Un altro Pd è possibile. Parla Picierno, vicepresidente dell'Europarlamento

Pietro Guastamacchia

ReArm Europe? “Risposta necessaria e tempestiva a Trump e a Putin”.  L’Ucraina? “Causa fondante per i valori progressisti”. Schlein?  “No alla donna sola al comando”. E poi il Pd, adagiato sulla stabilità, e l’orrore del populismo penale. E l’elogio del Jobs Act

Se il Pd è oggi in stato di agitazione, Pina Picierno lo era già da un pezzo. “Inutile girarci intorno, siamo in fibrillazione, ci sono dei problemi con il posizionamento europeo del Pd”, conferma al Foglio la vicepresidente dell’Europarlamento, una dei dieci eurodeputati che la settimana scorsa, a Strasburgo, hanno sconfessato la linea Schlein votando a sostegno del piano ReArm Europe. La dem, però, respinge le accuse di bellicismo e anzi mette in guardia sul fatto che, anche a dare dei guerrafondai a caso, “si irritano i socialisti europei” e forse si perde anche il treno del Pse. Picierno attacca il Nazareno: “Arrivano decisioni dall’alto senza che ci si confronti” e avverte che “l’uomo solo, anzi la donna sola al comando non è un modello che va bene al Pd”. Sul congresso però non si sbilancia: “Più che un congresso, serve un confronto vero sui temi”. Se si guarda all’Italia, al referendum sul Jobs Act, la vicepresidente ne denuncia “la finalità puramente ideologica”, mentre sullo stato dell’opposizione parla di “polarizzazione inconcludente e identitaria”. Di Meloni invece critica “l’europeismo ambiguo” e il pensare di contare qualcosa a Bruxelles “solo perché in rubrica ha il numero di Donald Trump”. In Europa Picierno è sinonimo di Ucraina: l’eurodeputata Pd è sempre un passo avanti, verso Kyiv, rispetto al suo partito e, anzi, spesso ne denuncia la “freddezza” verso una causa che, a suo dire, è “fondante per i valori progressisti ed europei”. Tutti sanno che ha un filo diretto con la presidente Metsola, meno noto invece quello con il Quirinale. 

  
Dalla Margherita con furore, Picierno cresce politicamente con Francesco Rutelli per poi sbarcare a Roma nel Pd di Walter Veltroni, “il Pd in cui si è sentita più a casa”. Sulla scrivania ha una copia del libro-intervista di Elly Schlein, poggiata accanto a una monografia su Nino Andreatta. Senza nulla togliere ai due, però, nel tempo libero preferisce leggere Jean-Claude Izzo o, se è un giorno da poesia, Patrizia Cavalli.  E’ avvezza ai compromessi, e non a caso arriva da Teano, ma la sua vera casa è l’Europa. Europarlamentare del Pd dal 2014 e vicepresidente dell’Eurocamera dal 2022, giura che “è qui che vuole condurre le sue battaglie per il partito”. Da quando Schlein è alla guida del Pd, le divergenze con la dirigenza dem aumentano e spesso si trasformano in scontro. Picierno è la prima a criticare apertamente il Nazareno da Bruxelles, ma fino al voto sul riarmo, sugli emendamenti chiave sul sostegno a Kyiv, era una voce solitaria. Dalla settimana scorsa, però, cade la prudenza dei riformisti e mezzo Pd raggiunge Picierno sulla barricata, delineando forse la prima vera sfida alla segreteria.


Prima di analizzare il solco che si è aperto nel Pd, l’eurodeputata dem vuole però spiegare nei dettagli che cosa è accaduto la settimana scorsa a Strasburgo. “C’è stata una frattura significativa che si è consumata non intorno a un capriccio, e questo è importante sottolinearlo, ma su una questione che alcuni di noi ritengono fondativa rispetto all’idea di Europa di oggi e di domani”, spiega l’esponente Pd. Per dieci eurodeputati, tra cui anche i pesi massimi Gori, Decaro e Bonaccini “è prevalso il desiderio di rispettare la vocazione europeista che sta dentro al Pd e di non isolare il Partito democratico dalla famiglia socialista e dalla risposta comune europea ai crescenti rischi che ci circondano”, spiega Picierno. 

