
I Castelli del Superbonus e il segreto di Soprintendenza
Il ministero della Cultura non sa quali sono gli otto castelli che dovrebbero essere aperti al pubblico e rimanda ai Soprintendenti. Per quella di Viterbo, Margherita Eichberg, la richiesta del Foglio è “una inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa”.
L’Italia è un paese bizzarro, dove ciò che dovrebbe essere segreto finisce sui giornali o nel dibattito politico (come nei casi dei verbali di Amara diffusi da Piercamillo Davigo o delle intercettazioni sul caso Cospito diffuse da Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli), mentre ciò che dovrebbe essere di dominio pubblico è custodito come uno dei segreti più inaccessibili.
È il caso dei cosiddetti “castelli del Superbonus”. Come raccontato dal Foglio lo scorso 26 febbraio, tra i circa 500 mila edifici ristrutturati con il Superbonus ci sono anche otto “castelli” privati, ovvero dimore storiche di categoria A/9, per un costo complessivo di circa un milione di euro (1.082.833,15 euro, costo medio: circa 135 mila euro). Dovrebbero essere aperti al pubblico, era la condizione per poter ottenere le sovvenzioni, ma nessuno ha idea di dove si trovino queste dimore storiche e quando saranno aperte.
Il ministero della Cultura non ne sa niente, non è in possesso di alcun documento, pur avendo definito all’epoca la procedura per l’accesso di questi immobili di pregio al Superbonus, e rimanda alle Soprintendenze. Mentre fra le Soprintendenze c’è chi sa ma non vuole dire, nascondendosi dietro l’abracadabra burocratico. Come nel caso della Soprintendenza di Viterbo.
Riavvolgiamo un attimo il nastro. Nel 2021, per volontà dell’allora ministro della Cultura Dario Franceschini, si decise di estendere il bonus edilizio del 110 per cento anche agli edifici di categoria catastale A/9 (castelli e palazzi storici) purché aperti al pubblico. Il ministero, con l’obiettivo di giustificare un sussidio così regressivo con il bene comune, definì le procedure e le regole d’ingaggio. Il proprietario della prestigiosa dimora storica, per poter ottenere il Superbonus, avrebbe dovuto comunicare alla Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio l’impegno ad aprire la propria dimora al pubblico per almeno 12 giorni l’anno (per almeno quattro ore al giorno) e questa comunicazione sarebbe dovuta avvenire ogni anno, entro il 31 dicembre, per indicare le aperture dell’anno successivo. Il vincolo, in cambio dei lavori che altrimenti non ci sarebbero stati, è di soli cinque anni (60 giorni in tutto).
Il ministero della Cultura, dal canto suo, avrebbe dovuto attraverso le Soprintendenze pubblicizzare le date di apertura al pubblico, rendere noto l’elenco delle dimore storiche interessate sul proprio sito, aggiornare costantemente il calendario delle aperture e fare controlli per verificare il rispetto della normativa. Il problema, però, è che nessuno sa quando questi castelli ristrutturati con i soldi dei contribuenti per essere visitati possano realmente essere visitati. Non lo sa l’Associazione dimore storiche italiane, che aveva ottenuto da Franceschini la normativa, perché pur dovendo informare sulle aperture non ha ricevuto alcuna informazione. Non lo sa il ministero.
Il Foglio, allora, ha fatto una serie di richieste di accesso agli atti presso le Soprintendenze potenzialmente interessate, che sono le dodici che ricadono nei territori delle quattro regioni dove, secondo il report di Enea, si trovano questi otto castelli: Basilicata (1), Lazio (2), Lombardia (2) e Piemonte (3). La Soprintendenza per l’area metropolitana di Roma e di Rieti ha risposto che “non sono presenti documenti riguardanti Dimore storiche per le quali sia stato richiesto il Superbonus”. Semplice.
La Soprintendenza di Viterbo e dell’Etruria ha invece risposto con un lungo e articolato diniego. Innanzitutto, dice il soprintendente Margherita Eichberg, queste dimore storiche “sono grandi complessi e con caratteri eccezionali, per forma e per valore”. E vabbè. Poi aggiunge che lei, la soprintendente, “è venuta a conoscenza che la medesima istanza è stata rivolta ad altre 11 Soprintendenze” (e quindi?). Infine riporta brani di sentenze del Consiglio di Stato e del Tar per dire che la banale richiesta del Foglio sarebbe “una inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa”. E pertanto, conclude la soprintendente, “la posizione del giornalista e l’implicito interesse dei potenziali lettori” non sono “elementi sufficienti”, scrive l’architetto Eichberg, per avere informazioni. Non si può sapere. Segreto di Soprintendenza, che è più riservato di quello di Stato.
Il problema è che, in un’analoga richiesta al ministero della Cultura, è il vertice amministrativo a dire al Foglio di rivolgersi alle Soprintendenze: il ministero non sa quali siano questi benedetti castelli ma “si informa che potrà reperire tali informazioni presso gli Uffici territoriali competenti”. A distanza di un paio di settimane quasi nessuno ha risposto, mentre il Soprintendente di Viterbo ha opposto il suo niet: rivelare informazioni che per legge dovrebbero essere già pubbliche sarebbe “una inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa”.
Nei giorni scorsi i canali social di Fratelli d’Italia hanno rilanciato l’articolo del Foglio per denunciare l’opacità dei governi precedenti sui “castelli del Superbonus”. L’aspetto grottesco è che ora il ministero è guidato da Alessandro Giuli, espressione del partito di Giorgia Meloni, e l’opacità è la stessa. Potranno i contribuenti italiani ed europei, che hanno generosamente finanziato la ristrutturazione di questi patrimoni privati, visitarli prima che scada il termine di cinque anni?