Il caso

Meloni e la guerra delle risoluzioni. In Europa difende Trump, a Roma combatte con Salvini

Simone Canettieri

A Strasburgo l'astensione di FdI sull'Ucraina: "Troppi insulti all'America". Rigidità sui dazi agli Usa. Tensione sul documento che sarà votato dalla maggioranza in Parlamento

“Troppi insulti a Trump”. Giorgia Meloni motiva così la decisione di Fratelli d’Italia di astenersi sulla risoluzione che riguarda l’Ucraina approvata dal Parlamento europeo. Nel testo   si esprimeva “profonda preoccupazione per l’apparente cambiamento di posizione degli Stati Uniti nei confronti della guerra di aggressione della Russia”,  stigmatizzando “la sospensione degli aiuti militari statunitensi e il tentativo di costringere l’Ucraina a rinunciare al suo legittimo diritto all'autodifesa e a fare concessioni territoriali”. Prima della fatale decisione – che segna comunque una svolta per il partito della premier – ci sono stati due tentativi. Andati a vuoto.  

Carlo Fidanza, capo delegazione di FdI a Strasburgo, ha chiesto prima di rinviare il voto a fronte degli sviluppi arrivati dai negoziati. Niente. Poi ha legato il voto favorevole del suo gruppo al via libera a un emendamento che bilanciava le critiche all’Amministrazione Trump, rilanciando il bisogno di un vertice Usa-Europa per la pace in Ucraina, uno sforzo in più per raggiungere l’ obiettivo. Ma nemmeno questo tiro è andato in gol. Così è arrivata la scelta del partito della premier. Una mossa che non sarebbe stata in qualche modo preavvisata al presidente Ucraino Zelensky. Vengono smentite telefonate dirette con la presidente del Consiglio, anche se non si escludono contatti con chi per il governo di Roma mantiene rapporti quotidiani con Kyiv. Con Zelensky, dicono da Via della Scrofa, l’intesa è migliore che mai. “Non a caso – spiegano dalla delegazione europea  della Fiamma  – abbiamo chiesto di votare in maniera nominale le parti a favore della condanna all’invasione russa”. 

 La scelta di campo tuttavia rimane con il solito sottinteso: in questa decisione c’è la volontà (o la velleità?) di Meloni di cercare di ergersi a ponte fra l’America e Bruxelles. Soprattutto nel giorno in cui l’Unione europea annunciava l’applicazione dei dazi alle merci statunitensi per un valore totale fino a 26 miliardi di euro. La fotografia del voto di Strasburgo restituisce l’immagine di un governo comunque diviso sul piano di riarmo e sull’Ucraina. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia vanno in ordine sparso: un caos degno del Pd. E che adesso però rimbalzerà in Italia, in Parlamento, quando martedì e mercoledì prossimi ci sarà da votare la risoluzione finale alle comunicazioni di Meloni che anticipano il Consiglio europeo.  Si partirà dal Senato: e quindi sulla materia si sta applicando il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani insieme ai capigruppo di maggioranza di Palazzo Madama. Scrivere una risoluzione che contempli le posizioni della Lega con quelle di Forza Italia appare un’impresa abbastanza complicata. Ecco perché nella coalizione e a Palazzo Chigi si sta pensando di usare una formula vaghissima. Per evitare così che le rispettive propagande dei leader non ne escano ridimensionate. Tema che riguarda soprattutto Matteo Salvini: sul piano di Ursula von der Leyen ha detto peste e corna fin dal primo momento. E allora ecco la formula che somiglia un po’ al tormentone al contrario della serie “Boris”:  lo famo, ma non lo dimo. E’ molto probabile cioè che la risoluzione di maggioranza sarà alla fine un testo di una riga o poco più in cui si dice “ascoltate le comunicazioni della premier, si approva”. Un escamotage per evitare lo scontro frontale fra posizioni a dir poco inconciliabili come quelle di Forza Italia e Lega. Tuttavia il Carroccio vuole testi articolati e quindi si tratta parola per parola, virgola per virgola. Per quanto riguarda il cuore della faccenda e cioè la sostenibilità del piano di riarmo per la difesa comune europea, Meloni è intenzionata a ripetere in Aula le parole pronunciate e concordate con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti durante l’ultimo Ecofin. Ovvero: “Sì al piano, ma con le garanzie del debito che dovranno essere europee”.  Tutto è in movimento in un susseguirsi di riunioni a Palazzo Chigi in contatto durante la giornata di ieri con Parigi dove  Guido Crosetto ha partecipato al Summit dei ministri della Difesa nel formato a 5 (inglese, francese, tedesco, italiano e polacco). Alla fine del quale ha ribadito l’obiettivo del governo italiano di presentarsi al prossimo vertice Nato con  l’impegno per le spese militari portato al 2 per cento. Meloni, che in questi giorni sta tenendo un profilo comunicativo bassissimo salvo oggi riemergere a un evento sulla moda a Milano, pare che non abbia apprezzato la risposta muscolare dell’Ue ai dazi di Trump. Si balla sul ponte.
   

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.