  

L’avanguardia europeista del Pd. Picierno sulla  frattura che si è consumata a Strasburgo:  “Astenersi su ReArm Europe per isolare il partito e andare all’opposizione rispetto alla commissione Ue? Una cosa lunare”

  

“Una risposta necessaria e tempestiva – continua – perché si è creata una saldatura tra il mercantilismo sovranista di Trump, che prova a risolvere questioni enormi come la libertà dei popoli e i conflitti come se fossero un’operazione commerciale da cui trarre profitto, e l’autoritarismo criminale di Vladimir Putin. E davanti a questa realtà occorreva dare un messaggio di reazione”.


Reazione su cui il Nazareno ha però preferito astenersi, bollando anzi il piano Ue come un passo indietro rispetto a una vera politica di difesa comune europea. “Ecco, su questo dissento completamente”, ribatte Picierno. “Finalmente, anzi, l’Europa ha reagito in tempo per darsi delle coordinate e fare un primo passo verso la costruzione dell’Europa della Difesa. Certo, altri ne dovranno arrivare, ma è tutt’altro che un passo indietro. Certamente non contiene tutto ciò che sarebbe necessario. Ma facciamo una riflessione: pensiamo ad Altiero Spinelli, che pure è stato il padre dell’idea degli Stati Uniti d’Europa. Io penso non sia stato entusiasta di vedere quell’idea ridotta alla Comunità del carbone e dell’acciaio. Eppure ha avuto la capacità politica di capire che era un passo avanti. Ecco, il gradualismo dei padri fondatori è quello che ci manca oggi: il coraggio riformista di avanzare a piccoli passi, ma in maniera determinata, verso la costruzione dell’Europa politica, senza guardare a sondaggi o egoismi nazionali”.


Un approccio pragmatico che stride con il clamore del dibattito italiano: “chiunque abbia contezza dell’argomento sa che, se l’Eurocamera avesse bocciato la risoluzione, ovvero se ci fosse stata un’indicazione del Parlamento contraria al piano ReArm Europe, il progetto della difesa comune europea sarebbe morto per sempre, e a festeggiare sarebbero state quelle forze sovraniste che fanno del minare le fondamenta dell’Europa la loro raison d’être”, spiega Picierno. “Inoltre, io contesto proprio la scelta di raccontare il piano von der Leyen come una rincorsa al riarmo nazionale, anche perché ci sono i famosi 150 miliardi di euro di debito comune per la difesa europea, si parla di acquisti congiunti, di appalti comuni c’è tanto di europeo in quel piano, perché negarlo? A che pro?”.


E infatti le ripetute accuse di bellicismo sollevate da Schlein hanno innervosito più di un dirigente socialista europeo. “Sono accuse che fanno un cattivissimo servizio alla famiglia socialista. Anzi, senza il nostro voto a favore si sarebbe rischiato di isolare definitivamente il Pd. Dove si vuole andare così? All’opposizione rispetto alla Commissione europea? Oggi, nel cuore degli attacchi combinati di Trump e Putin? Mi pare una cosa abbastanza, come dire, non solo singolare ma lunare, completamente lunare”. Per quanto riguarda i rapporti tra il gruppo dirigente del Pd e il resto dei socialisti europei, qualche problema dunque c’è. “E’ chiaro che nel momento in cui si riduce il dibattito sul riarmo alla contrapposizione tra guerrafondai e pacifisti, allora si sta dicendo che pure Sánchez, Costa e Starmer e Scholz sono guerrafondai, e questa è una posizione evidentemente problematica per un partito come il Pd. Io personalmente non penso affatto che la classe dirigente del progressismo europeo e mondiale sia fatta di guerrafondai”, spiega la vicepresidente dem. Una spinta verso una vera politica di difesa, infatti, serve, perché i rischi che corre l’Europa sono “molto seri”: “Trump ha detto che l’Unione europea è nata per fregarlo, Putin non fa mistero di volerne lo scioglimento: una campagna d’odio e di menzogne che si riflette nei dibattiti politici nazionali”, continua Picierno.


“Il futuro della politica dei prossimi anni, ne sono convinta, sarà definito su questi due assi: non più dalle vecchie differenze, ma dalla difesa dell’europeismo e delle democrazie liberali o dal volerne la fine”. Ed è questa dicotomia, secondo Picierno, che mette in crisi i sogni di campo largo a sinistra. “Sull’europeismo noi dobbiamo misurare le nostre convergenze, e se oggi guardiamo a Conte, le sue posizioni sono più vicine a Salvini che a noi. Contestare la Commissione europea in Aula con i cartelli è una posizione che strizza l’occhio all’antieuropeismo populista, soprattutto se fatta oggi, in un momento così delicato”.


Intanto, in Europa qualcosa si muove ma, apparentemente, senza l’Italia. “Io saluto, e ho guardato con grande sollievo, l’iniziativa del presidente francese Macron e del primo ministro del Regno Unito, Starmer, che si sono posti alla guida di un processo di costruzione dell’Europa di domani”, spiega Picierno. “Guardo con orgoglio e soddisfazione alle posizioni del gruppo socialista europeo e di leader come Pedro Sánchez e il presidente del Consiglio Ue, Antonio Costa”.
Un’iniziativa da cui l’Italia, però, è rimasta per ora esclusa. “Vedere la presidente del Consiglio Meloni ancora ambigua, con due piedi in una scarpa tra l’europeismo e l’attrazione per Trump, è un peccato. Secondo me ci fa perdere una grande occasione, perché l’Italia dovrebbe essere lì, alla guida di questo processo, come lo è stata quando si è trattato di prendere svolte epocali. Ma c’è ancora tempo per ravvedersi”. Eppure, dall’astensione della settimana scorsa di Fratelli d’Italia sul testo di sostegno a Kyiv, motivata da un paragrafo troppo critico nei confronti di Trump, si capisce che il sogno di Meloni di essere ponte tra Bruxelles e Washington non è ancora sfumato. Ma per Picierno “è un’idea provinciale, abbastanza tipica di un dibattito sulla politica estera che esalta i rapporti personali e che non fa i conti con i fatti e i rapporti di forza. Servirà senza dubbio dialogare con gli Stati Uniti e con la loro attuale amministrazione, ma ciò avverrà solo da una posizione di chiarezza e forza. Non perché qualcuno ha il numero personale in rubrica”.


Se il governo, però, ha perso la sua capacità di incidere nella politica europea, anche il Pd sembra soffrire dello stesso male. A portare la voce del Partito democratico ai piani alti dell’Ue ci pensava infatti, fino a poco fa, il commissario Paolo Gentiloni. Oggi, invece, i ruoli istituzionali del Pd a Bruxelles si contano sulle dita di una mano e quello più di spicco è il suo. “Come Pd abbiamo un’autorevole presenza parlamentare a Bruxelles che, in questi giorni così convulsi, ha fatto un lavoro, secondo me, molto importante e non scontato”, sottolinea la dem. “Un lavoro di sintesi, a dimostrazione che noi siamo capaci di incidere in Ue. E proprio per questa ragione non ho capito l’indicazione all’astensione voluta da Roma”, spiega Picierno, tornando sui fatti della settimana scorsa. Eppure, un altro ruolo apicale a Bruxelles il Pd poteva averlo. Con le elezioni europee che hanno concesso al Pd lo scettro di delegazione più grande del gruppo socialista, i dem avrebbero potuto chiedere la guida del gruppo, ma sull’operazione è arrivato il niet del Nazareno. “Quello che conta di più è l’egemonia culturale, ovvero la capacità di esercitare una guida politica. Detto questo, le caselle da riempire sono importanti. Io penso sia stato un errore non far pesare la nostra delegazione negli equilibri del gruppo, ma è stata una decisione presa dalla segretaria che abbiamo tutti rispettato”.

