(Ansa)

Elezioni regionali

In Veneto sono sicuri: si vota a novembre. E Zaia è già in campagna elettorale

Francesco Gottardi

Manca ancora l'ufficialità per la chimata alle urne, ma il tempo stringe e se la questione non verrà risolta da Roma alla svelta si resterà con lo status quo. Ma dal Viminale chiariscono: le elezioni regionali hanno i loro modi e tempi d'esecuzione, sul tavolo oggi non c'è nulla

Venezia. Al voto, al voto. In Veneto – un po’ a malincuore – ne sono convinti: sarà in autunno, non l’anno prossimo. E infatti gli uomini di Zaia si muovono già come se fossero in campagna elettorale. Raccolgono firme nei gazebo – oltre 100mila per il loro Doge. Ragionano sulle liste. Fissano date sul calendario. “Da qui a novembre c’è una grande battaglia da combattere fino alla fine: candidato della Liga veneta per il Veneto, nessun accordo al tavolo romano, nessuna ingerenza dagli altri partiti. Il presidente l’abbiamo già e si chiama Luca Zaia”, parla dal palco Alberto Villanova, il capogruppo del governatore in Consiglio regionale sempre più al centro dell’agone politico locale. Perché proprio a novembre? “È l’opzione più probabile”. Manca ancora l’ufficialità per la chiamata alle urne, fanno capire gli amministratori sul territorio. Ma il tempo stringe. E se la questione non verrà risolta da Roma alla svelta, si resterà con lo status quo.


L’inghippo normativo non è di poco conto. Chi decide la data delle elezioni regionali in Italia? La materia è prerogativa delle regioni stesse, il cui statuto può variare da nord a sud. Ebbene. Il Veneto è alle prese con un bel grattacapo: secondo una sua legge del 2012, “le elezioni del Consiglio e del presidente della Giunta, fermo restando quanto previsto dalla disciplina statale, hanno luogo nel periodo che intercorre tra il 15 maggio e il 15 giugno”. Ma le scorse elezioni sono state tuttavia rinviate in via emergenziale a causa della pandemia, per poi avere luogo soltanto nell’ottobre 2020. L’unica certezza è che l’attuale legislatura Zaia si concluderà il 14 ottobre 2025. Ma andare alle urne nei due mesi successivi, come da prassi, non sarebbe in linea con la finestra temporale indicata dallo statuto. “Posticipiamo al 2026 e così facciamo tagliare il nastro di Cortina al pres”, era l’idea rimbalzata in questi mesi nei palazzi veneziani, per poter allungare la vita politica al Doge almeno fino alle Olimpiadi in casa. Il problema è che sull’esatta durata delle legislature vige una legge statale del 1968: “I consigli regionali si rinnovano ogni cinque anni e il quinquennio decorre per ciascun consiglio dalla data della elezione”. Stop. Allo stato attuale non sono previsti sei mesi di tempi supplementari. E pure in Veneto sanno che l’ultima parola spetta a Parlamento e governo.


Serve dunque una nuova legge, un emendamento che riscriva la situazione. Ma dal Viminale garantiscono che a oggi sul tavolo non c’è nulla: le elezioni comunali avvengono per decreto ministeriale, le regionali invece hanno i loro modi e tempi d’esecuzione. Oltre il Veneto, il rebus riguarda anche la Toscana e la Campania – e almeno nel primo caso tutti i partiti, dalla Lega a FdI passando per il Pd, sarebbero ben disposti ad aspettare il 2026. O il via libera di Giorgia. Regioni legate a doppio filo: in casa Zaia si continua a respirare un ottimismo quasi anacronistico, confidando in buone notizie dalla sentenza della Consulta sulla legge della Campania per lo sblocco dei mandati. Nel frattempo, il diktat interno è prepararsi e agire con la certezza di andare a votare a novembre – e se così non sarà, tanto meglio. Ma più passano le settimane, più l’intervento normativo superiore si fa complicato. “Faremo di tutto per ricandidare Zaia”, dice Villanova. “Qualche nostro alleato vende la pelle del leone prima di averlo preso, ma se siamo maneggiati male saremo pronti a esplodere come dinamite”. Se non campagna elettorale, sarebbe serenissima insurrezione.

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