L'intervista

Piantedosi: "Fra Trump e Zelensky apprezzo la franchezza del presidente Usa. Sì al piano di riarmo dell'Ue"

Simone Canettieri

Colloquio a tutto campo con il ministro dell'Interno. "Stroppa, l'uomo di Musk, mi attacca? La sua non è verità promanata dal Signore. Salvini è mio amico, ma sono autonomo. Io un tecnico? Ex, ormai faccio parte di un governo solidamente di destra". E poi l'immigrazione, i social e il benaltrismo dei populisti, Lega compresa

Trump o Zelenskyj: con chi ha empatizzato?

“Ho apprezzato la franchezza di Trump. Che credo non vada banalizzata. La franchezza di chi dice, con i suoi modi lontani dai miei, 'guarda che prima o poi dobbiamo uscire dalla guerra, guardare a una prospettiva di pace'. Una franchezza che potrebbe inaugurare un nuovo modo di dialogare in politica”.

Pausa, nuvolone dolciastro. Prima notizia: Matteo Piantedosi fuma il cubano, ma gli piace assai l'americano. The Donald, il presidente.

La conversazione con il ministro dell'Interno avviene in un venerdì particolare. Il passato da cui si è affrancato con una certa abilità tipica dei democristiani irpini – piante grasse della Repubblica – torna a bussargli alla porta. La Cassazione ha condannato il governo per il caso Diciotti , la nave che Matteo Salvini ministro dell'Interno ha bloccato con i migranti a bordo nel 2018 quando lui era il suo capo di gabinetto qui al Viminale.

Che ne pensa?

“Le sentenze giudiziarie si rispettano e si eseguono ma si possono commentare: non la condivido affatto, conoscendo nella profondità quel caso”.

In questa dichiarazione – critica ma sobria nei toni – c'è il personaggio Piantedosi. Nell'intervista dirà di sé di “non sentirsi un tecnico”, ma un “uomo di destra in un governo politico di destra al servizio delle istituzioni”. Non affonda sul caso Diciotti, al contrario di salviniani e meloniani con l'idrante in mano contro la Cassazione.

Lo fa per stile ma anche per cautela, si presume, verso il presidente del Csm: il capo dello stato Sergio Mattarella. Con il quale ormai ha rapporti distesi – dopo le manganellate agli studenti di Pisa – e che pare gli abbia rinnovato privacy nei giorni in cui il lobbista di Elon Musk, Andrea Stroppa, lo bullizzava su X . La bussola del ministro – mentre si gode questo sigaro enorme in una scena a metà tra un film di Elio Petri e The Apprentice – inizia a palesarsi. Si specchia in un ruolo che gli piace. E' fissato con i social network. Lascia aperto l'uscio all'avventura al termine di questo governo: per un bis, uno scranno o chissà. Non annuncia, infatti, che si ritirerà nella sua tenuta a Pietrastornina (Avellino) tra olio e nocciole. Sfumature da cogliere, uomo di grana fine. 
 

Secondo piano del Viminale, piccola città-stato sdraiata su uno dei sette colli popolata da seimila dipendenti. In borghese e in divisa, poliziotti e travet, una fiction naturale. La sua stanza appartenne per un bel po' ai presidenti del Consiglio perché Giovanni Giolitti volle che qui, in questo quadrato di cemento tagliato da corridoi che profumavano di confetto e tappezzeria retrò, ci fosse pure la sede dell'esecutivo. Nell'anticamera non c'è la “galleria degli impagliati”, ovvero le foto dei suoi predecessori. Uno di questi fu – prima della Repubblica – Benito Almicare Andrea Mussolini. Capo del governo e ministro dell'Interno (ad interim, come prima era da prassi) per quasi venti anni, salva la parentesi di Luigi Federzoni. La “Piantedosi zone” è un presepe: magliette di calcio personalizzate (Como, Albania, Bologna, ovviamente Avellino), caschi della polizia e dei vigili del fuoco, statuetta realizzata a San Gregorio Armeno, il capoccione di Cicerone. Sulla scrivania: la foto dei genitori che non hanno fatto in tempo a stropicciarsi gli occhi davanti a questo figlio, cornetti rossi, la statuetta di Sant'Oronzo, le figlie, due pile di libri alte così (svetta “L'elogio del diritto” di Massimo Cacciari e Natalino Irti). Clima allegro. Chicca: quando è in buona pare faccia le imitazioni dei politici. Simpatico, ma non replica. Un maxi schermo acceso su La7 – ma muto – ci osserva: oddio, sarà Paragon? Tre testimonianze oculari e uditivi: il portavoce Francesco Kamel, la capo ufficio stampa Maria Carbone, la responsabile della macchina sociale – non più Bestia ma addirittura quasi politicamente corretta – Beatrice Scutari. E' un ministro-Anguilla, e si sapeva. Equivicino a Meloni ea Salvini. “Ma ho anche un ottimo rapporto con Antonio Tajani”. Te pareva.

“Per rompere il ghiaccio però non cominciamo con il solito gioco: io che faccio il democristiano, lei che mi chiede di Salvini e ora anche di Stroppa. Caffè?”.

Ha ragione, ministro. Prima di entrare qui, prima che la sua presenza venisse annunciata da tre scampanellate, abbiamo letto, custoditi in due teche, i nomi di tutti i suoi predecessori: a chi si rifà in questo Pantheon che inizia con Marco Minghetti e finisce con lei?

“Cossiga, Scelba e De Gasperi, ovviamente”.

L'ultimo è facile e quasi scontato. Ci parli dei primi due, controversi.

“Sono persone che hanno lasciato un segno, perché sono stati degli innovatori. Con Cossiga si istituirono i reparti speciali. Scelba organizzò quelli antisommossa”.

Esempi belligeranti, direbbero i “kollettivi”.

“No, personalità che presero consapevolezza di una struttura che andava organizzata tenendo conto dei nuovi scenari”.

Rompiamo il ghiaccio di questa intervista con i manganelli?

"No, se si guarda in prospettiva, prima di Scelba e Cossiga, la gente moriva nelle manifestazioni. Adesso, vivaddio, non succede mai, adesso sembra persino banale fare certi ragionamenti”.
 

Il ministro dell'Interno per antonomasia e pigrizia semantica è sempre pettinato dall'aggettivo qualificativo “preoccupato”. Ecco, Piantedosi, si sveglia preoccupato tutte le mattine? E' da cosa in questo momento?

“Chi fa il mio lavoro deve essere sempre preoccupato, ha ragione, ma senza farsi prendere dall'ansia. Essere preoccupati significa prepararsi prima, fare in modo che certi scenari non accadano: si chiama attività preventiva”.

Le veniamo dietro attualizzando il suo ragionamento con un brocardo: si vis pacem, para bellum. Cosa pensa del piano di riarmo presentato dalla Commissione europea?

“Prendiamo atto, come Europa, che il mondo sta cambiando e che dobbiamo marcare una nostra autosufficienza anche dall'America. Al di là del termine, riarmo o difesa comune, non vedo il piano in maniera ideologicamente negativa. Anzi, la pace si persegue anche così”. 


La sinistra – ma anche la Lega di Salvini, il partito che la indicò – dice che i soldi europei andrebbero messi su altro: scuola, sanità.

“Discussione banale, benaltrismo. Gli investimenti sulla Difesa ormai vanno ben oltre gli scenari bellici, ma hanno anche prospettive di utilizzo civile e nella sicurezza pubblica. Basti pensare che la dimensione pubblica della guerra si muove nello spazio e nella cybersicurezza”. E' un favore? “Sì, senza un'adesione sparatamente favorevole, ma di certo non ideologicamente contraria”. 


(In filodiffusione sembra di ascoltare “O bianco fiore”, inno della diccì).
 

Chi è contrario scenderà in piazza, le manifestazioni si moltiplicano: coglie rischi per l'ordine pubblico?

“Quando questo tipo di dibattito, come spesso accade, si sfocerà in legittime manifestazioni di piazza gli ambienti antagonisti potrebbero sfruttare la discussione del momento. Lo abbiamo visto con l'immigrazione, con il conflitto in Medio Oriente: per cavalcare logiche di contrapposizione si creano questi meccanismi anti stato. Ora c'è il riarmo: monitoriamo l'evoluzione della discussione”. 


La politica in maniera trasversale cavalca il populismo del no al riarmo. Nella scatola ci sono dal Pd alla Lega, passando per il M5S e Avs. Singolare, no?

“La politica si nutre di messaggi forti: nella contemporaneità il linguaggio della politica è populista, ma poi come governo riusciremo a fare una sintesi”.

