l'audizione

Draghi in Senato: "L'Ue oggi è più sola. La difesa comune è un passaggio obbligato"

A palazzo Madama l'ex premier illustra il suo report "aggiornato" sul futuro del mercato europeo

"Sono emozionato". Mario Draghi torna in Parlamento. L'ex premier parla alle commissioni Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue del Senato. Al centro della sua audizione il Rapporto sul futuro della competitività  europea, il documento redatto dallo stesso Draghi su impulso della Commissione europea, che prevede un piano di investimenti per 800 miliardi di euro tra l'innovazione,  transizione energetica e difesa. All'audizione, che si tiene nella sala Koch di Palazzo Madama, partecipano oltre 120 parlamentari. 

 


 

Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Mario Draghi.

Signori Presidenti, Onorevoli Senatori e Deputati, È un grande piacere avere l’occasione di approfondire con voi i contenuti del Rapporto sul Futuro della Competitività Europea. Ringrazio i Presidenti per l’invito. E ringrazio tutti voi per l’interesse e per i contributi che sono certo arricchiranno un dibattito che ritengo decisivo per il futuro dei cittadini italiani ed europei.

Tra l’altro, è la prima volta che torno in Parlamento dopo la fine del mio mandato da Presidente del Consiglio.

Lo faccio con un po’ di emozione e con tanta gratitudine per quello che questa istituzione ha saputo fare in anni molto complicati per il Paese – e per quanto sta ancora facendo.

Quando la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, mi ha chiesto di redigere un Rapporto sulla Competitività, i ritardi accumulati dall’Unione apparivano già preoccupanti.

L’Unione Europea ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza. Questi sono i valori costituenti della nostra società europea.

Questi valori sono oggi posti in discussione. La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e le altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee. 

La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea. L’Europa è oggi più sola nei fori internazionali, come è accaduto di recente alle Nazioni Unite, e si chiede chi difenderà i suoi confini in caso di aggressione esterna – e con quali mezzi.

L’Europa avrebbe dovuto comunque combattere la stagnazione della sua economia e assumere maggiori responsabilità per la propria difesa in presenza di un minore impegno americano da tempo annunciato. Ma gli indirizzi della nuova amministrazione hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile.

Speriamo ci spingano con eguale energia ad affrontare le complessità politiche e istituzionali che hanno finora ritardato la nostra azione. Il dato che meglio riassume la persistente debolezza dell’economia del nostro continente è la quantità di risparmio che ogni anno fuoriesce dall’Unione Europea: 500 miliardi di euro nel solo 2024 - risparmi a cui l'economia europea non riesce a offrire un tasso di rendimento adeguato. Il Rapporto analizza estesamente le cause strutturali di questa inadeguatezza. Oggi voglio soffermarmi su tre aspetti, che sono diventati ancora più urgenti nei sei mesi trascorsi dalla sua pubblicazione. Si tratta del costo dell’energia, della regolamentazione, della politica dell’innovazione.

In Europa, tra settembre e febbraio, il prezzo del gas naturale all’ingrosso è aumentato in media di oltre il 40%, con punte di oltre il 65%, per poi attestarsi a +15% nell’ultima settimana. Anche i prezzi dell’elettricità all’ingrosso sono aumentati in modo generalizzato nei diversi Paesi europei, e continuano a essere 2-3 volte più alti dei prezzi negli Stati Uniti. Questo problema è ancora più marcato in Italia, dove i prezzi dell’elettricità all’ingrosso nel 2024 sono stati in media superiori dell’87% rispetto a quelli francesi, del 70% rispetto a quelli spagnoli, e del 38% rispetto a quelli tedeschi.

Anche i prezzi del gas all’ingrosso in Italia nel 2024 sono stati mediamente più alti rispetto ai mercati europei.

 Nei prezzi finali ai consumatori incide anche la tassazione, in Italia tra le più elevate di Europa. Nel primo semestre del 2024, l’Italia risultava il secondo Paese europeo con il più alto livello di imposizione e prelievi non recuperabili per i consumatori elettrici non domestici. Costi dell’energia così alti pongono le aziende – europee e italiane in particolare – in perenne svantaggio nei confronti dei concorrenti stranieri.

