Nicola Latorre (LaPresse)

Poche luci, molte ombre

Il prof. Latorre: “Il piano Ue sui rimpatri? Tanti dubbi, ma ora Meloni può correggere modello Albania"

Ruggiero Montenegro

Il docente della Luiss ed ex senatore: "E' positivo cercare di omologare i comportamenti dei diversi stati europei. Ma senza accordi con l'Africa l’intero piano rischia di rimanere astratto e teorico. Servono strategia, diplomazia e soprattutto investimenti. Legittimi i dubbi  dei socialisti sui diritti umani"

Evitare i facili entusiasmi. “Il nuovo piano per i rimpatri? Nella proposta della Commissione europea ci sono alcune luci e molte ombre, e queste ultime non sono di poco conto. Molto dipenderà da come sarà sviluppato nei prossimi mesi, dalla capacità di fare accordi con i paesi d’origine dei migranti”, risponde Nicola Latorre – professore di Relazioni internazionali alla Luiss di Roma, dopo aver guidato l’Agenzia industrie difesa e dopo 4 legislature in Senato, con i Ds e poi con il Pd, tra il 2005 e il 2018.

“Il fatto che su una questione cruciale come quella dei migranti si decida di adottare un provvedimento che omologa i comportamenti dei diversi stati europei, in modo sempre più unitario, credo sia un aspetto positivo. E questa considerazione vale anche per gli altri temi, come ReArm Europe, che oggi richiamano l’attenzione del dibattito pubblico”, è la premessa da cui parte Latorre prima di addentrarsi nel merito del suo ragionamento. “Quella dei rimpatri è un’esigenza reale, comprensibile. I dati confermano che soltanto una piccola percentuale di questi provvedimenti trovano  effettiva attuazione”. Solo uno su cinque, secondo la Commissione Ue. Per Bruxelles il nuovo regolamento, che mette al centro gli hub  in paesi terzi,  sarà uno strumento utile a cambiare la tendenza. Può esserlo davvero? “Ci sono molte questioni che lasciano perplessi”. Ci spieghi. “Il meccanismo può funzionare solo se si concretizza un’iniziativa finalizzata a stringere accordi con i paesi destinatari dei rimpatri. E’ del tutto evidente invece che senza queste intese l’intero piano rischia di rimanere astratto e teorico. Serve mettere in campo uno sforzo diplomatico e finanziario verso i paesi africani. A mio avviso è un punto indispensabile affinché questo regolamento, così come qualsiasi altra misura sull’immigrazione, possa avere un reale successo”. 

La destra meloniana intanto esulta, vedendo nella proposta Ue una legittimazione del modello Albania, che nei fatti tuttavia continua ad arrancare. “Ognuno fa il suo mestiere”, sorride Latorre. “Ma c’è una differenza di fondo tra l’iniziativa Ue e quella del  governo Meloni. Il piano europeo si riferisce soltanto a persone già destinatarie di misure di rimpatrio, a differenza dei centri albanesi dove possono arrivare anche migranti le cui procedure non sono state ancora esaurite”. Senza dimenticare gli interventi dei giudici, che più volte hanno fermato il protocollo Albania. “Mi verrebbe da dire che questa può essere un’ottima occasione per il governo di rimediare, omologando l’utilizzo degli impianti in Albania alle indicazioni europee, così da utilizzarli esclusivamente per questa nuova specifica esigenza”. Sempre che vada ancora bene a Tirana, dove si vota a maggio. E che nel frattempo non cambi lo scenario anche Bruxelles, considerando che i socialisti – e non solo loro – hanno espresso riserve sulle nuove modalità di rimpatrio. “Credo siano legittime le richieste che arrivano da alcune componenti dal Parlamento europeo. Non sono ancora chiare infatti le garanzie dal punto di vista dei diritti umani. E anche rispetto alla temporalità della detenzione dei migranti esistono delle perplessità, tanto più se a monte non ci sono accordi con i paesi in cui rimpatriare. I centri rischiano di diventare altro rispetto a quello per cui sono stati pensati”.

Per evitare tutto questo, spiega ancora Latorre, è dunque essenziale che le nuove misure non restino solo uno spot,  titoli da conferenza stampa, ma diventino parte di una visione più ampia. “In questo modo possono davvero svolgere un ruolo importante. Occorre però contestualmente affrontare in maniera strategica il tema del rapporto con l’Africa. Il cosiddetto Piano Mattei, in questo senso, potrebbe diventare uno degli strumenti di questa iniziativa, non solo in chiave italiana ma  addirittura europea”. In che modo? “Attraverso la strategia e la diplomazia Ue, e soprattutto con importanti investimenti in Africa. Le migrazioni – conclude Latorre – non rappresentano un’emergenza, ma un fenomeno strutturale. Per ottenere risultati bisogna insomma mettere in campo politiche coerenti a questo assunto”. 
 

Di più su questi argomenti: