Il racconto

Il naso di Draghi: sbadigli, inquisitori e debito comune. Meloni fa staffetta e lo cita con gratitudine

Carmelo Caruso

Torna al Senato e parla di debito comune, di nuovi mercati, di cessione di sovranità, ma viene processato dalla Lega, che gli ricorda la lettera a Berlusconi, lui se ne va. Meloni se ne appropria con talento

L’intelligenza naturale, la povera, la modesta, vi dice, a naso: Meloni fa Draghi e Draghi fa Meloni. Insieme fanno sembrare il Parlamento il circolo degli onorevoli Trombetta, sbadigliatori eletti, economisti con il ghigno. Draghi si accorge che i parlamentari scarabocchiano e dunque saluta perché “vedo che guardate l’orologio, vi ringrazio”, se ne va. Meloni, poco dopo, ricorda la responsabilità, la sua scelta, sull’Ucraina, quando c’era Draghi. Si passano il testimone. L’ex premier  disarma con il suo “Oh, dicevo”, “Oh, veniamo a noi”, che è come “l’ahó” di Meloni, ma con l’abito, e come lei, alla fine, quando i cronisti  chiedono: “Presidente, ma tornerà?”, si ferma, sorride, usa il naso talento degli underdog, il naso Draghi, il  gpt Italia, l’organo della competitività, e della simulazione:  “Buon lavoro”.

   

L’intelligenza artificiale potrà riprodurre fedelmente i suoi discorsi, l’agenda Draghi, il Draghi pensiero, ma il whatever it takes è opera del naso, ed è opera del naso capire, come Draghi, che quello che dovevo dirvi vi ho detto, dunque, sapete che c’è? Me ne vado. Per ascoltarlo, nella  Sala Koch, al Senato, per sentirgli spiegare che bisogna cedere sovranità, che serve il debito comune, e che, come pensano Giorgetti e Meloni, sul ReArmUe, occorre coinvolgere i privati, Nick Fratoianni ha lasciato in garage la Tesla e dice: “Sono arrivato con il motorino elettrico”. Per dare solidità all’evento (i Verdi dove sono?) gli uffici del Senato hanno svaligiato una tipografia di carta, perché anche la transizione ecologica, come il passaggio al motore endotermico, è rimandata a sabato, al pdf che verrà. Il report di Draghi, chiesto da Ursula von der Leyen, è tirato come un bestseller dello scrittore Antonio Scurati, Draghi il figlio del millennio, mentre i funzionari passano l’aspirapolvere, che è polvere di euroscettici. 

   

Sono passati tre anni, tre anni dalla fine del suo governo, proprio qui, al Senato, e solo Erika Stefani, leghista, motociclista, e che è stata ministro del suo governo, confida  che a volte “mi vergogno quando sento che lo insultano. Gli sono rimasta legata, a volte gli scrivo, privatamente. Non gli perdonano, compreso il mio mondo, di essere stato un premier che ha creduto nei vaccini. Sono fiera di aver fatto parte di quel governo”. Gli economisti della Lega di Chicago, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, lo aspettano come se dovessero catturare una lepre nella tagliola, Dario Franceschini, silenziosamente, si siede in terza fila, Carlo Calenda manda il fidato Angelino, il suo angelo, portavoce, a comprare la mazzetta perchè vuole essere il primo della classe. Luigi Marattin che è liberale, come il suo partito, il suo Orizzonte e i suoi 1.000, gli iscritti, i mille di Garibaldi, che lo seguono e rifaranno l’Italia, si prepara la domanda: presidente, la risposta ai dazi può essere aprire ad altre parti di mondo? Piero De Luca è un altro che gli fa le domande più, direbbe Draghi, “sfidanti”: “Presidente, è preoccupato per le sorti del Pnrr?”. E’ la fashion week della buona educazione tanto che ci fanno assistere dai bordi, fotografi a sinistra, giornalisti a destra. Maurizio Lupi: “So che siete qui per me ma non rilascio dichiarazioni”. Solo Lupi e Lella Paita usano la frase, nobile: “Bentornato, presidente”. Gli altri, Gasparri, il M5s, la Lega, meno FdI, che lo interroga sulla Cina, lo ricevono per processarlo, per chiedergli l’abiura, gli riprendono la lettera da presidente della Bce, quella che ancora, sarebbe la lettera del fellone, del complotto contro Berlusconi. ChatGpt può sostituire anche questo articolo, basta aggiungere, come il Bimbi in cucina, un po’ di frasi come queste, che si possono selezionare dal discorso di Draghi: “Una seria politica di rilancio della competitività europea deve porsi come primo obiettivo la riduzione delle bollette” o “il ricorso al debito comune è l’unica strada”, “per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto si deve agire come se si fosse un unico stato” o la frase sull’intelligenza artificiale “che si sta avvicinando sempre di più – o addirittura superando – le capacità di ricercatori in possesso di dottorato”. Nessun algoritmo può però restituire, l’umore di chi scrive, il naso, o il sarchiapone, la schiuma di Alberto Bagnai, il docente di Pescara, che vuole spiegare l’economia a Draghi, un Ugo Tognazzi di Amici Miei, ma che ha studiato, la coppia, Gianni & Pinotto, così la chiama Calenda, due che domandano a Draghi di fare ammenda, di sedersi sui ceci, di dire che ha sbagliato tutto. Draghi spiega che bisogna deregolamentare, che occorre una catena di comando per gli eserciti, che non bastano gli spazi di bilancio dei singoli stati, per investire nella Difesa, che serve sviluppare la domanda interna, e perché no, che bisogna interrogarsi su altri mercati, dopo la minaccia dei dazi di Trump, che ci faranno male e i Tognazzi, che hanno studiato, fanno segno: “Vedi, vedi! Come diciamo noi”. Ciccio Boccia riesce a trovare un Draghi di sinistra affermare: “Si è spostato a sinistra anche lui”. Gli regalerà la tessera gold di  Schlein. A naso, non vedevano l’ora che se ne andasse e Meloni, strepitosa, ha annusato e ricominciato, dove lui aveva finito. Lo cita e ricorda che grazie a Draghi ha superato la linea d’ombra: il  sostegno all’Ucraina è la sua educazione da leader. Solo con il naso si può rispondere e sfidare, come fa Draghi, “con il permesso del senatore Bagnai”, e un’altra risorsa sono le smorfie, di Meloni, che anche Giorgetti ha imparato a emulare. Nel tempo degli sputazzatori, come faranno i Trombetta con l’algoritmo? A chi faranno le boccacce?  Meloni e Draghi non si somigliano per niente eccetto per l’organo, il loro  radar  naturale. Orfano lui, abbandonata lei, è il naso che li fa stare dalla parte giusta. La loro spiacevolezza è la loro originalità.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio