(foto Ansa)

l'editoriale del direttore

Due anni di Schlein spiegati con la folle posizione del Pd su una grande riforma chiamata Jobs Act

Claudio Cerasa

Dall'inizio del suo mandato la segretaria ha scelto di rendere negoziabile il suo europeismo. Ha scelto di rendere negoziabile il suo antifascismo, promuovendo una classe dirigente timida sulla difesa dell’Ucraina. E ha scelto di schierarsi contro le imprese, contro gli imprenditori, e contro il lavoro, promuovendo un referendum che punta ad abolire la più importante riforma liberale negli ultimi dieci anni

Per uno strano scherzo del destino, uno dei punti più bassi raggiunti nella storia recente dal Partito democratico si è manifestato a due anni esatti dalla proclamazione ufficiale di Elly Schlein come leader del Pd. Era il 12 marzo del 2023. Due anni dopo, il Pd è qui, di fronte a noi, a mostrare il suo volto ambiguo su due temi che pure dovrebbero essere al centro dell’agenda di ogni partito progressista europeo: antifascismo ed europeismo. L’ambiguità sul fascismo la si nota con la difficoltà a schierarsi con forza con la resistenza armata dell’Ucraina. L’ambiguità sull’europeismo la si nota con la difficoltà nello schierarsi con forza a favore del riarmo europeo, come fatto invece da tutti i partiti socialisti europei.

 

Il Pd, storicamente, ha costruito la sua identità puntando su tre temi. Due di questi, con le posizioni sull’Europa e sulla difesa dell’Ucraina, sono stati traditi da Schlein. Un terzo tema, invece, è stato tradito dal Pd non con l’ambiguità ma con la nettezza di una posizione. Il tema a cui facciamo riferimento, in questo caso, è un tema che si lega all’economia e in particolare al lavoro. Il Pd ha sempre avuto al centro della sua agenda, anche nella stagione di Schlein, l’idea che il compito prioritario di un paese moderno debba essere quello di mettere insieme le strategie necessarie per permettere alle imprese di creare lavoro. Due giorni fa sono state comunicate, nell’indifferenza generale, le date in cui si svolgeranno le prossime cinque consultazioni referendarie: l’8 e il 9 giugno.

 

Tra i referendum, come sapete, vi è anche quello che riguarda il Jobs Act. E la scelta di Schlein di schierarsi a favore della sua sostanziale abrogazione è una scelta chiara e grave, per una serie di ragioni che meritano di essere ricordate. Nel 2014, il Jobs Act, approvato dal governo Renzi, ha contribuito a offrire alle imprese maggiore flessibilità contrattuale, attraverso l’abrogazione dell’articolo 18. Tutti coloro che, Cgil in primis, scelsero all’epoca di demonizzare la riforma sostennero che dare agli imprenditori strumenti per costruire contratti flessibili avrebbe contribuito a creare maggiore disoccupazione e maggiore precarietà. Nulla di tutto questo è successo. Tra il 2014 e il 2017, l’occupazione è cresciuta di circa 1.029.000 unità. Nel 2014, si contavano circa 22.400.000 lavoratori occupati. A gennaio 2025, quel numero è aumentato di circa 1.822.000 unità. Nel 2014, i lavoratori a tempo indeterminato erano 14 milioni. Nel 2025, i lavoratori a tempo indeterminato sono 16,4 milioni: 2,4 milioni in più. Le ragioni sono molte, ma quella più importante riguarda il piano culturale: ogni volta che un paese industrializzato, Italia compresa, mostra di avere fiducia negli imprenditori, dando loro strumenti di flessibilità, gli imprenditori di solito rispondono assumendo di più. E’ successo lo stesso nel 2021, in Italia, quando una volta annunciata la rimozione del blocco dei licenziamenti, dopo la stagione più dura del Covid, gli imprenditori piuttosto che licenziare “un milione di persone”, come stimato dai leader di Cgil e Uil, assunsero due milioni di persone.

 

E’ successo lo stesso in questi anni anche in altri paesi che hanno scelto di scommettere sulla flessibilità. La Spagna, nel 2012, ha dato vita a una riforma non troppo diversa dal Jobs Act. Risultato: nel 2012, il tasso di disoccupazione era al 24 per cento, oggi è al 10,6. La Francia, tra il 2013 e il 2017, ha dato vita a tre riforme che hanno aumentato la flessibilità. Risultato: nel 2016, la disoccupazione era al 10 per cento, nel 2024 è arrivata al 7,3. Sintesi. In due anni, il Pd ha scelto di rendere negoziabile il suo europeismo, allontanandosi dal Pse. Ha scelto di rendere negoziabile il suo antifascismo, promuovendo una classe dirigente timida sulla difesa dell’Ucraina. Ha scelto di schierarsi contro le imprese, contro gli imprenditori, e contro il lavoro, promuovendo un referendum che punta ad abolire la più importante, ed efficace, riforma liberale approvata dal Parlamento negli ultimi dieci anni. Buon anniversario Elly.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.