
(Ansa)
Italia cuor di leone
La passione per la resa è un vizio italiano che vorremmo fosse universale
Il nostro è un popolo che per freddezza d'animo e scetticismo non può che scegliere di arrendersi. In un paese dove scappano anche i re, pur di salvarsi la pelle, il fatto che altri siano ostinati e credano in se stessi sorprende fino all'indignazione
A sinistra è un diluvio di apologie sulla diserzione. Da Paolo Virno a Franco Berardi, detto Bifo. Filosofi di primo rango, maestri raffinati. Quando parlano di diserzione, intendono più che altro una forma di vita impolitica. Il problema sono i discepoli demagoghi, che prendono tutto alla lettera e nobilitano con dei paroloni il più inveterato vizio nazionale: darsela a gambe. Non che a destra la situazione sia granché migliore. Una volta, da quelle parti, circolavano espressioni come “pace con onore” e “Europa nazione”. Non più. Marcello Veneziani ce l’ha con i “pacifondai bellicosi” del vecchio continente, ma è più indulgente con i pacifondai trumpisti. Sinistra e destra sono allineate con la volontà degli italiani. Se i sondaggi contano qualcosa, oltre la metà vuole che l’Ucraina ceda i suoi territori. Interrogati sulla guerra tra Israele e Hamas, solo il 7 per cento prende senza esitazioni le parti di Israele. Dovrebbe farci riflettere. Su cosa? Che non ci siamo mai ripresi dall’8 settembre. Tutto sta tornando a galla sotto forma di consigli dispensati a chi è in prima linea: intelligenza col nemico, pazienza bovina davanti ai soprusi, opportunismo, si salvi chi può.
Thomas Mann, nel Doctor Faustus, descrive un popolo, il nostro, che per freddezza d’animo e scetticismo non può che scegliere la resa incondizionata. E’ la riflessione di un tedesco che sa di stare da tutt’altra parte, dove la prospettiva dell’apocalisse è quasi seducente. A confronto, la vocazione italiana a calare le brache appare saggia. Alle volte funziona e ci risparmia il peggio. E’ una conseguenza del realismo cinico per cui tirare a campare è meglio che tirare le cuoia. Va bene. Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare. Ma di qui a spacciare la bandiera bianca per un atto sempre e comunque encomiabile, ce ne corre. Abbiamo il diritto di cadere negli equivoci che preferiamo, ma non pretendere che tutti ci seguano. Tantomeno ucraini e israeliani, che per cultura, abitudini e stirpe sono diversi da noi. E, sia chiaro, si stanno facendo ammazzare per noi. Gli uni e gli altri sono pietre di un bastione che oggi va dal Mediterraneo al Mar Nero. Se l’occidente non si riduce a un’espressione geografica ed economica, è grazie a loro. Dipendesse da noi, sarebbe Caporetto tutto l’anno.
In un paese dove anche i re scappano e l’invincibile conducator, pur di salvare la pelle, si infilerebbe su un taxi travestito da soubrette, il fatto che altri popoli siano ostinati e, invece di aspettare dietro la collina lo stellone, credano in se stessi, sorprende fino all’indignazione. Non li approviamo e, dall’alto del nostro istinto di conservazione, gli spieghiamo la rava e la fava. Ma – direbbe lo psicanalista – è solo una copertura. Al fondo di questo inscalfibile buon senso, c’è la vergogna. Ecco perché speriamo che gli altri disertino, si arrendano senza condizioni, subiscano in silenzio, come faremmo noi. Almeno la smetteremo di essere così imbarazzati.