
(foto Ansa)
bruxelles
Tutti i voti del Pd sulle armi a Bruxelles. Ora rischia di mettersi fuori dal Pse
Al di là di una certa retorica, i dem si sono sempre dimostrati pronti a sostenere l'Ucraina. Fino al voto di oggi sul piano europeo per il riarmo, con chi spinge per il sì e chi vorrebbe l'astensione
Bruxelles. Dal febbraio 2022 a oggi, il Pd a Strasburgo ha sempre votato a favore della causa ucraina e del sostegno militare a Kyiv. Una striscia di voti senza interruzione che parte dalla gestione Letta e arriva sino agli psicodrammi di ieri, un tabulato che, visto nel suo insieme all’alba del voto odierno, sembra parlare alla leadership dem e dire: “Ma dove sta il problema?”. Correva l’anno 2022. A Palazzo Chigi sedeva, ancora per poco, Mario Draghi e al Nazareno Enrico Letta. Dalle tradizionali risoluzioni di sostegno a Kyiv, il 6 ottobre a Strasburgo si inizia a parlare di assistenza militare all’Ucraina, insomma di armi, e il Pd ci sta e vota compatto assieme al gruppo socialista. A dettar la linea è il capodelegazione Brando Benifei, a favore persino il radicalissimo Smeriglio, Tinagli, Toia e l’indipendente Pisapia. A Palazzo Chigi, nel frattempo, arriva Meloni, ma in casa Pd non cambia musica. Il 16 febbraio 2023 si torna a parlare di armi a Strasburgo. L’Eurocamera manda un messaggio chiaro: il suo testo di sostegno all’Ucraina chiede agli stati membri di fornire a Kyiv “forniture militari necessarie per continuare a resistere per tutto il tempo necessario”.
E anche questa volta, nei tabulati Pd non ci sono defezioni. Necessario, però, fare un inciso: ogni testo che va al voto all’Eurocamera arriva compendiato di emendamenti, e sul voto degli emendamenti spesso qualche eurodeputato cerca di far vedere il proprio dissenso. Segnali di fumo interni che però non cambiano la sostanza delle cose. Alla storia passano le risoluzioni con i loro testi finali, ed è su quei testi che sono chiamati a esprimersi in ultima istanza gli eurodeputati. E su quei testi che il Pd ha mostrato fin qui una timida ma decisa coerenza. A fine febbraio 2023, al Nazareno inizia l’era Schlein, una notizia che lascia sorpresa la delegazione Pd a Bruxelles che, Camilla Laureti a parte, al congresso si è schierata tutta con Stefano Bonaccini. Il 15 giugno potrebbe essere il primo test per vedere se la nuova segreteria ha cambiato la linea del Pd. All’Eurocamera arriva un testo scivoloso che, sostenuto dalla spinta bipartisan degli eurodeputati dell’Europa dell’Est, chiede che si faccia il possibile affinché l’Ucraina aderisca alla Nato. Una richiesta difficile da vendere in casa e che infatti mette in difficoltà persino gli eurodeputati di Forza Italia. Il Pd, negli emendamenti, cerca qualche leggera modifica che però non arriva: risultato, i dem votano compatti a favore del testo finale, compreso Benifei, che nel frattempo è rimasto capodelegazione nonostante la sua scelta bonacciniana. A favore anche Laureti, Tinagli e tutti gli altri eurodeputati Pd. Stesso scenario il 29 febbraio 2024, con la nuova risoluzione di supporto che invita a dare all’Ucraina “tutto ciò di cui ha bisogno” e a cui tutta la delegazione dem vota a favore.
Con la nuova legislatura, però, arrivano le prime defezioni, anche se tecnicamente non sono del Pd. E’ il 19 ottobre 2024, e la risoluzione dell’Eurocamera chiede che l’Ucraina possa usare armi Ue per colpire in territorio russo. Sull’emendamento incriminato il Pd cerca il dissenso simbolico, qualcuno stacca la scheda, ma la frase rimane nel testo finale e incassa il voto dei dem presenti, tutti tranne Tarquinio e Strada, astenuti.
Il prossimo capitolo di questa storia si scrive oggi a Strasburgo, con il voto sul riarmo Ue. Tecnicamente un passo coerente con le posizioni prese sin qui, ma dal fronte dem arrivano messaggi discordanti. Eppure, davanti ai dubbi, basterebbe guardare quanto fatto finora per trovare una bussola. Guardare ai quei tabulati che sembrano dire “dai, provaci ancora, Elly”.
