Il racconto

La derapata di Meloni su Ventotene. Poi il risotto di Mattarella: "Sulla difesa si sta con l'Europa"

Simone Canettieri

La premier attacca il Manifesto per coprire gli eterni distinguo della Lega sul ReArm. Pranzo al Quirinale per ribadire che l'Italia resterà all'interno del piano Ue. E Tremonti commenta: "Era dai tempi di Berlusconi che non mi divertivo così"

La chiama derapata. E la teorizza:  quando si è in difficoltà meglio spostare l’attenzione e il dibattito, all’improvviso, su altro. Una mossa politica a sorpresa.  Come Totti contro l’Olanda agli Europei del 2000, Giorgia Meloni in Aula si è inventata il cucchiaio (di Ventotene): “Mo je faccio la derapata”. Un’arma di distrazione di massa per non parlare di armi e difesa europea in una mattinata in cui la Lega, prima che prendesse la parola, le aveva detto che “non aveva il mandato per approvare il ReArm” al Consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles. Anche questa una cortina fumogena visto che l’Italia si è già espressa.  Però tutti a parlare di Ventotene, autoconfino dell’opposizione. 

Sicché Meloni, prima di andare a pranzo con una delegazione di ministri al Quirinale, dà (a suo modo) un senso alla giornata fiondandosi contro “Il Manifesto di Ventotene”, libretto blu della folla che sabato ha riempito piazza del Popolo. Ne legge, a spizzichi e bocconi, alcuni passaggi scritti nel 1941 riguardanti il “partito rivoluzionario” e la sua auspicata “dittatura”. L’Aula esplode prima che la premier finisca di parlare con l’epigrafe: “Bene, questa non è la mia Europa”. Federico Fornaro del Pd piangerà, Debora Serrachiani cercherà di farsi espellere. Dramma, melodramma a favor di telecamera. Il presidente Lorenzo Fontana sarà costretto a interrompere più e più volte la seduta convocando alla fine una conferenza dei capigruppo per riprendere i lavori nel tardo pomeriggio. Quando i leader dell’opposizione, Elly Schlein e Giuseppe Conte, si ritroveranno a concionare senza la premier sui banchi già in volo per Bruxelles. 

 

“Non mi divertivo così dai tempi di Berlusconi”, dice alla buvette – calice di vino bianco e supplì – Giulio Tremonti, ministro del Cav. quando disse, nel 2003 allo Spectator “non ci sono paragoni con Saddam: il regime fascista non era così feroce, il Duce mandava la gente in vacanza al confino”.

E’ lo scandalo del giorno, chiaro. Meloni resta impassibile, con la faccia soddisfatta, a osservare il caos che si muove intorno a lei. L’attacco era già comparso nei giorni seguenti alla manifestazione su Libero e il Giornale. “Ma anche su un’intervista alla Stampa di un intellettuale antifascista come Luca Ricolfi”, segnala, con una punta di perfidia, Giovanni Donzelli. Di chi è stata la genialata o meglio la derapata? In tanti – mentre le opposizioni denunciano e accusano il colpo – indicano ancora una volta Giovanbattista Fazzolari, il Mogol di Meloni, e in subordine Francesco Filini, deputato-eureka, che cura il centro studi di Fratelli d’Italia. Ma queste sono ricostruzioni di una meccanica che ha ottenuto l’effetto desiderato. Non si parla della Lega che sembra condizionare sul piano della prpaganda la linea del governo sulla difesa europea, non si parla di Salvini che da Bruxelles se la ride. 

Meloni arriva in ritardo al pranzo con il capo dello stato, accompagnata da una delegazione di ministri. Gilberto Pichetto Fratin, presente all’evento, racconta:  “Risotto e involtini sono un menù fisso. Ma delle polemiche del Manifesto di Ventotene non si è parlato. Si è affrontato invece il piano di riarmo europeo. E tutti i presenti hanno convenuto che possiamo discutere delle modalità, investimenti privati o debito comune, ma che dobbiamo stare con l’Europa”. Mentre Meloni è a tavola sulle sue pagine social compare il discorso della discordia con sotto il titolo “Giudicate voi”. Dal Colle non trapela uno spiffero su questa polemica: né irritazione, né sorpresa, né tutti i termini che fanno parte del vocabolario quirinalizio. I sentimenti privati del presidente non hanno valenza pubblica, racconta chi frequenta quei corridoi. Lasciando intendere che il capo dello stato, chissà, fra qualche giorno potrebbe citare Ventotene, ma forse anche no. Dipende dall’orologio di Mattarella che ha lancette istituzional-democristiane, e raramente, come si sa, interventiste a tamburo con la cronaca.

Nel pomeriggio Conte e Schlein si scagliano contro una poltrona vuota. Il capo del M5s: “La premier è irriconoscente verso i padri dell’Europa”. La segretaria del Pd: “La premier oltraggia la memoria: giù le mani da Spinelli, Rossi e Colorni”. La derapata compatta la maggioranza, il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia commenta che “rispetta tutti, ma la mia Europa è quella di De Gasperi”. Destra contro sinistra. “Fascisti!”. “E tu pensa pensa ai crimini del comunismo”. Non se ne esce con la solita guerra dei due mondi. Come in “Ferie d’agosto” di Paolo Virzì, ambientato proprio sull’isola di Ventotene.
Simone Canettieri 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.