
Il retroscena
ReArm ma non troppo. Meloni tiene unita la maggioranza. E Giorgetti rassicura il governo
Nella risoluzione al vaglio da oggi del Senato scomparirà la parola del piano di riarmo e difesa di Ursula. E intanto il ministro dell'Economia rincuora Palazzo Chigi sullo scorporo delle spese militari dal patto di stabilità
Niente “ReArm” nel testo. Parola che d’altronde la delegazione di Fratelli d’Italia voleva far cambiare in “Defend Europe” già la scorsa settimana all’Eurocamera di Strasburgo. Questa volta il desiderio lessicale di Giorgia Meloni sarà accontentato: oggi in Senato e domani alla Camera la maggioranza deve approvare la risoluzione che dà mandato politico alla premier al Consiglio europeo. La presidente del Consiglio, sbrigata la pratica in Parlamento e dopo il consueto pranzo al Quirinale con il capo dello Stato, già mercoledì sera volerà a Bruxelles per una cena, questa sì informale, con i 24 europarlamentari di FdI. Un messaggio di unità intorno alla leader che cozza con quanto accade alle truppe di Elly Schlein. Dettagli, certo. Al di là della burocrazia parlamentare, per quanto densa di distinguo destinati a evaporare, sono più interessanti i movimenti nel merito di Giancarlo Giorgetti. Il ministro leghista dell’Economia ha rincuorato Palazzo Chigi e difesa sul piano di Ursula von der Leyen.
Dietro alle dichiarazioni pubbliche – prudenti fino al dubbio e vestite anche con un franco confronto con la premier avuto nei giorni scorsi – il titolare di Via XX Settembre ha fatto sapere che è d’accordo a scorporare dal patto di stabilità, come richiesto per prima dalla Germania, le spese per la difesa: quasi 18 miliardi, quasi un punto di pil. D’altronde si tratta di un argomento elettorale del centrodestra, contenuto anche nel programma con il quale si presentò alle urne nel 2022. Discorso diverso sarà la gestione del debito pubblico davanti ai mercati.
La faccenda è stata chiarita in queste ore da Giorgetti nelle sedi opportune e con gli interlocutori giusti, per andare oltre le dichiarazioni a uso e consumo delle battaglie politiche di Salvini. Per il resto oggi sarà il giorno della risoluzione, oggetto di trattativa, virgola su virgola, fino all’ultimo minuto per permettere a tutti: Noi moderati, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega di tornare a casa, la sera, dalle famiglie senza dire “ho perso”.
Innanzitutto né oggi né domani sarà presente Matteo Salvini, chiamato fuori dall’Italia da impegni europei: prima a Varsavia (per un vertice con i colleghi europei) e il giorno dopo a Bruxelles (per un evento nella sede del Parlamento europeo). Così come ieri non era a Roma Antonio Tajani, impegnato con il consiglio europeo dei ministri degli Esteri. Facile che tra chat e telefonate alla fine i leader abbiano condiviso le regole d’ingaggio di questo appuntamento, dietro alla solita cortina fumogena di dichiarazioni con la consueta tensione fra Forza Italia e Lega sul piano della Commissione.
Il tutto sapendo che alla fine, gratta gratta, il grosso dei problemi e delle incongruenze si troverà dall’altra parte. Ovvero: sui banchi dell’opposizione con il Pd diviso al proprio interno, il M5s per i fatti propri, così come Avs, Azione e Italia viva. Ecco, è il ragionamento di Via della Scrofa che ieri rimbalzava in un Parlamento quasi vuoto, “dividerci sarebbe esiziale e autolesionista”. Così come sarebbe un “errore” per i ministri di Fratelli d’Italia che seguono senza troppa ansia il dossier – ovvero Luca Ciriani e Tommaso Foti, rapporti con il Parlamento e Affari europei – se la Lega dovesse “giocare” di sponda con il documento che sarà presentato dal M5s. L’astensione salviniana alle tesi contiane passerebbe con un mezzo affronto e un piccolo incidente politico diplomatico. Oltre a rinverdire così, come accade con una certa frequenza, i fasti e le nostalgie del governo gialloverde. Tormentone che si ripresenta come le migliori peperonate.
Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio in Senato da dove partirà oggi alle 14 la solita corrida, ieri mandava messaggi all’insegna del trattiamo. “Siamo a buon punto, la sintesi si sta trovando, siamo d’accordo sulla sicurezza interna e esterna, abbiamo dubbi sul roboante piano “ReArm”, che non è stato negoziato con nessuno, è un libro da scrivere, dobbiamo indirizzare l’Europa”. Un altro aspetto della risoluzione – composta in tutto da una ventina di righe – riguarderà, senza dubbio, la guerra in Ucraina. E su questo aspetto è possibile che alla fine Meloni ottenga e imponga un richiamo ben definito al ruolo degli Usa e del presidente Trump al tavolo dei negoziati. D’altronde oggi dovrebbe essere il giorno della telefonata fra il presidente Putin e quello americano. Colloquio che può aprire una nuova fase o forse no. Ma che tiene la premier Meloni con la valigia sempre pronta vicino alla porta di casa per volare alla Casa Bianca per un bilaterale che vada oltre l’Ucraina e che abbracci anche il tema dei dazi, per esempio. Sarà l’ultima missione coordinata dall’ambasciatrice italiana negli Usa, Mariangela Zappia, verso l’avvicendamento in tarda primavera.