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RITORNO ALLE ORIGINI

Messaggio leghista a Salvini: al congresso troppi meridionali

Francesco Gottardi

La mozione di Alberto Stefani fa il giro del Carroccio e piace a tutti. Riecheggiano parole dimenticate e l'invito a non svilire la questione identitaria. Si parla di battaglia federalista, con un colpo di scena: Favero dice che va ripensata anche in chiave comunitaria, servono gli Stati Uniti d'Europa

Venezia. E a un certo punto, attorno al fuoco leghista, tornò a riecheggiare una parola smarrita. “Settentrione!” La mozione di Alberto Stefani, segretario veneto, sta facendo il giro del Carroccio ancora prima di venire formalmente presentata al congresso federale. Piace a tutti. Dalla Lombardia all’Emilia-Romagna. Con la benedizione di Luca Zaia e “l’assoluta attenzione” – tradotto, non belligeranza – di Matteo Salvini. Figurarsi allora come brindano i militanti, che da anni andavano predicando nel deserto. “Era ora”, sorride Roberto Marcato, campione di preferenze a serenissime latitudini. “Troppo a lungo sono stato un megafono solitario: la questione identitaria è vitale per la sopravvivenza e il rilancio del partito. Bene che anche i vertici se ne siano accorti”. E se il nord torna all’ordine del giorno, che ne sarà degli altri leghisti? Pugliesi, campani, salviniani arruolamenti sparsi. “Per carità di Dio”. Cioè? “Uno del sud non può contare più di noi. Non esiste”. Contrattacco padano. “Veneto ai veneti, paroni a casa nostra e Leone di San Marco: è finito il tempo di bon ton e signorini. O la Lega ritorna Lega o non avrà futuro”.


Ma nei bar, nei gazebo, li chiamate ancora terroni? “Dai, questo no”, chiarisce Marcato. “Attenzione: la questione settentrionale non è in antitesi rispetto al sud. Ciascuno deve contare rispetto al proprio territorio. Guai però a occuparsi soltanto di loro: figuriamoci se con la nostra storia possiamo farci dare direttive da altre regioni. È per questo che va ribadita la nostra identità: libera di affrontare i problemi locali con ampio margine competitivo, proponendo soluzioni senza zavorre ideologiche. Né di sinistra, né di destra – né tantomeno estrema”. Gli uomini di Zaia declamano il pamphlet. Rilanciano: l’autonomia differenziata non basta più. “Ben oltre il nord. Il ritorno al concetto di federalismo – pure presente nella mozione Stefani – era necessario”, interviene Marzio Favero, il filosofo della Liga veneta. “Si è smesso di parlare di devoluzione, di riordino degli enti locali. E la storica battaglia federalista va ripensata anche in chiave comunitaria, vista la fase drammatica che vive il nostro continente: servono gli Stati Uniti d’Europa”.


Momento. Stiamo ancora parlando col partito di Salvini, che invita Vannacci e Orban a Pontida sparando a zero contro Bruxelles? “Trovo estremamente interessante la posizione di Stefani”, spiega Favero, “perché implica un’altra grande conseguenza: il federalismo è per definizione incompatibile col sovranismo. Siamo davanti a scelte storiche, che la Lega non può permettersi di sbagliare”. Il consigliere regionale va come un treno. Cita Bobbio, Hegel, Einaudi. “E ricordiamoci che la Padania era una provocazione al limite della goliardia, nello spirito di Bossi: l’apertura al sud è stata giusta, i territori dialogano, non si può pretendere l’autonomia senza coinvolgere l’intero paese. Ma anche per il meridione, la terapia più idonea resta il federalismo”. Ponti sullo Stretto? “Non prestiamoci agli slogan. I temi veri sono altri: abbiamo urgenza di ripensare questa Lega perché il mondo sta cambiando in fretta. Quindi vorrei che dal congresso esca un’ulteriore scelta strategica: basta prestare il fianco alle destre. Cosa c’entriamo noi con AfD?”. Ditelo al capitano. “L’ideologia è un relitto politico. Se continuiamo così, davanti alle superpotenze predatorie, quelle ci mangeranno in un boccone senza nemmeno farcelo capire. Pensiamoci bene, a Firenze”.
Il conto alla rovescia è già iniziato: al federale ci saranno 732 delegati, di cui 400 elettivi. Pronta la scaletta: sabato 5 aprile interverranno governatori e ministri, poi le modifiche statutarie. La domenica giorno di voto. Anche per le mozioni: nel Carroccio s’inizia a vociferare che il balzo in avanti di Stefani sia in realtà una furbata concordata con Calderoli e Sarvini, per togliere la possibilità ai leghisti più barricaderi di presentarne altre di questa natura. Dunque cambiare, perché tutto resti com’è. A sentire il Gattopardo, i venetisti faranno un colpo.