Foto Getty

L'editoriale dell'elefantino

Quelle degenerazioni causate dal silenzio delle élite progressiste

Giuliano Ferrara

Quante perversioni politiche ha causato il bavaglio su etica e cultura. Bisognerebbe fare un passo avanti e indicare su quali piani è possibile un recupero della ragione discorsiva, del dialogo intorno alla verità e ai suoi criteri oggettivi

Giuliano Amato è un socialista e laico che si era pronunciato dubbioso, e qualcosa di più, sull’aborto, quando l’aborto era una questione di tutela della maternità cosiddetta consapevole e il tentativo riformatore di evitare normativamente la piaga della clandestinità, ma non era ancora un diritto dispiegato e incondizionato, salvo nella poi abrogata sentenza della Corte suprema americana (Roe vs Wade) che ne fece oltre mezzo secolo fa una questione di difesa della privacy femminile. Ora è inscritto nella Costituzione francese (credo all’unanimità o quasi) come diritto puro e semplice. Per queste obiezioni etiche Amato ebbe qualche noia, ché il progressismo morale sa essere aggressivo e censorio, ma tenne un comportamento prudente, com’è nel suo stile, non evasivo e non appassionato, uscendone vivo. Frequenta il Cortile dei gentili, magnifica istituzione culturale ideata sotto Ratzinger e Ruini per discutere con apertura non confessionale, nella Chiesa e nel mondo esterno, le grandi questioni etiche, tra queste il fine vita, che è la dizione pudica o eufemistica per un altro “diritto” che finirà presto in qualche Costituzione europea, il diritto di morire.

Anche lì, il progressista sorvegliato cerca una mediazione culturale, di linguaggio, incentrata sulla “pietà” che scarta da un lato la dogmatica sacralità della vita dal concepimento alla morte naturale, dall’altro la riduzione a definizione giuridica libertaria del suicidio o dell’eutanasia come pura norma fondata sul consenso individuale o sociale.

Amato si è chiamato in causa e ha chiamato in causa i suoi simili, ripreso qui e in un interessante articolo di Ernesto Galli della Loggia ieri nel Corriere, per la disattenzione delle élite progressiste occidentali di fronte a mentalità, sensibilità e idee della tradizione culturale che sono diventate la bandiera sventolata nelle guerre culturali dal populismo di Trump, di J. D. Vance e di un vasto fronte che afferma di combattere l’ideologicamente corretto e ha raccolto su questa linea un fragoroso successo politico e un vasto consenso. Morale della favola: un progressismo meno arrogante, esclusivista e censorio nell’inclusività e nella pratica indiscriminata dei diritti, meno lontano dalle radici tradizionali di una modernità in crisi, ci avrebbe forse risparmiato, se le classi dirigenti dell’occidente democratico e liberale non si fossero “correttamente ideologizzate”, il pasticcio attuale di un fenomeno che allinea o accatasta, con un vasto consenso capace di soffiare su America e Europa, parecchie cosette: dazi insensati sull’alluminio e l’acciaio, attacco sulfureo alla scienza sperimentale, disboscamento dello stato a mezzo di motosega e teorie del complotto, critica fondamentalista della gender culture (siamo maschi o femmine, punto), disprezzo delle regole, rinnegamento delle alleanze e del loro sostrato di valori, crociate neoconfessionali e bigotte e letteralmente patriarcali alla Kirill, grotteschi neomachismi, irrisione per l’autodeterminazione dei popoli e per l’autodifesa dall’aggressione autocratica e neoimperiale, tutto simbolicamente riassunto dalla fronte pentecostale segnata da una croce di cenere del segretario di stato americano in tv o nel crocifisso-portachiave agitato da politici minori sui palchi dei comizi in Europa, tanto per fissare un elenco solo parziale della debilitante crisi delle democrazie internazionali e della loro base istituzionale storica.

Viene da osservare che di queste cose non si parla se non tra pochi convertiti, e solo tra loro. Il silenzio culturale dei progressisti, anche quando è tra le loro file che matura la riflessione sui guasti della sussiegosa lontananza dai “pregiudizi” popolari, è schiacciante, soffocante. Quando Ratzinger chiedeva di rispettare lo spazio pubblico di una discussione in cui il pensiero cristiano-cattolico e quello esterno alla Chiesa fossero abilitati a mettere in questione la ragione strumentale e sofistica di un estremo e chiassoso e confuso relativismo, veniva offerto un terreno generale, un campo di assorbimento e di decantazione delle guerre culturali. Oggi la consapevolezza di una battaglia persa, di un’occasione mancata, non varca le linee, e il tra le righe, di un’intervista o di un editoriale. Viene anche da osservare che bisognerebbe fare un passo avanti, bisognerebbe indicare su quali piani è possibile un recupero della ragione discorsiva, del dialogo intorno alla verità e ai suoi criteri oggettivi. Il progressismo delle élite ha provocato una reazione rabbiosa, frustrata, rancorosa e violenta, con tutti i guasti conseguenti ed evidenti ai nostri occhi, si è rivelato autofagico, e allora, che fare? 
            
 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.