Trump e Zelensky alla Casa Bianca: cosa ha pensato?

“Non è stato un bello spettacolo in un luogo e in un momento in cui ci dovrebbe esserci il trionfo della diplomazia”.

In quello scontro in mondovisione ci sono state responsabilità differenti: come fa a negarlo?

“No, credo che siano stati ugualmente ripartite. Nel mio piccolo so che certi appuntamenti vengono preparati dagli sherpa. Aver derogato a questo principio, un minimo di brivido l'ha creato, a me che ho 62 anni. Sono due attori politici contemporanei che volevano far breccia, parlando nelle rispettive platee”.

E su questo Piantedosi, pungolato, dirà che ha apprezzato “la franchezza” di Trump, a scapito della gravitas del presidente ucraino, Davide biblico.

“Nel coacervo di aspetti sentimentali mi ha colpito la franchezza del presidente americano”.

(Il ministro è un turbo atlantista: ha il mito dell'America forza liberatrice del mondo dai regimi comunisti e nazifascisti, ci fanno notare dal suo staff affinché si scriva). 


Piantedosi, l'Italia è nel mirino degli attacchi cibernetici di Mosca: cosa non funziona nella nostra difesa?

“Guardi l'Italia è frequentemente sotto attacco, non solo di attori ostili russi, ma anche di altri paesi che non sono allineati, da soggetti che appartengono ad ambiti territoriali che non sono in linea con la nostra collocazione geopolitica. L'Italia con molto equilibrio, soprattutto adesso con il nostro governo, ha scelto in maniera indefettibile quella che è una posizione euroatlantica”.

Quanto la preoccupano questi attacchi russi?

“Mi preoccupano, anche perché sono duplici, compresi quelli di matrice economica, veicolati inoltre dai canali della propaganda. Per questo quando si parla di riarmo la faccenda è molto più complessa di quanto si creda”.

In termini valoriali, come considera la minaccia russa?

“Se la mettiamo sul piano dei valori creiamo i presupposti per un conflitto permanente. Non c'è dubbio che la nostra scelta euroatlantica sia legata proprio a un sistema di valori non negoziabili”.

Viene in mente la celebre frase di Salvini che voleva cedere “due Mattarella per mezzo Putin”: ecco perché insistiamo sui valori.

«Non c'è dubbio che per la nostra storia, parlo dell'Europa e dell'Italia, siamo diversi da tante parti del mondo. Tuttavia il tifo da stadio non serve. Dobbiamo trovare una ragione di coesistenza. Se la pace è l'obiettivo, se la pace è l'orizzonte, non dobbiamo fare un'arma di questi nostri valori. Non dobbiamo vivere una guerra permanente con i russi. Non funziona così. Dobbiamo trovare dei modi di coesistenza con questi paesi, e aggiungere la Cina, che sono paesi che comunque hanno milioni di cittadini, miliardi, con grandi storie e cultura”.

La guerra ibrida è impalpabile, ma micidiale: è sicuro che l'Italia sia ben equipaggiata o, come sempre, inseguiamo le emergenze?

“Siamo preparati, a fronte di un investimento crescente. Ancora non abbiamo raggiunto probabilmente un'organizzazione perfetta, ma continuiamo a investire come si è fatto, e si fa, attraverso l'istituzione di un'Agenzia nazionale per la cybersicurezza”.

Siamo davvero competitivi davanti alle minacce che vanno così veloci attraverso canali spesso insondabili?

“Le strutture specialistiche ne hanno preso atto, e si sono adeguate. abbiamo il vecchio servizio di Polizia postale: lo abbiamo migliorato. Abbiamo creato una direzione centrale della Polizia scientifica e della Sicurezza cibernetica all'interno della quale abbiamo fatto confluire tutte le esperienze che avevamo. Al momento, davanti a questi attacchi, abbiamo un buon livello di attenzione”.

E può bastare?

“Occorre continuare a investire perché è un settore in grande evoluzione: la tecnologia, soprattutto di questo tipo, corre una velocità impressionante. Servono ricerca scientifica e un forte rapporto con le aziende private”. 
 

Piantedosi dà una sontuosa boccata di cubano – noi abbiamo rimediato una sigaretta slim molto meloniana – socchiude gli occhi, si riparte:

Ministro, il fatto che la principale tecnologia satellitare sia nelle mani di un monopolista, Elon Musk, e che lavori per l'Amministrazione Usa non è preoccupante?  

