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Landini alla stampa estera (per i referendum). Simbolo o segno?

Marianna Rizzini

Doppio topos e doppia nemesi. O comunque un insieme di circostanze da far gridare al triplo cortocircuito simbolico: insomma, ieri, 10 marzo 2025, il segretario della Cgil Maurizio Landini si è recato nella sede della stampa estera, ex tempio ideale di un antiberlusconismo di cui la Cgil si è fatta a lungo co-protagonista, una stampa estera oggi ubicata proprio nelle stanze del piano nobile di palazzo Grazioli, in via del Plebiscito, ex dimora di Silvio Berlusconi. l’uomo che non soltanto aveva annunciato a loro, i giornalisti stranieri, nel lontano 1993, l’intenzione di scendere in campo, ma dalla stampa estera era stato a lungo e non cordialmente attenzionato negli anni duri dei post-it gialli e delle dieci domande lanciate dalla stampa italiana su Repubblica. Se si aggiunge che la stampa estera era prima ubicata in via dell’Umiltà, dove Forza Italia ha avuto sede, e che neanche per Landini i cronisti internazionali hanno avuto finora particolare simpatia, l’affollamento di segni è quasi quasi capace di coprire la realtà. Fatto sta che lui, Landini, alla stampa estera pare starci benissimo: eccolo dunque, sorridente come mai lo si vede, in cravatta come raramente compare, e in compagnia del segretario di Più Europa Riccardo Magi, con cui solitamente non condivide idee e impostazione, ma che con lui entra a palazzo Grazioli, in modalità “strana coppia”, per la comune causa referendaria: informare, informare, informare. E lì, al piano nobile, Landini non soltanto innalza a favore di fotografi (roba che manco il Cav. ai tempi delle copertine dell’Economist sul suo essere “unfit”) il cartello “il voto è la nostra rivolta”, ma, con il collega promotore, annuncia l’incontro di oggi con il governo, con presidio preventivo in piazza Capranica per il diritto di votare i quesiti sul lavoro e sulla cittadinanza, e per opportunità di far convergere le amministrative con il referendum in un unico election day, facendo anche votare gli italiani all’estero e i fuorisede in Italia. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, lo dice la nostra Costituzione”, ripete Landini sempre più sorridente, ché anche la solennità del luogo conferisce una sorta di aura a colui che di solito viene descritto come tribuno ingrugnito per antonomasia, tanto più che in questi giorniì il segretario Cgil è incappato nella questione aderire o meno alla manifestazione pro-Europa, ma apartitica, indetta da Michele Serra su Repubblica, piazza prevista per il 15 marzo ma sulla carta talmente piena di distinguo, a proposito del riarmo invocato dalla presidente Ue Ursula von der Leyen, da far sembrare uni e trini non solo il Pd, ma anche la stessa Cgil e chiunque si avvicini (per non dire del Giuseppe Conte sdegnoso che due giorni fa provava a dettare condizioni dal salotto di Fabio Fazio). Ma intanto, lui, Landini, interpellato da un giornalista che lavora per una testata finlandese, a domanda sulla posizione dell’altro sindacato, la Cisl, risponde che della Cisl non sa, ma che la Uil inviterà a votare di sicuro, e quando un giornalista di una radio spagnola gli chiede del salario minimo lui molto si accende, prima di ricordare che oggi, con Magi, incontrerà il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, e che l’importante è veicolare il messaggio: “Lasciateci votare”. Significa anche: fare sì che la Vigilanza Rai, di suo bloccata per le nomine (per “autoostruzionismo”,  dicono i promotori referendari), partorisca con l'Agcom un regolamento pre-voto.  E insomma, approdare a palazzo Grazioli con una pila di volantini gialli, rossi e blu, con sopra scritto “il voto è la nostra rivolta”, deve fare un certo effetto a Landini stesso. Resta infatti a braccia conserte per dieci minuti buoni, il segretario della Cgil, per poi ribadire: l’appuntamento è decisivo. Si ricorda anche, a un certo punto, che Giorgia Meloni, quando era all’opposizione, parlava in favore dello strumento referendario in generale, e si capisce che Landini condivide il concetto: governo che vai, tiepidi sentimenti sull’iniziativa popolare che trovi. Ed ecco perché la battaglia va fatta ora, perché ha “effetti immediati sulla vita dei lavoratori e delle persone”, esplode Landini nella sala dalle grandi finestre. Poi esce dal palazzo, e l’incantesimo si scioglie: tornerà tribuno. (Vuole scendere in politica? gli hanno chiesto poco prima alla stampa estera. Macchè, ha risposto, ma quante altre ore volete farmi lavorare?). 
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.