L'intervista

Gori: “L'astensione Pd sul Rearm Eu? Un errore, così ci isoliamo dal Pse”

Gianluca De Rosa

L'ex sindaco di Bergamo ed europarlamentare del Pd vota (insieme ad altri nove esponenti dem) contro la linea della segretaria e a favore del piano di riarmo europeo: "Zingaretti e Bonaccini avevano mediato un testo che andava bene a tutti, ma Schlein si è imposta" 

“Non era un voto come un altro. Nonostante gli sforzi per tenerla unita, metà della nostra delegazione ha scelto di astenersi sul piano di difesa, isolandosi dal resto del gruppo socialista. Non riesco a non vederlo come un errore”. Giorgio Gori, eurodeputato del Pd, è tra i dieci esponenti del suo partito che ieri ha votato a favore della risoluzione sul Rearm Eu di Ursula von der Leyen. L’altra metà degli europarlamentari dem, 11 per la precisione – come il capo delegazione Nicola Zingaretti, Dario Nardella e Matteo Ricci – hanno deciso di seguire la linea di Elly Schlein e di astenersi. “Stiamo parlando di un passaggio importante nella storia dell’Ue”, riconosce Gori. “Nella famiglia socialista la delegazione Pd è la più numerosa, e quindi in teoria la più importante. Dentro al gruppo non contano però solo i numeri,  ma anche i comportamenti. Grazie al lavoro di Nicola Zingaretti e Lucia Annunziata avevamo ottenuto importanti correzioni  della risoluzione socialista, poi riversati nella risoluzione congiunta votata dal Parlamento. I colleghi hanno accolto i nostri suggerimenti, ma poi si sono ritrovati ad avere con loro solo il voto di mezza della nostra delegazione. Mi dispiace: così la nostra posizione dentro al Pse si indebolisce”.


 

Ma come si è arrivata questa spaccatura? “E’ stato fatto tutto il possibile per evitarlo. Innanzitutto perché il testo rappresentasse  la nostra ambizione a una difesa europea  integrata e unita, superando i limiti che il piano attualmente presenta. Anche Stefano Bonaccini, come presidente del partito, ha cercato fino all’ultimo  una posizione comune. Sono stati fatti grandi passi avanti, che non  sono stati però ritenuti sufficienti”. Gori non lo dice, ma  chi non lo ha ritenuto è Elly Schlein. E infatti alla fine anche i tre mediatori tra il gruppo socialista e il Pd si sono divisi sul voto: Bonaccini ha votato a favore, Zingaretti si è astenuto, Annunziata pure.  “Con loro, una buona metà della delegazione ha deciso di seguire le indicazioni della segreteria”, dice Gori. Perché mai? “L’imput è arrivato dal Nazareno e loro lo hanno seguito. Penso che se fossero riusciti a convincere la segretaria del lavoro fatto la delegazione avrebbe votato compattamente a favore”. Come si spiega una tale impuntatura della segretaria Schlein? “Tutti quanti siamo per la difesa comune europea – dice Gori – e tutti quanti cogliamo i limiti del piano von der Leyen. La differenza è chi vede il bicchiere mezzo pieno – noi – che consideriamo questo passaggio un necessario punto di partenza, e chi lo vede mezzo vuoto, e per questo si astiene. Forse hanno pesato delle logiche più nazionali. Sono consapevole che oggi a un sondaggio la maggior parte dei nostri cittadini  si esprimerebbe con delle riserve su un piano  che si chiama Rearm. Non solo perché è infelice il titolo, ma perché siamo molto disabituati a dover maneggiare questi temi. Facciamo fatica  persino a realizzare che siamo in una condizione di nuovo e maggiore rischio, perché per ottant’anni abbiamo avuto qualcuno che ci ha teso un ombrello sopra la testa e ci ha consentito di ridurre progressivamente la spesa militare  in favore di tante altre cose. Eppure le minacce ci sono e quella protezione non c’è più. Quindi, nell’interesse dell’Italia e dell’Europa, questo è il momento della responsabilità. La demagogia irresponsabile del “basta soldi per le armi” la lasciamo a Salvini e ai 5 Stelle”.


Se da un lato adesso il Pd sarà guardato dal resto dei socialisti europei con un certo sospetto, dall’altro c’è chiedersi se c’è ancora spazio per i riformisti dentro al Pd. “Su questo non ho dubbi– dice Gori. Anche i numeri del voto di oggi dimostrano che ci siamo e siamo tutt’altro che marginali. Va anche riconosciuto che ci è stata data piena agibilità di opinione. Certo, avrei auspicato un confronto che tenesse più vicini Roma e Strasburgo, aldilà degli emissari. E invece non c’è stato”, dice, tirando un piccola ma velenosa frecciata alla segretaria. E adesso? “Adesso dobbiamo lavorare insieme a fare quello che condividiamo: migliorare il piano. Il rischio è che la deroga al patto di stabilità  anziché portarci a convergere  intorno a progetti effettivamente condivisi  a livello europeo,  ribadisca l'attuale inefficiente frammentazione. La strada  operativa  per evitarlo sarebbe quella di riuscire a ottenere che lo sforamento del patto  sia autorizzato solo per le spese  che concorrono a investimenti comuni”.

 

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