 “Certo, è un elemento da tenere in considerazione. Starlink è un sistema satellitare che serve a portare connessioni in maniera capillare, ma non è che i sistemi alternativi non esistano, anche se meno sviluppati”.

Non sono concorrenziali.

“Certo c’è una persona, bisogna prenderne atto, che ha avuto l’intelligenza e la capacità di investire su un sistema innovativo che adesso lo rende fortemente competitivo sui mercati mondiali”.

E’ pericoloso il monopolio di Musk?

“Non basta dire che è pericoloso, io credo che tutte le democrazie abbiano sempre gli anticorpi per trovare il giusto equilibrio tra il non rifiutare importanti opportunità e il porsi legittimi interrogativi”.
 

Sono in corso trattative fra il ministero dell’Interno e Starlink?

“Non mi risultano contratti in essere”. Ne esclude per il futuro? “No, tutto è ipotizzabile, ma contrattazioni di questo tipo, se dovessero svilupparsi, andrebbero oltre l’azione di un singolo ministero”.

Musk in Italia si è scelto un ambasciatore sbagliato come Andrea Stroppa? Parliamo dell’informatico che si diverte a mettere su X sondaggi contro di lei, che dicono che era meglio Salvini come ministro dell’Interno, ma anche a “minacciare” FdI sul ddl Spazio: non esistono più i lobbisti di una volta?

Piantedosi ride: “Questo lo dice lei”. E lei che dice?


 (Il ministro tira fuori un metaforico scudo crociato da Capitan America). 
 

“Il mondo cambia e propone un diverso modo di parlare. Una volta c’erano i lobbisti in grisaglia con il doppio petto... Però, sia cortese, su questa faccenda non farei una particolare discussione”.

Stroppa la inquieta?

“No. Ho imparato, dopo quasi tre anni di governo, a vivere con un certo distacco le situazioni”.

Insomma, il referente italiano di Musk non è proprio l’ultimo manifestante della Sapienza.

“Mi sono testimoni i miei collaboratori: ho vissuto questa storia con assoluto distacco, veramente anche con un’ispirazione molto democratica”.

Addirittura, non le crediamo.

“Sbaglia. Il dibattito è espressione di democrazia e non bisogna mai pensare di poterlo in qualche modo contrastare o reprimere, su questo non c’è dubbio”. Prima di chiudere il discorso su Stroppa, il ministro mette a verbale: “Se uno lancia un sondaggio su X, una sorta di televoto su di me, ne prendo atto. Va bene, ma non è che Stroppa sia la verità promanata dal Signore”.

Il presidente Mattarella, molto critico con Musk, le ha espresso privata solidarietà?

“Io non tiro per la giacchetta il capo dello stato: è una persona che va solo ringraziata, perché ha un approccio encomiabile alla complessità. E’ un maestro di postura istituzionale. Credo che questo sia riconosciuto da tutti, no?”.

Un altro attacco di Stroppa e lei fa il ministro per altri sette anni: concorda?

“E’ una minaccia?”.

No, una considerazione causa-effetto.

“Credo che uno come me, un prefetto, possa anche accontentarsi di una legislatura”. Durerà cinque anni il governo Meloni? “Ovvio e ha prospettive di lunghissimo termine”.

In questo nuovo ordine mondiale, un eventuale disimpegno dell’America e un ingresso sempre più intenso della Russia in Libia rischiano di destabilizzare le rotte dell’immigrazione.

“Non c’è dubbio. E’ un tema che va sempre presidiato. Non credo a un eventuale disimpegno degli americani: secondo me non ci sarà mai del tutto perché gli americani per loro natura hanno un’attenzione a tutti gli scenari e a tutti i quadranti geopolitici del mondo. La Russia però è in movimento in Africa e non è l’unica”.

C’è anche la Cina.

“Esatto. L’Italia è il primo paese di frontiera, quindi non si tratta solo di un tema legato alle migrazioni. La mia non è un’ossessione, ma una scelta strategica del governo rispetto all’Africa di cui non possiamo non interessarci. Penso appunto al Piano Mattei”.
 

Tuttavia, il piano del governo in Albania finora è stato un fallimento.

“Non sono d’accordo”.

Lo dice la cronaca, ministro: i centri sono vuoti.

