
Il racconto
Giorgetti da Ventotene. Il suo piano sulla Difesa piace alla Francia. Silente la Germania
All'Ecofin illustra il piano di garanzia per le spese di Difesa, ma c'è il no dei paesi frugali, silenti Germania e Spagna. Le angosce sul debito e il pensiero: "O l’Europa crea qualcosa ora o mai più. Sarà questa la sua ultima prova”
Roma. Lo spavento, come la morte nel film, lo fa bello. Dice Giorgetti che “l’Italia, sulla Difesa, farà la sua parte” ma “non a scapito della spesa sanitaria” altrimenti “è inaccettabile”. E’ il ministro di garanzia, quello che all’Ecofin ha dosato il “no” e il “sì”. “No” ad altro debito, italiano, per la Difesa, “sì” ai privati, “indispensabili”. Pensa che l’Europa “o si dà un’idea comune, ora, o non ci sarà mai più”, e che non serva un salto quantico, ma di “qualità”. E’ il senzaqualismo di Giorgetti la vera qualità di Meloni.
Si presenta in Europa con i suoi compiti a casa, i Giorgetti homework, e spiega ai colleghi, che oggi un ministro dell’Economia italiano vede finalmente passare, e non più viceversa, che “io e il presidente Meloni pensiamo che sia il momento di un salto di qualità nel coordinamento tra risorse nazionali e garanzia europea”. C’è anche a destra la parola “salto” che come “postura”, ai tempi della guerra in Ucraina, si è ridotta a caramella, vuoi un salto?, ma con Giorgetti il salto non è “quantico”, come dice Schlein, ma l’avviso, a von der Leyen, che per una difesa comune, per raggiungere gli obiettivi, “non basteranno né i singoli bilanci nazionali né il bilancio dell’Unione europea”.
E’ angosciato che il piano di riarmo così come è stato presentato, più per fare titolo, “come fosse un comunicato stampa”, dice riservatamente (pubblicamente ha usato il termine “frettoloso”) possa tradursi in altri bond, debito italiano. E’ angosciato perché anche se si dovesse allentare il Patto di stabilità, come è accaduto per il Covid, si tratterebbe sempre di allungare le scadenze. Il senso è che il debito resta e l’Italia dovrà, prima o dopo, pagarlo, ecco perché per Giorgetti e Meloni servono privati, il modello Invest Ue, garanzie pubbliche che servono da leva a investimenti privati. C’è stata una cena riservata, lunedì sera, organizzata dalla presidenza polacca, e Giorgetti, come aveva anticipato Meloni, al Consiglio Europeo straordinario, ha presentato la “proposta”, che ha già solo il merito di liberare dall’abuso della parola “piano”, un’altra parola andata a male, una proposta redatta con i tecnici del ministero del Tesoro, consiglieri come Fabio Pamolli, e diviso in tre parti. L’hanno chiamata “European Security & Industrial Innovation” e prevede un fondo di garanzia, una leva pubblica da circa 16.7 miliardi che può mobilitare fino a 200 miliardi, una garanzia che si divide in tre tranche.
Giorgetti l’ha presentata accompagnata dalle parole dello storico Harold James, “l’Europa raggiunge risultati migliori quando responsabilità nazionali ben definite confluiscono e convergono in quadro europeo unitario”. Non è escluso che ci sia nella citazione la mano di un altro consigliere, amico, suo, Geminello Alvi, l’eccentrico che un giorno alla chiamata del Foglio, per parlare di Donald Trump, Europa, Germania, rispose: “Non inseguo le polemiche dei giornali, non guardo quelle che si fanno in tv e adesso, mi perdoni, ho un problema impellente: mi è scappato il gatto. Comprenda”. E’ una proposta che ha subito scatenato le proteste dei paesi baltici, dei paesi nordici, i “frugali”, prima tra tutti la Svezia, ma che è stata accolta con favore da Francia, Polonia, Olanda, anche senza eccesso di entusiasmo. Sono rimasti in silenzio Germania e Spagna.
I paesi frugali hanno ricordato a Giorgetti che loro hanno già fatto i tagli e Giorgetti ha pensato, e confidato, tutte le sue perplessità sull’Europa che “si deve ancora fare”. Gli dicevano, anche i tecnici del Tesoro, che per una volta l’accoglienza è stata buona, ma lui avrebbe replicato che oggi “il problema è la tenuta della Ue”, che l’Europa si sente poco continente, che tutte le divisioni del momento, l’ostilità dei frugali, dimostrano “la debolezza europea, confermano che l’Europa ancora non c’è”.
Giorgetti vuole sapere, e lo dice, teme l’effetto sul debito italiano, il riarmo come ulteriore prestito da ripianare e che non fa altro che allontanare i paesi mediterranei, che si indebiterebbero ulteriormente, dai nordici. Non lo convince che ogni paese si muova singolarmente, rischiando così di far schizzare solo il prezzo delle commesse. Ripete che bisogna tenere “distinte le misure emergenziali, necessarie per dare risposte immediate alla crisi, da interventi strutturali”. La sinistra, quella che manifesta agitando il libro di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, che ha definito la proposta di Giorgetti “il gioco delle tre carte”, lo ha detto Angelo Bonelli, gli chiederà oggi, al question time, del piano di riarmo, e ha anticipato che, “scegliere di dirottare risorse in una pericolosa corsa al riarmo, apre la strada a un’Europa sempre più militarizzata e vulnerabile”. Al momento il piano di Meloni sull’immigrazione viene preso a modello dall’Europa, la proposta di Giorgetti, che non apre una corsa al riarmo, ma che chiude, “no debito”, “no bond”, “no ai tagli di servizi”, è la sola a indicare “dove possiamo prendere il denaro”. Giorgetti, rientrando in Italia, raccontano che non fosse né felice né deluso. Come gli capita, e come ha detto, durante un evento del suo partito, si sentiva come una zanzara fastidiosa, che all’orecchio della Ue ronzando sussurra: “O l’Europa crea qualcosa ora o mai più. Sarà questa la sua ultima prova”.
