(foto Ansa)

L'appello

La Difesa dell'Europa deve unire Pd e FdI

Pierfrancesco Maran

Non si può cedere alla retorica del no alle spese militari. E’ ora di scegliere da che parte stare

L’Europa si trova di fronte a un bivio: unita nella difesa o destinata alla marginalità. La guerra in Ucraina ha reso evidente l'urgenza di una politica di difesa comune, ma gli interessi nazionali rischiano di frenare questo processo, lasciandoci divisi in 27. La vittoria di Merz, che governerà coi socialisti, toglie ogni alibi ad un'Europa in cui tutte le famiglie politiche guidano un importante Paese: i popolari in Germania e Polonia, i socialisti la Spagna, i liberali la Francia, i conservatori l'Italia. Serve però che i leader di questi Paesi si facciano carico della sfida e siano all'altezza dei padri fondatori dell’Europa. Il riarmo è, nei fatti, già in corso in tutti quei Paesi che si sentono esposti al rischio di invasione russa, con il risultato di aver aumentato le importazioni di apparati militari extra-UE e averci allontanato dall'obiettivo del 35% di appalti comuni europei (oggi siamo a metà circa). Ma una corsa al riarmo per singoli Paesi è inefficace. La deroga al Patto di stabilità annunciata da Von der Leyen per consentire maggiori spese nazionali in difesa rischia di mancare l'obiettivo. Mario Draghi lo ha detto chiaramente: la frammentazione della capacità industriale di difesa lungo linee nazionali è un elemento di vulnerabilità che impedisce di raggiungere la scala necessaria. L’unico modo ragionevole per andare oltre il Patto e fare il salto di qualità necessario è puntare su investimenti comuni e rafforzare l'industria europea della difesa. Sto approfondendo il tema come Relatore ombra dei Socialisti per gli aspetti di mercato interno dell'European Defence Industry Programme (EDIP), un programma volto a superare questa frammentazione.

 

L'EDIP prevede di finanziare progetti industriali tra almeno tre Paesi dell'Unione volti allo sviluppo e alla produzione made-in-EU e, nella nostra proposta, integrando Ucraina e Regno Unito come se fossero membri dell'Unione. È uno strumento costruito sull'esperienza dei programmi di emergenza avviati dopo l'invasione dell'Ucraina, che parte con una dotazione economica insufficiente (1,5 miliardi) ma con delle regole che ne consentono una rapida scalabilità. L’EDIP ha le caratteristiche per diventare un veicolo per indirizzare le risorse verso una difesa comune, armonizzando anche parte delle differenze di forniture. Come ricordavano Leonardi e Rizzo sul Foglio, non è solo una questione economica: un’industria integrata è più rilevante di un futuribile esercito unico. L'interoperabilità delle forniture militari è condizione essenziale per garantire una stretta collaborazione tra gli eserciti europei, soprattutto in caso di crisi. Siamo allo stesso snodo vissuto 70 anni fa quando, bocciando la Comunità europea di difesa, la Francia bloccò il percorso di integrazione. Solo che oggi fermarci significa sia arrestare il sogno europeo e diventare marginali nel mondo, sia essere costretti ad aumentare comunque le spese militari senza darsi una prospettiva diversa dalla dipendenza dagli Stati Uniti, che con Trump hanno un volto irriconoscibile e di cui oggi, come dimostra la minaccia di spegnere Starlink all'Ucraina, non ci si può totalmente fidare. Per riprendere il percorso di integrazione europea, la difesa comune è un elemento essenziale, come lo era già nel Manifesto di Ventotene, e nei prossimi mesi sarà qui che misureremo la capacità dell'Europa di progredire.

 

Le riunioni a Londra domenica e a Bruxelles il 6 marzo saranno un banco di prova importante. I leader europei stanno studiando soluzioni di rilievo, ma dovranno soprattutto dimostrare di saper mettere da parte gli interessi nazionali per il bene comune. Da che parte starà Meloni? Cercherà l’impossibile percorso di tenere il piede in due scarpe, dove una è solidamente occupata da Trump, o si scoprirà leader europea? Ad oggi non trovo confortanti i segnali da Palazzo Chigi, al di là delle parole sull'Ucraina. Ma, ovviamente, è una grande sfida anche per il PD ed i socialisti europei: non si può cedere alla retorica del no alle spese militari. Anzi, bisogna tornare a Spinelli che identificava nella difesa comune un pilastro dell'Europa unita, e ai rapporti di Draghi e Letta che indicano percorsi concreti per arrivarci.

Bisogna essere fermamente contrari a risposte nazionali e cogliere questa occasione storica per fare un salto in avanti a livello europeo. In pochi mesi scopriremo se il nuovo corso trumpiano ci renderà vassalli o se l'Europa, come è sempre stato e come diceva Jean Monnet, si forgerà davvero nelle crisi. Chi crede nell’Europa oggi deve lottare perché da questa crisi nasca una accelerazione in ogni processo di integrazione che ne salvaguardi la libertà e la democrazia, a cominciare da una difesa comune.

Pierfrancesco Maran 
europarlamentare del Pd

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