“No, assolutamente no. Chi scommette sul fallimento di quel progetto è destinato ricredersi proprio perché la normativa europea sui Paesi sicuri e sui rimpatri veloci va verso quella direzione”.

Finora la sua ricetta non ha funzionato.

“L’Italia si è mossa prima e ha condizionato la discussione, oltre a un’accelerazione europea su questo discorso. Da quando in qua fare una cosa prima del tempo diventa un pregiudizio?”.

I centri sono vuoti.

“Spesso mi dite che sono troppo burocratico e poco politico. Secondo me le due cose spesso invece si incrociano. Allora, se c’era da passare attraverso una sollecitazione, ad esempio degli organismi giurisdizionali supremi, Cassazione, Corte di Giustizia europea, essere a partiti prima significa che prima si raggiungerà anche una definizione del quadro giuridico che disciplina questa roba qui. Quindi non è assolutamente tempo perso. Sono tutti passaggi che avevamo messo in conto. Tutti. Non volevamo fare deportazioni di massa in Albania, ma centri in cui applicare nuove regole, più veloci, in vista del nuovo imminente patto Migrazione-Asilo di Bruxelles”.


Sta dicendo che l’Italia è stata il pesce pilota della lenta Europa?

“Siamo stati la testa d’ariete. Ovviamente abbiamo costruito i due centri affinché non fossero dei santuari, non c'è dubbio. Qualche trattenimento è stato approvato. Ora aspettiamo la decisione della Corte di giustizia europea: 14 paesi, compresa la Francia, si sono schierati dalla nostra parte sui paesi sicuri. E anche la Commissione ha cambiato idea”.
 

Il modello Albania, potrebbe essere replicato in un paese limitrofo tipo la Serbia?

“Non è nei piani del governo, ma gli hub regionali nei paesi terzi sono un modello che in Europa piace”.
 

In Albania c’è già un piccolo Cpr, per trasformare entrambi i centri aspetterete la Corte di giustizia europea in tarda primavera o interverrete per decreto?

“Tutte le strade sono valide: c’è una valutazione in corso”.

(Piantedosi conosce le leggi, ama il latinorum, per uno strano bivio della vita stava per intraprendere la carriera accademica, da buon ciclista è sicuro di sé, e sa dosare le forze. Soffre però la lesa maestà, dice di lui un vecchio amico bolognese. Questo contraddittorio rischia di avvilupparsi: non ammetterà mai l’insuccesso – finora – in Albania).
Ministro, anche la vicenda albanese vi ha messo di nuovo contro la magistratura: i giudici sono politicizzati in Italia?

“Dire che la magistratura è politicizzata è sbagliato. A volte, certo, ci sono decisioni criticabili. Penso alla Diciotti. Però non tollero i giudici che non fanno mistero di adottare delle decisioni per visioni politiche e non giuridiche. Giudici che prima di esprimersi nelle aule lo hanno fatto in convegni o in trasmissioni televisive. Questo no. Ho comunque profonda fiducia nella magistratura italiana che ritengo fra le migliori al mondo. In generale la giustizia è fallibile in quanto umana: ecco perché ci sono tre gradi di giudizio”.

E’ a favore della separazione delle carriere?

“Sì. Però voglio dire un altro concetto”.

Dica.

“Talvolta si tende a confondere elementi diversi nella discussione complessiva sulla giustizia: gli elementi di fallibilità anche soggettiva sono una cosa, il singolo giudice che anticipa la sua visione nella discussione pubblica, anche in nome di un’appartenenza correntizia, è un’altra cosa”.
 

Il caso Almasri, il torturatore libico rilasciato dall’Italia, in spregio alla Corte penale internazionale, non si poteva risolvere e gestire con il segreto di stato?

“Se dobbiamo solo parlare del principio le rispondo che la nostra è stata una scelta basata sulla trasparenza che rivendichiamo: personalmente ho riferito sulla vicenda in Parlamento quattro volte. Probabilmente c’era qualche altro interesse nazionale per gestire una vicenda come questa. Non so se è chiaro”.

Con Giorgia Meloni come vi siete conosciuti? (Sguardo allo staff: lo possiamo dire?)

“Quando venni nominato prefetto di Roma, lessi una sua dichiarazione di stima nei miei confronti, e così ci incontrammo perché volli ringraziarla”.
 

