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il colloquio

Calipari vent'anni dopo. Parla Marco Mancini: “Oggi problemi nel controspionaggio”

Ruggiero Montenegro

"Provo un grande dolore, ho perso un amico. Non sapevo nemmeno che fosse in Iraq. Fui convocato a Palazzo Chigi nella tarda serata di quel 4 marzo, mi dissero: Nicola è morto", ricorda l'ex 007 che fu incaricato di riportare Sgrena a Roma. "Il caso Paragon deve farci riflettere. Gli spiati sono stati avvertiti da Meta e non dall'autorità delegata. Perché?"

“Non sapevo nemmeno che Nicola fosse in Iraq. Nella tarda serata di quel 4 marzo fui convocato a Palazzo Chigi, ad attendermi c’erano diverse persone tra cui il generale Nicolò Pollari, l’autorità delegata Gianni Letta, Pier Scolari e il premier Silvio Berlusconi. Chiedo il perché e mi rispondono: Calipari è morto”, ricorda Marco Mancini. L’ ex agente dei servizi segreti – noto anche per l’incontro in autogrill con  Renzi, per le vicende Telecom  e Abu Omar (prosciolto in entrambi i casi) – riavvolge il nastro.

Sono passati 20 anni dalla morte di Nicola Calipari, funzionario del Sismi ucciso dal fuoco dei militari americani a Baghdad mentre portava a termine la liberazione di Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto rapita dai jihadisti. Mancini fu l’agente incaricato di andare in Iraq a riprendere Sgrena. La foto che lo ritrae insieme alla cronista, scendendo dall’aereo a Roma  ha fatto il giro del mondo.  “Oggi mi resta la consapevolezza di aver perso un amico, uno straordinario collega e un patriota. Ci frequentavamo e come si fa in trincea avevamo un rapporto stretto, scambiandoci anche confidenze private. Provo un dolore molto profondo, ancor di più ora, a poche ore da questa tragica ricorrenza”, dice Mancini. 

Di questa vicenda restano tante zone grigie, ricostruzioni contrastanti. Lei che idea si è fatto? “Non so nulla di quello che è avvenuto, non so perché gli americani abbiano sparato. Conosco le ricostruzioni che sono state fatti successivamente. Io – aggiunge – peraltro non ho fatto parte della Commissione che ha accertato i fatti. Ho solo avuto la disposizione di andare in Iraq dopo la liberazione di Sgrena, per riportarla in Italia insieme ai miei colleghi e per vedere il corpo di Nicola. E’ quello che ho fatto”. Crede che gli americani sapessero di quell’operazione? Crede ci fosse un accordo, oppure no? “Anche io operavo in Iraq in quel periodo, ma non saprei come risponderle. Non so se Calipari avesse messo al corrente i servizi degli Stati Uniti”.  

 

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Nel libro “Il mese più lungo”, l’allora direttore del Manifesto Gabriele Polo in qualche modo la chiama in causa, sostenendo che ci fosse una parte dei servizi ostile a Calipari. “Ho agito in tribunale nei confronti di Polo. La moglie di Calipari ha riferito davanti a un giudice, dicendo testualmente: ‘mio marito diffidava di molti all’interno del dipartimento e si fidava di pochi e mi disse con tono sarcastico, con riferimento al rapimento del Mullah Abu Omar, che sospettava che qualcuno del dipartimento avesse giocato allo 007’”.  Parlava, spiega Mancini, degli uomini  del dipartimento diretto dallo stesso Calipari.

Dal 2004  ai giorni d’oggi – dal caso che ha coinvolto Cecilia Sala e Abedini, fino ad Almasri e Paragon – sembra tuttavia esserci una sorta di filo rosso che riguarda i servizi italiani, coni d’ombra e scontri di potere interni, veri o presunti, che però finiscono per cambiare il corso degli eventi. Lei ha espresso molti dubbi su queste vicende. “C’è un problema di controspionaggio in Italia, di cui l’autorità delegata e la premier dovrebbero farsi carico. Prendiamo il caso Paragon: se tutte le strutture negano di aver spiato Cancellato, Casarini o don Alessio Ferrari, allora vuol dire che c’è un vulnus di sicurezza nazionale. Gli spiati sono stati avvertiti da Meta, non dall’autorità delegata. Questo deve farci riflettere”. Non è un quadro incoraggiante, tanto più con le attuali tensioni internazionali tra Ue, Ucraina e Stati Uniti. “A mio giudizio è stata sottovalutata la forza e l’attività di intelligence che i russi svolgono da anni e in maniera capillare in tutti i paesi europei. Un’attività di spionaggio, forse anche di sabotaggio e sicuramente di disinformazione. Ricordiamoci  Walter Biot, ufficiale della Marina militare, catturato dal Ros mentre stava cedendo informazioni segrete a spie russe. E’ stata fatta una grande operazione di polizia giudiziaria. Ma mi domando dov’era il controspionaggio  quando Biot è stato reclutato?”.

Quale ruolo può giocare l’America, potremo ancora contare sull’alleato atlantico ora che sembra avvicinarsi al Cremlino? “Qualsiasi risposta rischia di essere sbagliata, perché Donald Trump ci sta abituando a fare e dire cose diverse da un’ora all’altra. Non so quale sarà l’indirizzo informativo del presidente americano nei confronti della Russia e Putin”. Che fare, allora? “Guardare un po’ di più all’interno della nostra Europa. Dopo essersi allontanato dell’Ue, il Regno Unito si sta riavvicinando. Dovremmo confrontarci con i partner europei per avere una strategia comune contro i servizi russi. Sono la prima minaccia che dobbiamo valutare e a cui rispondere”.