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l'editoriale del direttore
Né con Trump, né con l'Europa: è il Pd l'anomalia italiana
Se Giorgia Meloni si salva, e cresce, temperando il trumpismo di un tempo, Elly Schlein, ambigua sull’Ucraina e contraria al formidabile piano di riarmo della Ue, fa un altro passo per allontanarsi dal Pse e isolarsi in Europa
Le conseguenze del trumpismo, in Italia, hanno forme diverse, storie diverse e impatti diversi. L’impatto più indagato, in queste ore, è il più evidente, ed è quello che riguarda Giorgia Meloni. Il tema cruciale, naturalmente, è quello e riguarda l’Ucraina. Per Giorgia Meloni, la difesa dell’Ucraina è stata un fiore all’occhiello del suo percorso di crescita, della sua identità di governo, ed è stato quando, ai tempi dell’opposizione al governo Draghi, Meloni ha scelto di rinnegare il putinismo del passato che la premier ha come fatto un salto in avanti verso una stagione di successi, di presentabilità, di credibilità e di affidabilità. Oggi, è evidente, l’Ucraina, per Meloni, rappresenta un elemento di imbarazzo, è una cartina al tornasole del suo rapporto con Trump. E la decisione con cui il presidente del Consiglio abbraccia la causa dell’Ucraina, oggi che alla Casa Bianca vi è un presidente degli Stati Uniti, vicino politicamente al presidente del Consiglio italiano, che l’Ucraina di Zelensky la maltratta, la bistratta, la umilia persino, è molto diversa dal passato e sostenere che Meloni sia schiacciata tra il suo credo politico (Trump) e il suo credo strategico (l’Ucraina) non è un tema speculativo ma è un tema oggettivo.
Meloni, però, nel nuovo mondo trumpiano, non è l’unico soggetto politico a offrire ragioni di interesse e a offrire spunti di riflessione, rispetto alla trasformazione della sua identità. C’è un altro soggetto politico interessante da osservare in questi giorni e le cui movenze tendono a essere deprimenti e sorprendenti per chiunque abbia a cuore i princìpi non negoziabili della difesa della libertà e anche della democrazia. Sarebbe facile dire che il soggetto politico più desolante da osservare in questi giorni, in Italia, è la Lega di Matteo Salvini, che appare essere all’opposizione del suo stesso governo persino più del Movimento 5 stelle. Ma in fondo Salvini sorprende fino a un certo punto. Il suo non essere un anti putiniano, per così dire, non è una sorpresa, è stato una costante retorica dei dieci anni passati da Salvini alla guida della Lega, e nonostante i voti offerti da Salvini in questi ultimi quattro anni a favore dell’invio delle armi in Ucraina, non vi è stato un solo attimo in cui, quando ha potuto, l’ex Truce non abbia fatto di tutto per ricordare che lui, potendo scegliere, non avrebbe dubbi con chi stare, e certamente non dalla parte di Zelensky. Salvini, dunque, non è una novità nel panorama politico italiano, almeno dal punto di vista della retorica, della propaganda, della sua autonarrazione. La vera sorpresa, deprimente, della politica italiana, quando si parla di Ucraina, oggi è un’altra ed è una sorpresa che ha i colori e le casacche del Partito democratico, e in particolare di Elly Schlein.
Negli ultimi giorni, la segretaria del Pd ci ha tenuto a far sapere di essere, rispetto ai temi dell’Ucraina, “né con Trump, e il finto pacifismo che cela una resa all’aggressore, né con l’Europa, per continuare la guerra”. E per ribadire il concetto, mercoledì scorso, ha scelto di far sapere di essere pesantemente contraria anche al piano – formidabile – di riarmo dell’Unione europea presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Il Pd ha scelto di mostrare e manifestare la sua contrarietà al piano facendo un altro passetto lontano dal Pse, dopo averlo già fatto in altre circostanze, dopo averlo fatto sul Patto di stabilità (con il Pse a favore e il Pd contro), dopo averlo già fatto sul Patto sull’asilo e sui migranti (con il Pse a favore e il Pd contro), e nelle stesse ore in cui Schlein mostrava la sua contrarietà alla proposta della Commissione europea (Commissione sostenuta dal Pse e anche dal Pd) il Pse era lì che spiegava la ragione per cui il piano von Der Leyen, invece, era ossigeno puro. Eccola la dichiarazione del Pse: “La sicurezza dell’Europa richiede investimenti immediati, sostanziali e congiunti. Il piano ReArm Europe è un punto di partenza, non un traguardo. Abbiamo bisogno di nuovi finanziamenti dedicati alla difesa europea, rafforzando la nostra industria e salvaguardando al contempo il nostro benessere sociale. Questa è l’unica strada per un’Europa sicura e un sostegno duraturo all’Ucraina”.
L’Ucraina, nel 2022, è stata il fronte politico che ha permesso a Meloni di diventare grande, di prepararsi alla sfida del governo, di mettere da parte il proprio passato. Per il Pd, per il Pd di Schlein, rischia di avere l’effetto opposto. E l’ambiguità di Schlein su quello che dovrebbe essere il punto centrale dell’antifascismo europeo, difendersi da un criminale di guerra di nome Putin facendo tutto il necessario per superare le vulnerabilità dell’Europa, è la testimonianza di un tema politico che rende in questo senso l’Italia un unicum in Europa. L’Italia, al governo, ha una banda di ex putiniani che, con difficoltà, oggi è ancora dalla parte dell’Ucraina, nonostante il putiniano in chief alla Casa Bianca. E dall’altra parte ha una banda di anti putiniani, il Pd, che piuttosto che incalzare il governo sulle sue ambiguità sull’Ucraina diventa a sua volta il manifesto delle ambiguità europee, mettendosi ai margini dell’Europa negli stessi istanti in cui accusa il governo di non riuscire a essere al centro dei dossier europei. Le anomalie, in Italia, oggi sono molte. Ma la grande novità politica prodotta dall’arrivo di Trump, e dal suo putinismo, non è a destra ma è a sinistra. Riarmare l’Europa è necessario. Far rinsavire il Pd pure.