Però alla fine diventa ministro dell’Interno su indicazione di Salvini, di cui era stato capo di gabinetto: è stato l’unico a uscire in giacca e cravatta dallo sciagurato bagno alcolico-emozionale del Papeete.

“Sono un prefetto”.  

Il suo collega Nordio ha preso la tessera di Fratelli d’Italia: lei prenderà una tessera di partito, magari della Lega o forse, maligniamo, proprio quella di Fratelli d’Italia?

“Guardi non ne sento il bisogno. Con Salvini, al di là delle ricostruzioni di voi giornalisti, ho un rapporto di solida amicizia oltre che di stima, questa domenica sarà il suo compleanno: vede, me lo ricordo”. 
 

(I due si incontrano con discreta frequenza, ma è sempre Piantedosi che va al ministero del capo leghista, quasi mai il contrario).

Il ministro anguilla vuole sottolineare, visto che si parla di leader, la profonda ammirazione che nutre nei confronti della premier “che sta dimostrando un grande equilibrio nello scenario internazionale al punto da essere una risorsa della repubblica”, ma anche di Tajani, gran visir di Forza Italia.

Va bene, Piantedosi, lei va d'accordo con tutti: ma chi ha votato alle Europee?

“Segreto di stato, qui lo reclamo”.

Salvini sogna il suo posto, qui al Viminale: vuole togliere il suo presepe per tappezzare di nuovo la stanza di rosari e icone sacre.

“Non mi dimostrano le dichiarazioni di Matteo così dritte”.

Sta minimizzando.

“Se gli chiedono: ti piacerebbe un giorno ritornare al Viminale? Ci sta che risponde di sì, ma ha sempre bilanciato e anteposto questa sua affermazione dicendo che adesso c'è un suo amico che sta facendo benissimo. Quindi non devo autocitarmi...”.
 

Lei sarà amico di Salvini, ma ormai è autonomo da Salvini: lo possiamo dire?

“Certo, ma l'autonomia deve essere sicuramente equilibrata e consapevole”.

Che vuole dire?

“Sono il ministro dell'Interno di un governo saldamente di centrodestra”.

Non si sente più un tecnico?

"Con la mia storia ho assunto una posizione politica, sì, mi sento di centrodestra, anche nell'esercizio di questa funzione. Finora abbiamo cercato di risolvere, a partire dalle mie materie, i problemi con una visione chiara che rivendico all'interno di una coalizione netta”.

(I testimoni iniziano a spazientirsi: chi guarda l'orologio, chi chatta compulsivo, chi si fa sfuggire un colpo di tosse. Rischiando la carica dei reparti celere, si va verso l'ultimo affondo).

E' vero che non le va giù che il sottosegretario Alfredo Mantovano perché mette la manina su tutti i suoi provvedimenti?

“Fa bene a mettere la sua manina, rappresenta Meloni: discutiamo, miglioriamo le cose. In questi oltre due anni e mezzo abbiamo prodotto tantissimo”.

Compreso l'inutile decreto rave.

“Non era inutile”.

Panpenalismo.

“Non è vero: è servito”.

La tragedia dei migranti a Cutro è la macchia del suo mandato: tornerà a Cutro?

“Sono tornato a Cutro a pregare per i migranti e tornerò a Cutro, un luogo di dolore. E so che i due servitori dello stato, due finanzieri, saranno assolti: come stato, a Cutro, facemmo il possibile”.

Quando si voterà per il referendum?

“Tra fine maggio ei primi di giugno con il primo turno delle amministrative: la data precisa arriverà nei prossimi giorni”.

Finita la legislatura si ricandiderà?

“Sono un prefetto a cui mancano tre anni per la pensione, ma ormai non pongo limiti”.

Se Meloni la chiama e le dice: candidati in Campania, cosa le risponde?

“Non accadrà”.

Segue con cura i social network: è un Salvini temperato?

“Diamo informazioni per raccontare le attività che facciamo, per capovolgere narrazioni catastrofiste e allarmanti sulla sicurezza”.

A Pisa la polizia manganellò i ragazzi.

“Ci furono anche oltre venti indagati fra i manifestanti”.

Mattarella la redarguì.

“Sono moniti da apprezzare”.

Ha aperto canali sociali della polizia e anche un account personale: è vanitoso?

“La percezione è importante. Così come la reputazione di chi ha un ruolo pubblico: voi giornalisti non siete un po' vanitosi?”.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.