il nerd che fa carotaggi sui ministri, insegue direttori, sputa bile contro FdI, sul ddl Spazio. C’è tutta Meloni, la migliore, quella che sa dosare ironia e veleno, in questa sua frase: “Abbiamo un nuovo grande personaggio”. Ieri sciopero dei magistrati, due vertici di governo, l’incontro con Meta, oggi è previsto il Cdm sul caro energia. Si aggiunge il Quirinale. Anche Mattarella, perché la notizia è che non la conosce e gli piacerebbe tanto, ma tanto, apprenderla, vorrebbe sapere quale sia il piano del governo su dazi, Trump, Ue. Il piano di Meloni è semplice. Vuole che l’Europa la scelga e le dica: con Trump, per noi, tratti tu.
Raccontano che Meloni non abbia gradito come la stampa italiana abbia coperto, “poco”, e “male”, i suoi accordi “storici” con gli Emirati Arabi (ieri telefonata con Al Sisi). Non ha gradito quelli che vengono definiti, così come li chiama Bruno Tabacci, “i pizzini” di Stroppa. Torna lo spirito di questo nostro tempo, gli anni villani, dei villani, torna il ricatto. Piero De Luca, del Pd, si domanda: “Meloni è forse ricattabile da Stroppa?”. In Aula, Gianluca Caramanna, che è la pancia e la testa di FdI, assicura che “il governo Meloni non dipende da nessuno”. Lo dice in una Camera esodata, da giovedì magro, causa direzione del Pd. A Palazzo Chigi va in scena il primo dei vertici con Meloni, Tajani, Salvini, Lupi, Mantovano, Nordio sul tema giustizia dove si sarebbe decisa la linea del dialogo, la caramella, la disponibilità a confrontarsi perché “la riforma non è concepita contro i magistrati”. A spezzare la giornata l’incontro fra Meloni e Joel Kaplan, lo Chief Global Affair Officer di Meta. Il ministro Giorgetti è in volo, ritorna dal G20 in Sudafrica, perché oggi, in Cdm deve trovare il denaro per sterilizzare il caro bollette. Dicono che lo abbia trovato e che le misure saranno concentrate nel breve periodo, tre mesi, ma dicono pure che al Quirinale c’è molta attesa di sapere cosa Meloni voglia fare. Lunedì è passato, alla Camera, per il taglio dei capelli, Francesco Saverio Garofani, consigliere di Mattarella, che siede nel Consiglio Supremo di Difesa e tutti volevano chiedergli: ma il presidente che dice? Il presidente sta consigliando la nostra premier? L’ultima volta che è stato domandato a Francesco Filini, il dirigente che ha sostituito Fazzolari come coordinatore del centro studi di FdI, che per quanto se ne dica significa leggere, studiare, bella vita di partito, così come dovrebbe fare il Pd (esiste un Piketty di Schlein? Chi è l’ambasciatore che consiglia Schlein?) ebbene, l’ultima volta ci è stato spiegato che “questa è l’epoca degli annunci, del fare la voce grossa, ma per noi, per Meloni, contano i fatti”. A Bruxelles, i soliti eurodem, lodano Meloni, in segreto “perché questo è fare politica. Prima si ha chiaro il quadro e poi si decide, e di chiaro, oggi non c’è nulla”. Gianni Cuperlo, che la sera si vede “Il silenzio dei comunisti” lo spettacolo di Ronconi su Rai 5, segnala l’articolo dell’ambasciatore Nelli Feroci su Repubblica e dice, citando i Quaderni di Gramsci, “quando il vecchio muore, e mi riferisco al vecchio schema, e il nuovo non arriva, crescono fenomeni morbosi”. Andrea Orlando proponeva, e sarebbe politica, “l’asse dei non allineati a Trump”. Chi può dire come finirà? Chi può dire che in questo planisfero alticcio, Meloni non possa tornare a casa, in Italia, ed esclamare: non le abbiamo date, ma non le abbiamo neppure prese. La disperazione è tale che c’è chi nella vecchia sinistra, area D’Alema, propone di guardare alla Cina, di sparigliare il gioco. A destra c’è poi Tajani che parla, al Senato, di “testa alta” e “che nulla può essere deciso sull’Ucraina senza l’Ucraina”. Scopre ogni giorno che Salvini gli toglie il mestiere e che ha aperto al Mit un resort di politica estera, il suo Foreign Office (ora è il turno di Rudy Giuliani). Entrambi, Salvini e Tajani, non hanno compreso che nell’attacco di Meloni a Macron “ma tu a che titolo hai negoziato con Trump?” c’era molto di più. Non era musoneria, ma la convinzione che in Europa lei abbia già vinto le primarie da negoziatrice ufficiale con il cowboy Trump. Sta ferma perché, è questo il suo pensiero, “o scelgono me oppure io tratto per conto mio”. Aspetta di vedere se Trump faccia figli e figliastri con i dazi. Mattarella è preoccupato. Non ha nulla da eccepire sul posizionamento europeo, sul sostegno del governo all’Ucraina, che per FdI, per Fazzolari, è una ragione d’onore, di lealtà. E’ preoccupato più per il peso che Meloni ha deciso di caricarsi, per la sua scelta di non condividere i tormenti con un vecchio padre, nonno, uno che ne ha viste tante. Non c’è mai stata, sia chiaro, una scortesia. Meloni ha sempre rispettato le liturgie: l’incontro prima di ogni Consiglio europeo, l’ascolto sulle leggi, atteso la controfirma. Quello che è finora mancato è la confidenza che non è prevista da nessuna carta. In due si possono spartire le angosce, si può sempre dire “ci siamo consultati”, “abbiamo pensato che…” in due, come la poesia di Montale, si possono scendere le scale, ma quando il passo inciampa, cosa accade se non c’è l’altro braccio? Al Quirinale vorrebbero fare quelle piccole domande che si fanno nelle famiglie affiatate, “ma ti fidi davvero di lui, di Trump?”, “sei certa che alla fine non inganni anche te?”. Meloni pratica di fatto il premierato e l’augurio, anche al Colle, è che la sua scommessa, alla fine, si riveli vincente, ma se dovesse perdere, mettersi fuori dalla Ue e finire presa in giro da Trump, come il verso sarà per lei la trappola di “chi crede che la realtà sia quella che (non) si vede”.
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La direzione dem
Schlein: “Nè con Trump né con l'Europa per continuare la guerra"
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Contro mastro ciliegia