È a rischio non solo la sopravvivenza di alcuni settori tradizionali dell’economia, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie ad elevata crescita. Si pensi ad esempio all’elevato consumo necessario per i data center. Una seria politica di rilancio della competitività europea deve porsi come primo obiettivo la riduzione delle bollette – per imprese e famiglie.

A livello europeo, nel mercato del gas naturale è necessario esercitare il nostro potere di acquisto, sfruttando la nostra posizione di più grande consumatore al mondo di gas. Possiamo coordinare meglio la domanda di gas tra Paesi, ad esempio anche riempiendo gli stoccaggi con flessibilità in modo da evitare l’irrigidimento della domanda complessiva.

Inoltre, è necessario pretendere una maggiore trasparenza dei mercati. È indispensabile evitare rischi di concentrazione e rafforzare il livello di vigilanza. Gran parte delle transazioni finanziarie legate al gas è concentrata in poche società finanziarie senza che vi siano forme di vigilanza su di esse paragonabili a quelle su altri intermediari finanziari. In linea con le indicazioni del Rapporto, la Commissione (con il Clean Industrial Deal e il lancio della Gas Market Task Force) ha fatto proposte sostanziali per rafforzare la supervisione e le regole dei mercati energetici e finanziari.

Occorre sostenere l’azione della Commissione in quest’area ed è fondamentale una rapida attuazione dei provvedimenti. Anche per quanto riguarda il gas è necessaria una maggiore trasparenza sui prezzi di acquisto alla fonte. Il beneficio dei più bassi costi operativi delle rinnovabili raggiungeranno pienamente gli utenti finali solo tra molti anni.

I cittadini ci stanno dicendo che sono stanchi di aspettare. La stessa decarbonizzazione è a rischio. I prezzi all’ingrosso dell’elettricità dipendono dal mix di generazione ma anche da come si forma il prezzo. In Europa, nel 2022, pur rappresentando il gas solo il 20% del mix di generazione elettrica, ha determinato il prezzo complessivo dell’elettricità per più del 60% del tempo. In Italia, per circa il 90% delle ore.

 Occorre certamente accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire estesamente nella flessibilità e nelle reti. Ma occorre anche disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili e dal nucleare da quello dell’energia di fonte fossile. Non possiamo però unicamente aspettare le riforme a livello europeo. In Italia sono disponibili decine di gigawatt di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione o di contrattualizzazione. È indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi, e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo. Questo abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta ancora in Italia circa il 50% del mix elettrico (a fronte di meno del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia).

 

Inoltre, senza aspettare una riforma europea, possiamo slegare la remunerazione rinnovabile da quella a gas, sia sui nuovi impianti che su quelli esistenti, adottando più diffusamente i Contratti per Differenza (CfD) e incoraggiando e promuovendo i Power Purchasing Agreement (PPA).

 La regolamentazione prodotta dall’Unione Europea negli ultimi venticinque anni ha certamente protetto i suoi cittadini ma si è espansa inseguendo la crescita di nuovi settori, come il digitale, e continuando ad aumentare le regole negli altri.  Ci sono 100 leggi focalizzate sul settore high tech e 200 regolatori diversi negli Stati Membri. Non si tratta di proporre una deregolamentazione selvaggia ma solo un po’ meno di confusione. Le regole – troppe e troppo frammentate – penalizzano, soprattutto nel settore dei servizi, l’iniziativa individuale, scoraggiano lo sviluppo dell’innovazione, penalizzano la crescita dell’economia.

All’introduzione di nuove regole gli Stati membri spesso tralasciano di adeguare le normative nazionali e nei casi in cui le direttive della Commissione prevedano un’armonizzazione minima, aggiungono a esse altre prescrizioni nazionali che differiscono tra Paesi.

Infine, la difesa del mercato unico di fronte alla Corte di Giustizia Europea è divenuta sempre più rara.

Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale ha mostrato come l’eccesso di regolamentazione e specialmente la sua frammentazione abbia contribuito a creare delle barriere interne al mercato unico che equivalgano a un dazio del 45% sui beni manifatturieri e del 110% sui servizi.

Non possiamo dunque stupirci se i nostri inventori più brillanti scelgano di portare le loro aziende in America, e se i cittadini europei li seguano con i propri risparmi.

Per quanto riguarda la semplificazione regolatoria e amministrativa, in linea con le raccomandazioni del Rapporto, recentemente la Commissione ha presentato alcune proposte in materia di obblighi di informativa sulla sostenibilità, da cui saranno esentate le imprese con meno di mille dipendenti. È solo un primo passo nella direzione giusta. Da parte degli Stati Membri non risulta alcuna iniziativa di maggiore semplificazione. 

Il Rapporto esamina estesamente l’intero ciclo dell’innovazione dalla ricerca alla commercializzazione e presenta numerose proposte su ciò che l’Europa e i singoli Stati Membri possono fare per ridurre il gap con gli USA e la Cina e permettere alle imprese più innovative di svilupparsi in Europa invece di spostarsi negli Stati Uniti. Dal momento della sua pubblicazione il ritardo europeo è divenuto ancor più accentuato. I modelli di intelligenza artificiale sono diventati sempre più efficienti, con costi di addestramento che si sono ridotti di dieci volte da quando è uscito il rapporto.

Secondo recenti sviluppi, i modelli di Intelligenza Artificiale si stanno avvicinando sempre di più - o stanno addirittura superando - le capacità di ricercatori in possesso di dottorato. Agenti autonomi si avviano ad essere in grado di prendere decisioni operando in completa autonomia.

In Europa continuiamo a perdere terreno su questo fronte: otto dei dieci maggiori large language models sono sviluppati in US e i rimanenti due in Cina. In quest’area il Rapporto prende atto che il ritardo europeo è probabilmente incolmabile ma suggerisce che l’industria, i servizi e le infrastrutture sviluppino l’impiego dell’AI nei loro rispettivi settori. L’urgenza è essenziale perché il llm si stanno espandendo anche verticalmente.

La mancanza di finanziamenti è spesso citata come causa importante della debolezza del ciclo dell’innovazione in Europa. Il Rapporto propone una chiave di lettura in parte diversa.

 

Solitamente un progetto innovativo diviene interessante dal punto di vista finanziario quando la sua scala può crescere al di là dei confini nazionali. Ma ciò in Europa è difficile perché il mercato dei servizi è molto frazionato. Ecco, quindi, che l’investitore di oltre oceano non offre al progetto innovativo solo il finanziamento ma anche l’accesso al mercato americano.

La creazione di un vero mercato unico europeo dei servizi per 450 milioni di persone è quindi il vero presupposto per l’avvio di un ciclo dell’innovazione ampio e vitale. Un mercato dei capitali capace di indirizzare il risparmio verso le start-up più dinamiche offrirà i finanziamenti necessari.

 In linea con il Rapporto, la Commissione ha annunciato la proposta di un 28o regime giuridico per le società innovative che saranno soggette in tutti i 27 Stati dell’Unione alle stesse norme di diritto societario, fallimentare, del lavoro e tributario. Anche questa è una proposta che merita un convinto sostegno.

Il Rapporto nella sua terza parte affronta le maggiori vulnerabilità a cui è esposta l’Unione Europea e, tra queste, la difesa. Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale.

Dal punto di vista industriale ed organizzativo questo vuol dire favorire le sinergie industriali europee concentrando gli sviluppi su piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terresti, satelliti) che consentano l’interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli Stati membri. Nelle ultime settimane, la Commissione ha dato il via a un ingente piano di investimenti nella difesa dell’Europa.

Mentre si pianificano nuove risorse, occorrerebbe che l’attuale procurement europeo per la difesa – pari a circa 110 miliardi di euro nel 2023 – fosse concentrato su poche piattaforme evolute invece che su numerose piattaforme nazionali, nessuna delle quali veramente competitiva perché essenzialmente dedicata ai mercati domestici.

