
(foto Ansa)
Il caso
“No ai rinnovi nella scuola”. Il Pd contro se stesso per inseguire la Cgil
I dem continuano ad appoggiare l'ostruzione di Landini. Che però rischia di danneggiare i loro stessi elettori
Il grande paradosso è che il partito che si è sempre professato dalla parte di chi lavora nella scuola, ora stia appoggiando il mancato rinnovo dei dipendenti pubblici della scuola. Almeno è quello che emerge dalle reazioni del Pd al no di Cgil e Uil al rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione. Le due sigle si sono opposte quando si è trattato di stilare un nuovo contratto per le funzioni centrali, ovvero i vari dicasteri. Tanto che il ministero della Pa ha dovuto fare da sé firmando un contratto con gli altri sindacati, che superavano il 50 per cento della rappresentanza complessiva. Si sono opposti ai nuovi contratti nella sanità, che avrebbero garantito aumenti per gli infermieri di pronto soccorso fino a oltre 500 euro al mese. E ora minacciano di fare lo stesso per il milione e 200 mila dipendenti pubblici della scuola che aspettano da anni che si sblocchi la trattativa per i rinnovi contrattuali. Questo perché, a dire di Cgil e Uil, gli aumenti disposti dal ministero, fino al 6 per cento su base annua, non pareggerebbero l’aumento dell’inflazione cumulata, che secondo i loro calcoli è cresciuta del 17 per cento. Solo che, come ha fatto notare lo stesso ministro della Pa Zangrillo, solo per adeguarsi all’incremento dell’inflazione sarebbero serviti qualcosa come 32 miliardi di euro. In pratica una nuova legge di Bilancio da investire solo su questo dossier.
In realtà il diniego di Landini e Bombardieri pesa particolarmente perché lo sblocco al rinnovo dei contratti per il triennio 2022-2024 farebbe da apripista per rinnovi successivi che potrebbero arrivare fino al 2030. “Le risorse stanziate nelle nostre leggi di Bilancio ci avrebbero consentito, nel periodo 2022-2027, un recupero del potere d’acquisto di circa il 14 per cento”, ci aveva spiegato proprio il ministro Zangrillo. Insistendo anche sulla possibilità di avere un’inedita continuità nel rinnovo dei contratti. Ma c’è un di più. Perché l’ostruzione del sindacato a causa della mancata indicizzazione con i valori inflattivi mal si concilia con l’atteggiamento che le due sigle hanno mantenuto nel recente passato. Dal 2010 si era dovuto aspettare il 2017 per arrivare a un rinnovo dei contratti nella Pa. In quel caso l’inflazione cumulata era attorno al 13 per cento. Ma Cgil e Uil firmarono un incremento salariale ben più contenuto, del 3,4 per cento. Al governo c’era però il centrosinistra, con Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi.
Fatto sta che questa dinamica dell’appellarsi al mancato aggancio all’inflazione il Pd, o almeno una parte, l’ha appoggiata in pieno. Secondo il capogruppo dem in commissione Lavoro alla Camera Arturo Scotto, infatti, aumenti del 6 per cento a fronte di un’inflazione al 17 per cento sarebbero “allucinanti”. Per questo ha attaccato la negoziazione portata avanti dal ministro Zangrillo. “Che lo dica un uomo di governo preoccupa molto. Soprattutto perché come sempre si chiedono sacrifici a chi le tasse le paga fino all’ultimo centesimo. Quando lo stato programma la riduzione dei salari sta dicendo alle giovani generazioni nei fatti di lasciare il Paese”, ha aggiunto Scotto. Non curandosi minimamente di indicare come e dove, in una proposta alternativa di governo, si reperirebbero i 32 miliardi per far fronte all’aumenti dell’inflazione. Scotto rappresenta piuttosto bene il nuovo corso della segreteria Schlein. E infatti, sposando le sensibilità più vicine a Landini, non è un caso che la segretaria abbia sostenuto i referendum promossi dalla Cgil. Solo che per cercare di inseguire le battaglie del sindacato, i dem rischiano così di scontentare proprio i loro bacini elettorali di riferimento. Allontanandosi sempre più da un sindacato come la Cisl da cui proviene un’ex segretaria come Anna Maria Furlan, eletta tra le file dem alle ultime politiche.
