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L'ingresso di Piazza Broletto nel centro storico di Lodi, Lombardia (foto Getty)
L'autodenuncia
Vuoi la sala comunale? Prima devi firmare una dichiarazione di antifascismo
La strampalata iniziativa del comune di Lodi: dichiarare di essere antifascisti se si vuole usare le sale pubbliche per incontri o conferenze. Ma schi barrerebbe mai la casella “Sì, sono fascista”? Roba da ospedale psichiatrico, non da paese libero
Chi va negli Stati Uniti riceve in aereo un foglio da compilare, con domande abbastanza prevedibili, “hai già violato le leggi americane sull’immigrazione?”, ma anche altre, più strane: “Hai partecipato ad attività terroristiche?”, “sei stato membro del governo nazista?”. Noi italiani fatichiamo a capire perché uno dovrebbe autodenunciarsi. Il fatto è che gli americani basano la convivenza civile sulla fiducia reciproca: se rispondiamo di no e poi salta fuori che nel 1943 eravamo pezzi grossi dell’organizzazione Todt, saranno mazzate di fuoco. Non tanto per il crimine di allora, quanto per l’insincerità di adesso. Da quelle parti si dà per scontato che uno dica la verità.
La stessa fiducia nell’onestà del prossimo esiste a Lodi. Il comune ha stabilito che chi vuole usare le sale pubbliche per incontri o conferenze deve firmare una dichiarazione di antifascismo. Ma se mente? Se dice di essere antifascista e in cuor suo è un camerata? Come verificano? Cercano foto con il braccio teso? Controllano se a carnevale si è vestito da Hitlerjugend, tipo il principe Harry? Se lo ha fatto vent’anni fa, vale ancora? E poi: travestirsi da nazista significa essere nazista?
Per risparmiare agli impiegati del comune una trafila lunga, e probabilmente onerosa, di indagini, bisognerebbe fare una domanda diversa. Non: sei antifascista? Ma: è possibile essere fascisti, oggi? Se uno si dichiarasse nostalgico dell’Impero austroungarico, farebbe ridere. Se mollasse il lavoro dopo aver trovato nell’aia una gallina che fa le uova d’oro, chiameremmo la neuro. Perché un’idea non sia fantasiosa come la gallina di Esopo, servono basi materiali che la rendano, almeno remotamente, possibile. Quelle del fascismo furono tre: giovinezza-giovinezza, cioè una popolazione con età media sotto i 30 anni, disoccupazione di massa e pance vuote, la prospettiva che il paese uscito dalla guerra si bolscevizzasse. Il fascismo è stato la disperazione effervescente di una massa di ragazzi che non avevano nulla da perdere. Oggi? Siamo uomini di mezza età con una o più automobili e con uno o più conti in banca. Da perdere abbiamo parecchio. Però fare i fascisti a carnevale non costa nulla. O magari uno è un violento senza nemmeno sapere perché, e a maggior ragione ne soffre, e allora, per giustificarsi davanti ai propri occhi, saluta romanamente. Sono tanti gli specchietti per le allodole con cui ci mettiamo in trappola da soli. Il fascismo, oggi, è uno di questi.
Dirsi fascisti è come rimpiangere Cecco Beppe o credere agli ippogrifi. Più che un reato, è una scemenza. Indipendentemente dalle ragioni che possono spingerci ad autodenunciarci, se sul questionario del comune barriamo la casella “sì, sono fascista”, stiamo delirando. E schedare le persone in base ai deliri è roba da ospedale psichiatrico, non da paese libero. A Lodi, il peggio che rischiano è un matto in più che prende la parola nella sala conferenze. Capirai che tragedia.