Matteo Salvini (foto Ansa)

l'eterno ritorno dei gialloverdi

Smutandati da Putin, l'involontaria utilità di Salvini per Meloni

Salvatore Merlo

La sola presenza del zuzzurellone leghista, con le sue sparate e persino la sua adesione al coro pacifista con Conte, consente alla premier di non pronunciare parole decisive

C’è un vecchio adagio che recita così: sono  i grandi sconfitti coloro che turbano di più il sonno dei vincitori. Ma Matteo Salvini, anche adesso che sembra il portavoce della portavoce del Cremlino, non è più un problema per Giorgia Meloni. Anzi. Il presidente del Consiglio gli ha persino trovato un ruolo. Utile, addirittura. Benché l’aggettivo “utile”, ce ne rendiamo conto, non sia precisamente il primo che venga alla mente quando si pensa a Salvini. Ma tant’è. Lo ripetiamo: uomini influenti di FdI ci spiegano che “Salvini è utile”. Bisogna credergli. La sola presenza di questo zuzzurellone, pare infatti di capire, con le sue sparate  – ora s’è inventato  la manifestazione “pace fiscale e pace in Ucraina”, che è un po’ come indire una sagra “del cioccolato e del sale grosso” – consente a Meloni, obbligata al surplace tra l’Europa e gli Stati Uniti, di allargare le braccia: io vi sembro poco chiara? Ma avete idea di chi ho accanto? Avete idea di quanto devo badargli? Chi l’avrebbe mai detto. Quello galleggia come un tocco di lesso nel brodo, ma involontariamente serve a qualcosa. Con quattro stecche, una trombetta e del fumo colorato consente alla premier di non pronunciare parole decisive. 

 

Coinvolto nell’impresa disperata di recuperare i fasti d’un tempo elettoralmente scaduto, ancora inconsolabile per il giorno fatale in cui il mondo si spense di colpo in quel di Cervia, al Papeete del suo scontento, Matteo Salvini ieri s’è pure (ri)trovato accanto a Giuseppe Conte. “Deriva bellicista”, hanno detto entrambi.  Le stesse identiche parole. I due ormai cantano in sincrono, come Albano e Romina, i Ricchi e Poveri o i Modà.  Fate voi. Perché lo fanno? Come ha detto una volta Vittorio Feltri “Salvini è riuscito a portare la Lega dal 4 al 34 per cento. E quando uno produce un miracolo così, pensa di essere Padre Pio. Ovviamente non è vero. Però lui non lo sa. Quindi pensa: come sono arrivato al 34 per cento una volta posso farlo di nuovo. Di conseguenza le prova tutte. E fa una minchiata dietro l’altra”.

 

Ecco. E’ questa la ragione per la quale Salvini, dopo un lungo giro, si ritrova con Conte. Anzi Giuseppi.  Tra le poche certezze della vita, assieme alla carbonara, al ritorno della primavera e della luna piena c’è l’eterno ritorno dei gialloverdi, già allegri sfasciacarrozze della politica ai bei tempi del governo Conte I. Quando volevano chiudere l’Unione europea, uscire dall’euro, siglare patti con la Cina e “cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!”, tipo i fustini Dixan, fino allo spettacolare: “Farei a cambio e porterei Putin nella metà dei paesi europei mal governati da presunti premier eletti”. Sicché, in questo clima di Amarcord, ritornano pure i personaggi, da noi amatissimi, che più di tutti incarnarono quell’epoca felice in cui con Quota cento non paghi i contributi ma ti danno la pensione e in cui ti spiegano pure che per risolvere il problema del debito pubblico basta stampare moneta ché gli zecchini  crescono sugli alberi.

 

Da qualche giorno infatti, quando le redazioni dei programmi tv chiedono alla Lega “chi ci mandate?”, quelli, i leghisti, immancabilmente rispondono: Bagnai! Alberto Bagnai! Il professore “economista” che scriveva sul blog di Beppe Grillo e poi è diventato il John Maynard Keynes di Salvini. Ieri mattina era a “Start”, su Sky. I dazi? “Colpa della Germania”. Come trattare con Trump? “Singolarmente, stato per stato, non tutta l’Unione europea”. La difesa comune? “Posizione folle e pericolosa”. Insomma ecco la linea: smutandati da Putin. Credete che tutto questo irriti il presidente del Consiglio? Niente affatto. Anzi. Più smutandano, più lei lascia capire chi è che porta i pantaloni.
            

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.