 

Essere progressisti oggi significa “comprendere che la democrazia è il primo perimetro da proteggere” per avere tutto il resto. Le parole sbagliate del Pd sull’Ucraina.  “Riconoscere anche i limiti delle esperienze riformiste di governo del Pd”.  Carcere, abuso d’ufficio, intercettazioni: gli abusi della giustizia. “Mi manca molto David Sassoli”

    

L’Europa, d’altronde, si capisce solo facendola. “Sono arrivata a Bruxelles con gli occhi ancora troppo rivolti al dibattito italiano e l’Europa mi ha cambiata. Giorno dopo giorno ho compreso perché, per Altiero Spinelli, questo luogo fosse il posto migliore per costruire il futuro. Questa estate ho riletto la sua biografia scritta da Piero Graglia ed è divenuta una sorta di mio personale I Ching. David Sassoli, poi, mi ha insegnato che il lavoro qui è diverso rispetto all’Italia: ci sono tempi lunghi, spesso senza le luci della ribalta, ma è incredibile vedere come il proprio contributo possa essere parte di qualcosa di grande”. Ritmi lenti e meno slogan: un altro stile, che Picierno sottolinea non essere “da confondere con un’assenza di fermezza per i temi che stanno al centro delle battaglie dei socialdemocratici in Europa, ovvero il sostegno a chi lotta per la libertà contro le dittature, a chi oggi in Ucraina è in trincea contro l’imperialismo russo, alle donne che combattono contro le teocrazie.” Essere progressisti, in sintesi, per Picierno significa oggi “comprendere che la democrazia è il primo perimetro da proteggere per avere un mercato del lavoro più giusto, un ambiente non sventrato dai cambiamenti climatici, la parità di genere e i diritti civili. E’ la battaglia primaria da cui discende tutto il resto”.


E infatti, oltre alla politica europea del Pd, quel che più preoccupa Picierno è la sua politica estera. Una questione su tutte: l’Ucraina. Picierno è portabandiera della causa ucraina a Bruxelles. Nel suo ufficio si alternano visite di premi Nobel per la pace, come l’ucraina Oleksandra Matvijchuk, e di Premi Sakharov, come la leader della dissidenza bielorussa Svetlana Tikhanovskaya, che ha accompagnato in un tour italiano la scorsa settimana. Un’attenzione rivolta a tutte le minoranze, come dimostrano le iniziative all’Europarlamento sulla questione degli uiguri, che hanno indispettito Pechino. 


Un attivismo, soprattutto quello a sostegno dell’Ucraina, che però spesso viene vissuto con una certa freddezza da un pezzo sostanziale della classe dirigente del Pd. “Sull’Ucraina c’è un problema che riguarda il dibattito pubblico italiano. In tutti gli altri paesi dell’Ue c’è una discussione molto più matura, adulta e consapevole riguardo all’invasione criminale di Vladimir Putin. Qui a Bruxelles non è così rivoluzionario considerare che la difesa dell’Ucraina non significa soltanto il sostegno a un alleato in difficoltà, ma anche la difesa delle regole che noi, insieme, abbiamo stabilito: del multilateralismo, dello stato di diritto, della possibilità di dire che non è possibile modificare i confini di uno stato sovrano attraverso l’uso della forza”, spiega Picierno. Difficile, però, coniugare questo messaggio con una dirigenza Pd che va in tv a dire di non voler stare con l’Europa per continuare la guerra. “Quelle sono state parole sbagliate, e l’ho detto anche in direzione, naturalmente. La segreteria ha poi affermato che il suo messaggio è stato decontestualizzato, bene così, e che il sostegno del Partito democratico all’Ucraina non è mai mancato. E questo è vero: nelle votazioni a Roma e qui a Bruxelles non è mai mancato”.


Nei tabulati no, ma nelle discussioni romane non sempre la causa ucraina è al centro delle priorità del Pd. “Come già detto, in Italia si registra una strana polarizzazione di questo dibattito, che alimenta opinioni spesso superficiali. Si sarebbero potuti fare più sforzi per spiegarlo, per spiegare che sostenere l’Ucraina significa difendere le ragioni dell’Europa e della pace”, prosegue la vicepresidente. Un sostegno che Picierno non lascia nella sfera del simbolico. L’eurodeputata Pd, infatti, si batte da tre anni contro le ingerenze russe in Italia e ha denunciato più volte l’operato del mondo filoputiniano nel nostro paese, guadagnandosi insulti e campagne d’odio online. Fenomeno che è decuplicato la settimana scorsa dopo le accuse di Vladimir Solovyov, il giornalista considerato il megafono di Putin, scatenate dopo che Picierno si è fermamente opposta alla sua presenza nella trasmissione di Giletti su Rai 3. Intimidazioni “che dimostrano che le cose che facciamo in Europa hanno un impatto”.


Un’altra questione che ha fatto da spartiacque in questa fase è senza dubbio il medio oriente. “Inizialmente, dopo il 7 ottobre, c’è stata una solidarietà diffusa verso Israele e contro quell’azione criminale di Hamas. Una condanna unanime, espressa anche dal Pd. Nel dibattito sul medio oriente, però, si sono sottovalutate alcune cose, come la semplice considerazione che non ci può essere pace senza democrazia, e questo deve valere per tutte le parti in causa”, prosegue Picierno. Col passare dei mesi nelle relazioni con Israele qualcosa a sinistra si è inceppato. “E’ stato un errore isolare, come purtroppo si è fatto anche prima del 7 ottobre, la comunità dei progressisti israeliani. La sinistra li ha abbandonati, sono stati isolati intellettuali e progressisti che certo hanno una piccola rappresentanza, ma non bisognava lasciarli soli davanti alle politiche eversive di Netanyahu”. Nelle piazze italiane, invece, si è visto ben altro livello di analisi, se così si può chiamare. “Abbiamo avuto episodi di antisemitismo inquietanti, significativi e devastanti. Le comunità ebraiche d’Europa e del mondo, purtroppo, hanno ricominciato ad avere paura. Ed è per questa ragione che ho voluto istituire, all’interno del Parlamento, un working group sulla lotta all’antisemitismo”. Antisemitismo che si è riprodotto, o semplicemente è risorto, in molti ambiti della sinistra e che potrebbe insidiare anche il campo democratico. “Io non penso che nel Pd ci sia antisemitismo, non lo penso, non lo credo e non lo vedo. C’è però un rischio più ampio che riguarda i rapporti a sinistra con piazze, spesso corteggiate, che confondono le giuste e doverose critiche a Netanyahu con la condanna e l’odio nei confronti del popolo di Israele”.


Se dalla politica europea si volge lo sguardo a quella italiana, le divergenze non si riducono. “Siamo caduti, temo, nella trappola di una polarizzazione inconcludente e identitaria”, spiega Picierno parlando dello stato dell’opposizione al governo Meloni. “La sinistra, quando si chiude in una ridotta, non svolge la propria funzione ed è destinata a rimanere minoritaria”, prosegue la dem, che poi sottolinea come sia necessario “riconoscere anche i limiti delle esperienze riformiste di governo del Pd. Eravamo nati per cambiare il paese e ci siamo invece adagiati sulla stabilità”. 


Dissonanze anche sul referendum per il Jobs Act, di cui Picierno denuncia “la finalità esclusivamente ideologica”. Per l’esponente dem, infatti, “la Consulta è già intervenuta sulla materia del reintegro, equilibrando le norme in merito. Il rischio ora è di tornare a un vecchio e disorganico regime, con peggioramenti evidenti, come sulla Naspi”. Quello che serve al Pd nel suo dialogo con il mondo del lavoro, dunque, “è seguire una sinistra che propone in Europa un nuovo contratto sociale, in armonia con le transizioni che stiamo attraversando. Serve irrobustire un nuovo ceto medio che solo attraverso la formazione e la giusta retribuzione può rigenerarsi. Intervenire sull’equità fiscale e su nuovi diritti anche per gli autonomi è di sinistra almeno quanto intervenire sulla materia lavoristica”.
Sulle tensioni tra la politica e il mondo giudiziario, Picierno attinge al pozzo del garantismo. “Non vorrei che in questo antico conflitto tra politica e giustizia dimenticassimo anche le ragioni fondanti della civiltà del diritto. Le pene stanno smarrendo le proprie funzioni, travolte da una valanga di fattispecie, populismo penale, assenza di alternative rispetto alla carcerazione, poveri cristi in attesa di giudizio per reati minori e in condizioni carcerarie disumane. C’è stato poi evidentemente un abuso dell’abuso d’ufficio e delle intercettazioni, che andava regolato. Ma riparando fratture, non producendone di nuove”.


Guardando alla storia del suo partito, la dem ricorda gli anni della fondazione del Partito democratico: “Mi ricordo anche la fatica di quell’azione di composizione, che non era facile. Ma si è fatto uno sforzo enorme per tenerci tutti insieme”. Arriva dalla Margherita assieme a Dario Franceschini: “A Dario mi lega un affetto sincero, nonostante le nostre idee siano spesso diverse. Per me rimane un punto di riferimento”. Il suo Pd è il Pd delle origini, quello di Veltroni, per intenderci. E’ il Pd in cui Picierno “si è sentita più a casa”: “A Veltroni la sinistra italiana deve molto, e quel molto non è ancora sufficientemente riconosciuto”. Niente nostalgie, però: “Il Pd è sempre casa mia, una casa che ho contribuito a costruire. Credo che sia sbagliato, anche quando si è nel dissenso, portarsi via il pallone o creare piccoli orticelli personali, convinti che poi si riesca a trasformarli in partiti di massa. Credo che quello che ci è mancato in questi mesi sia stata una discussione interna seria. Un partito, per vivere, non ha bisogno di unanimismi, ma di capire come il comune orizzonte possa declinarsi in modo complementare. Si pensa troppo spesso a compiacere gli alleati e meno a chi, dentro questo partito, da anni lotta sui territori”, spiega la vicepresidente dem. 


“Arrivano indicazioni di voto da Roma, ma nessuno si confronta con la delegazione italiana, pur sapendo che ci sono delle difficoltà. Nessuno dal Nazareno si prende la briga di prendere un volo per venire a sedersi con noi”, accusa Picierno, recapitando un messaggio a Elly Schlein che, coincidenza vuole, proprio giovedì sarà su un aereo per Bruxelles per incontrare i vertici dei socialisti. Coincidenza che si potrebbe trasformare in un’occasione per la delegazione di valutare, per dirla con i CCCP, le affinità e le divergenze con Elly Schlein. “A meno che non si pensi che il Pd debba diventare il partito dell’uomo, o della donna sola al comando” incalza Picierno “dove si danno ordini da Roma e gli altri devono obbedire. Però non è certamente l’impostazione e la cultura politica di un partito che ha scelto di chiamarsi democratico”.


Tornando a Bruxelles, c’è infine una figura che, per Picierno, fa sentire la sua incolmabile mancanza nell’universo dem: David Sassoli. “Mi manca molto, anzi moltissimo. Penso che la sua presenza sarebbe stata di grandissimo aiuto oggi. David non c’era quando è scattata l’invasione criminale della Russia di Putin all’Ucraina, e non mi permetto di dire cosa avrebbe fatto, detto, pensato. Però sono certa che la traccia che ha lasciato, attraverso le sue decisioni, la sua postura e le sue critiche feroci a Putin, che lo resero ‘persona non grata’ in Russia, abbia delineato una rotta molto chiara e definita, lasciando un’eredità significativa nella posizione europea e nel ruolo del presidente di questa istituzione”. Una traccia raccolta da Roberta Metsola, l’attuale presidente maltese dell’Europarlamento, al suo secondo mandato, in scadenza a fine 2026, quando si riapriranno le danze tra i gruppi per trovarne un successore. Durante l’ultima sessione a Strasburgo, mentre Giuseppe Conte rincorreva per i corridoi Ursula von der Leyen, Picierno e Metsola hanno inaugurato insieme una sala di lettura dedicata alla scrittrice ucraina Victoria Amelina, uccisa da un bombardamento russo il 1° luglio 2023 a Kramatorsk.


“E’ stato un momento importante: per la prima volta una personalità ucraina ha una sala intitolata nelle istituzioni europee. Con Metsola il rapporto è di grande sintonia: rappresentiamo due forze politiche diverse, ma questo non ci ha mai impedito di condividere ispirazioni e scelte di fondo. Lottiamo per la stessa Europa coraggiosa, libera e forte”. Una sintonia, quella con Metsola, determinata dalla fiducia profonda nel progetto europeo e nell’azione comune, una visione di cui “il Partito democratico deve essere capace di reinnamorarsi” conclude Picierno, “perché è qui che si gioca la partita per essere una forza progressista nuova, senza nostalgie”.