
L'infondato report della ong Liberties sullo stato di diritto "demolito" in Italia
Separazione delle carriere, premierato, decreto Sicurezza e canone Rai. L'accusa al governo Meloni di distruggere "sistematicamente e intenzionalmente" la Rule of Law si basa su un'agenda politica contrapposta, più che su evidenze solide e oggettive
Secondo un rapporto della ong Civil Liberties Union for Europe (Liberties), che ha avuto risalto sui media nazionali e internazionali, l’Italia è uno dei cinque paesi “demolitori” – insieme a Bulgaria, Croazia, Romania, Slovacchia e Ungheria – che “minano sistematicamente e intenzionalmente lo stato di diritto”. Benché le cose vadano male in tutta Europa, il governo Meloni sarebbe l’avanguardia di questa tendenza autoritaria.
L’accusa è molto forte e dovrebbe essere sorretta da evidenze altrettanto solide. Ma leggendo le circa 60 pagine dedicate all’Italia sulle oltre mille del report “Liberties rule of Law 2025” – redatto con il supporto di diverse ong italiane (Cild, Antigone, A buon diritto, Osservatorio Balcani) – si notano affermazioni apodittiche, imprecisioni, supposizioni e giudizi fondati più su una valutazione politica che su una base oggettiva. Il rapporto che elenca le varie violazioni dello stato di diritto parte con la mancata nomina di quattro giudici costituzionali che “rappresenta un inadempimento costituzionale che incide sull’equilibrio democratico”. I quattro giudici, però, sono stati eletti dal Parlamento oltre un mese fa. Forse il report, uscito ieri, è stato scritto tanto tempo fa, ma non sarebbe stato difficile fare un ultimo controllo, se si denuncia al mondo una cosa importante come l’attacco alla democrazia. Tra l’altro, anche quando quel paragrafo era stato redatto, l’assenza di qualche giudice della Corte Costituzionale non era affatto una violazione dello stato di diritto, ma una sua fisiologia: nella storia della Repubblica italiana, dato che l’elezione dei giudici richiede una maggioranza qualificata, ci sono stati periodi ben più lunghi di posti vacanti alla Consulta (anche fino a 20 mesi).
Il report si concentra molto sugli attacchi alla “indipendenza della magistratura”. Viene citata la riforma Nordio della giustizia che separa le carriere di giudici e pubblici ministeri, riportando la tesi dell’Anm secondo cui la riforma minerebbe l’equilibrio dei poteri. Ma in Europa sono tanti i paesi in cui c’è una separazione delle carriere – si pensi a Germania, Spagna, Inghilterra e Portogallo – o dove addirittura, come in Francia, i pubblici ministeri dipendono dal governo. Eppure nessuno ha mai denunciato questo differente assetto istituzionale come una violazione dello stato di diritto.
Un’altra accusa è che diverse proposte di legge “pongono rischi significativi all’indipendenza della magistratura”. Fra queste c’è la pdl Costa che, per i casi di ingiusta detenzione, punta a valutare la responsabilità finanziaria e disciplinare dei magistrati. La misura è, come tutte, ovviamente criticabile, ma non si capisce in che misura attenui l’indipendenza dei magistrati. A meno che non si ritenga che debba essere sinonimo di irresponsabilità. In ogni caso, è surreale che non venga identificata come una violazione della Rule of law l’ingiusta detenzione ma l’eventuale responsabilità civile e disciplinare dei magistrati per averla causata. Nel mirino del report c’è anche il test psico-attitudinale per i giudici che il governo vuole introdurre. Anche questa è una proposta certamente opinabile, ma non è sicuramente una caratteristica delle dittature e dei regimi autoritari: questi test si facevano in Francia e si fanno in mezza Europa (Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, Irlanda, Austria, ecc.).
Un’altra critica riguarda la riforma del premierato voluta da Giorgia Meloni perché “mina l’attuale equilibrio costituzionale, decentrando il ruolo del Parlamento a favore del Primo ministro”. La riforma può non piacere, ma l’Italia ha un sistema istituzionale con un esecutivo debolissimo e in Europa ci sono sistemi, si pensi alla Francia, dove l’equilibrio dei poteri è molto più spostato verso il presidente della Repubblica. Pare, insomma, che lo stato di diritto venga misurato con un metro che cambia da paese a paese.
Alcune obiezioni, poi, sono surreali: è troppo difficile diventare avvocato e c’è il rischio di “un futuro con insufficienza di avvocati”. L’Italia è il paese con la più alta densità di avvocati in Europa: 400 su 100 mila abitanti (in Spagna sono 300, in Germania 200 e in Francia 100). Per non parlare del taglio del canone tv a 70 euro, che peraltro ora è ritornato a 90 euro e che non aveva tolto neppure un euro alla Rai, descritto come una norma che “amplifica ulteriormente la vulnerabilità della Rai all’influenza politica”.
Civil Liberties Union for Europe contesta anche la politica penale del governo, mettendo sotto accusa misure come il decreto Caivano e il decreto Sicurezza perché vira verso una “criminalizzazione del dissenso”. Si può criticare il populismo penale del governo Meloni e l’eccessivo ricorso all’introduzione di nuovi reati – cosa che il Foglio ha fatto ripetutamente – ma si tratta comunque di una valutazione politica. Il report indica come norma contro lo stato di diritto la legge in discussione che punisce l’occupazione abusiva del domicilio: pensavamo che la Rule of law tutelasse la proprietà privata, e invece la difesa della casa è l’anticamera della dittatura.
Tra l’altro gli autori del report hanno una visione uguale e opposta a quella del governo sull’uso del diritto penale. Mentre se ne condanna il ricorso quando limita i blocchi stradali, le azioni contro il patrimonio pubblico degli eco-attivisti e le proteste dei movimenti pro-Palestina, si richiede l’introduzione di nuovi reati, ad esempio invocando l’adozione del ddl Zan per punire l’omolesbobitransfobia e il linguaggio d’odio. Insomma, il dossier di Liberties descrive una legittima agenda politica opposta a quella del governo Meloni, ma questo non è di per sé sufficiente a descrivere l’Italia come un paese sull’orlo dell’autoritarismo come l’Ungheria o la Slovacchia.