L’effetto del frazionamento è deleterio: a fronte di investimenti complessivi comunque elevati, i Paesi europei alla fine acquistano gran parte delle piattaforme militari dagli Stati Uniti. Tra il 2020 e il 2024, gli Stati Uniti hanno fornito il 65% dell’importazione di sistemi di difesa degli Stati Europei aderenti alla NATO.

Nello stesso periodo l’Italia ha importato circa il 30% dei suoi apparati di difesa dagli Stati Uniti. Se l’Europa decidesse di creare la sua difesa e di aumentare i propri investimenti superando l’attuale frazionamento, invece di ricorrere in maniera così massiccia alle importazioni, essa ne avrebbe certamente un maggior ritorno industriale, nonché un rapporto più equilibrato con l’alleato atlantico anche sul fronte economico. Questa grande trasformazione è in realtà necessaria non solo per le complessità geopolitiche cui stiamo assistendo, ma anche per via della rapidissima evoluzione della tecnologia che ha stravolto il concetto di difesa e di guerra.

Se consideriamo ad esempio i droni, una stima delle forze armate ucraine rivela che dall’inizio del conflitto circa il 65% degli obiettivi centrati è stato colpito da velivoli senza pilota. Non solo i droni, ma anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra hanno assunto un ruolo importantissimo dentro e fuori i campi di battaglia. La difesa oggi non è più solo armamento ma anche tecnologia digitale.

È il concetto stesso di difesa che evolve nel più ampio concetto di sicurezza globale. La convergenza tra tecnologie militari e tecnologie digitali porta alla sinergia dei diversi sistemi di difesa dell’aria, del mare, di terra e dello spazio. Occorre quindi dotarsi di una strategia continentale unificata per il cloud, il supercalcolo e l’intelligenza artificiale, la cyber sicurezza.

Questo sviluppo non può che avvenire su scala europea. La difesa comune dell’Europa diventa pertanto un passaggio obbligato per utilizzare al meglio le tecnologie che dovranno garantire la nostra sicurezza. Persino la nostra valutazione dell’investimento in difesa, oggi basata sul computo delle sole spese militari, andrà modificata per includere gli investimenti su digitale, spazio e cybersicurezza che diventano necessari alla difesa del futuro. Per tutto ciò occorre iniziare un percorso che ci porterà a superare i modelli nazionali e a pensare a livello continentale.

Tutto questo riguarda non solo la nostra sicurezza ma anche la presenza dell’Europa tra le grandi potenze. Le decisioni a cui il Rapporto chiama l’Europa sono ancor più urgenti oggi quando la necessità di difendersi e di farlo presto è al centro dell’attenzione e delle preoccupazioni della maggioranza dei cittadini europei. Un’Europa che cresce finanzierà più facilmente un fabbisogno finanziario che ormai supera le previsioni del Rapporto.

Un’Europa che riforma il suo mercato dei servizi e dei capitali vedrà il settore privato partecipare a questo finanziamento. Ma l’intervento dello Stato resterà necessario. Gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit, né sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria: sarebbe non solo un errore politico, ma soprattutto la negazione di quella solidarietà che è parte dell’identità europea, quell’identità che vogliamo proteggere difendendoci dalla minaccia dell’autocrazia. Il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, l’Europa dovrà dunque agire come se fosse un solo Stato.

Questo può voler dire o una maggiore centralizzazione delle decisioni e delle capacità di spesa, oppure un coordinamento più rapido ed efficace tra i Paesi che, condividendo gli indirizzi di fondo, riusciranno a raggiungere i compromessi necessari per una strada comune.

In ogni momento di questo processo i Parlamenti nazionali ed europeo avranno un ruolo essenziale. Le scelte che ci sono davanti sono di grande momento come forse non mai dalla fondazione dell’Unione Europea La politica – e in particolare la politica interna di ogni Stato membro – ne sarà al centro.

Voi parlamentari ne sarete protagonisti rispondendo con le vostre decisioni alle aspirazioni, ma anche alle preoccupazioni dei cittadini.

Così costruiremo un’Europa forte e coesa perché ogni suo Stato è forte solo se è insieme agli altri e solo se è coeso al suo interno.

Grazie.

 

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