(foto Ansa)

Il racconto

Schlein, indietro tutta, costretta a indietreggiare sul Congresso, incalzata da Gentiloni. Il gelo con il Quirinale

Carmelo Caruso

Indecisa come chiarire, è imbrigliata dello statuto, che ha tempi lunghissimi, lavori in corso anche sulla risoluzione che rischia di spaccare ancora. Il rapporto mai costruito con Mattarella

Errori di gioventù, da Schlein: scambiare un congresso anticipato per il rinnovo della tessera Arci. Non sa come uscirne, è in riunione, da due giorni, al Nazareno,  perché come hanno candidamente ammesso i suoi fedayyin, i leali, “ma deve dimettersi per convocare il congresso anticipato? Ah, non ci avevamo pensato”. Da quando Schlein ha dichiarato “serve un chiarimento”, dopo il voto sul riarmo (Gentiloni dice: “Se non si fa ora, quando si farà un passo sulla difesa europea?”) cerca di chiarire come chiarire. Non aveva fatto i conti con l’articolo 5, comma 4 dello statuto del Pd, che regola le dimissioni, 36 pagine, come se il Pd fosse l’Eni. Decaro lo sta imparando a memoria (pronto a candidarsi) Bonaccini lo evidenzia. Ciccio Boccia fa l’avvocato, “cara Elly, ci serve una strategia”. Non l’avevano vista arrivare, ma i notai, del Pd, sì.

 

  Il congresso anticipato del Pd? Semplice. Se va bene se ne parla tra quattro, cinque mesi, e per iniziare le procedure ne servono almeno due. Se va bene, il nuovo segretario, anche l’eventuale riconferma di Schlein, arriva dopo l’estate, dopo i referendum sul Jobs act. Che fare? Marco Furfaro e Igor Taruffi, che è stato anche assessore regionale in Emilia-Romagna, guai a definirli tutti loro il centro sociale magico (sono permalosetti, come il governo Meloni, dunque porgiamo le nostre scuse) sono per la linea “prendiamoci tutto, proviamoci. Interrompiamo questi rituali”. Ogni volta che Luigi Zanda parla (è in una fase strepitosa) a Marta Bonafoni, la capa fedayyin, viene voglia di marciare e strappare tutte le strenne dello Zanda bibliofilo, ma non si può, perché Zanda rappresenta il collegamento De Benedetti-Quirinale-Franceschini. A proposito di Quirinale. 

 

Da quelle parti dicono che Schlein ha suonato una volta sola il campanello, subito dopo l’elezione a segretaria, due anni fa, e poi mai più. Neppure una chiamata, come si fa a casa, ai nonni lontani. Nulla. Come la pensa nonno Sergio, che è stato ex ministro della Difesa, e che a Marsiglia ha incantato l’Occidente, con il suo discorso, è inutile dirlo. La Russia lo minaccia ogni giorno, ma non risulta che Schlein sia corsa con i pasticcini, le sciarpe “Forza Sergio”, a esprimere solidarietà. Bastava anche solo una fotografia con lui, ma gli ingegneri dei social, del Pd, non ci hanno pensato. Peccato. Al Quirinale, quando qualcuno chiede: “ma Schlein? Si è vista passare?”, viene data come risposta che c’è una distanza generazionale che è anche di metodo (libro consigliato “I Vecchi e Giovani” di Pirandello). 

 

Ma non ci sarebbe forse da imparare da un presidente della Repubblica, fondatore del Pd? Niente. Peppe Provenzano, che queste cose le capisce, da siciliano, come Mattarella, e che scorrazza in centro con la sua Vespa Special rossa, si sta divertendo un mondo: “Bip, Bip, non posso parlare. Vado, Riunione!”. La sua è un’altra riunione ancora. Deve occuparsi della risoluzione del Pd, da presentare in Aula, in vista del Consiglio europeo. Ha iniziato a scriverla insieme ad Alessandro Alfieri, il capo dei riformisti, ma naturalmente i riformisti non possono accettare che dopo la spaccatura in Europa si dica “no” al riarmo. Alle 18, come nei cantieri “i lavori sono in corso”. L’altra riunione, quella di Schlein, è di “maggioranza”, e da quanto ci viene comunicato va avanti da giovedì mattina (ne usciranno disidratati). Sarebbe iniziata così, con i fedayyin (tutti simpaticoni, sia chiaro, non come Delmastro) che si sono guardati e detto: “Vabbè, che ci vuole a fare un congresso?”. E qui urge sottolineare la linea Boccia: giovedì ha rilasciato un’intervista al Manifesto, che era da Arci, e ieri una a Repubblica, che era da sacrestia. Taruffi che è un emiliano e che cerca sempre il dialogo suggerisce: “Qui ci serve chi ne sa”. Chi è il migliore, che ne sa? Chi è cresciuto a partito e Bersani è Nico Stumpo, la pelata più sapiente dell’Aspromonte, un funzionario che quando eravamo ragazzi,  in Sicilia, veniva prelevato in aeroporto come Togliatti a Mosca: “Arriva Stumpo, andiamo a Catania a prenderlo!”. Detto, fatto, si stumpi. I fedayyin chiedono consiglio a Stumpo (Boccia era impegnato a rilasciare la suddetta e sontuosa intervistona a Rep., del direttore Mario Orfeus che accoglie oggi in piazza Schlein; ah, la segretaria teme il fischio) e Stumpo fa capire che lo statuto consegnerebbe il potere a Bonaccini. Ahi, ahi. Lo statuto è stato scritto quando il segretario era il naturale candidato premier, che è un’altra fissa di Schlein. Si è convinta che la candidata deve essere lei, a tutti i costi, ecco perché a Conte risponde con il metodo “e io faccio più uno”, quel Conte che un giorno sì e l’altro pure li prende a buffetti: “Mi sembra che il Pd sia un partito troppo plurale”. I vecchi del Pd le ricordano che Palazzo Chigi si sogna ma non si dice, come D’Alema che alla fine ci arrivò, usando Romano Prodi. Roberto Morassut, un capitolo del Pci, oggi deputato, a differenza di Zanda, pensa che “Schlein può fare la premier, ma perché pensarci ora? Meloni non era ritenuta all’altezza ma poi… è la funzione che fa la donna o l’uomo”. Sì, ma il chiarimento, a che punto è? Ecco, il chiarimento al momento sta calando come i titoli di Musk in Borsa. Da congresso anticipato, a direzione, fino a scendere ad assemblea del Pd (sono 600). In attesa che la riunione finisca, i riformisti hanno cominciato a solleticare Decaro, “preparati”, ma lui fa orecchiette da mercante. Può finire nel migliore dei modi possibili, con il niente, che conviene a tutti. Nel Pd alla fine sono i notai che fanno la storia.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio