(foto Ansa)

L'editoriale del direttore

Cercasi un Vannacci non estremista per dare un futuro alla Lega

Claudio Cerasa

Salvini un problema per Meloni, per la maggioranza e per l’altro vicepremier, Tajani? In tanti lo pensano, in realtà il leader della Lega oggi è un problema soprattutto per il suo partito e i suoi elettori. L’autolesionismo dell’essere trumpiani in Europa

Si dice spesso che Matteo Salvini, leader della Lega, ministro delle Infrastrutture, vicepresidente del Consiglio, sia diventato ormai un problema per  Giorgia Meloni, per il governo, per la maggioranza e, in particolar modo, per il suo gemello diverso, il suo parigrado a Palazzo Chigi, ovvero Antonio Tajani. Si dice che il problema di Salvini sia quello di essere una mina vagante per la maggioranza, di essere una spina nel fianco per Meloni, di essere un elemento di instabilità potenziale, latente, per un governo altrimenti stabile. E si dice infine anche, lo si dice spesso, che la traiettoria di Salvini, un po’ trumpiano e un po’ putiniano, un po’ antieuropeista e un po’ nazionalista, un po’ lepeniano e un po’ afdeiano, sia divenuta ormai incompatibile con quella che è, al fondo, molto al fondo, l’identità del governo, che nelle scelte che contano, alla fine ha sempre scelto di stare dalla parte dell’Europa, non dei suoi nemici. Si ripete spesso questo ritornello, quando si parla di Salvini, ma se ci si riflette un istante nulla di tutto questo corrisponde alla realtà.

 

Per Meloni, Salvini non è un vero problema: più il leader della Lega si comporta da estremista e più, per Meloni, è sufficiente restare immobile per apparire come una statista. Per Tajani, Salvini non è un vero problema: più il leader della Lega si sposta verso la destra più a destra della destra e più, per il leader di Forza Italia, è sufficiente non fare nulla per raccogliere i voti moderati in fuga dalla Lega. Per la maggioranza, Salvini non è un vero problema: finora, voti alla mano, Salvini, in Parlamento, ha fatto sempre l’opposto di quello che ha promesso a parole, e la magia del centrodestra italiano in fondo è anche questa, ed è quella di riuscire a essere compatto nei fatti anche se a parole è diviso su tutto. Ciò che spesso sfugge allo sguardo attento degli osservatori è che Salvini non è un problema per il governo ma è un problema per il suo partito. Guidare un partito da dieci anni non è facile. E l’ex Truce – che oggi nei rapporti con i propri alleati gioca a vestire i panni di Giamburrasca – ha raggiunto successi importanti, prima di capitolare da solo, prima di sciogliersi come un budino al sole dopo le famose gesta del Papeete. Eppure quello che nella Lega in molti pensano ma non hanno il coraggio di dire è che Salvini è diventato un guaio per il proprio partito per molte ragioni. La prima ragione è il posizionamento: la Lega, oggi, è un partito di governo, lo è grazie ai suoi amministratori locali particolarmente validi, i governatori in primis, e avere un partito di governo rappresentato da un leader che ogni volta che si avvicina al governo cerca un modo per apparire più di lotta che di governo (Conte I, Draghi, Meloni) è un qualcosa in evidente contrasto con la nuova pelle della Lega, che Salvini fatica a rappresentare.

 

La seconda ragione, importante, è l’agenda portata al governo da Salvini, e il trumpismo del leader della Lega mai come oggi è un qualcosa di incompatibile non solo con gli interesse nazionali del nostro paese ma anche con quelli dei propri elettori, e quando Salvini, parlando di dazi, dice che i dazi che minaccia Trump non sono un problema perché lui sa per certo che l’Italia nonostante le minacce di Trump verrà graziata, il leader della Lega non riesce a comprendere fino in fondo, o finge di non comprenderlo, che i suoi elettori, e il ceto produttivo che la Lega un tempo rappresentava, non chiedono previsioni al leader di un partito, non chiedono di utilizzare il pendolino come faceva Maurizio Mosca, ma chiedono certezze, idee, rassicurazioni e strategie concrete per proteggersi e proteggerci dalla minaccia trumpiana. Il problema della Lega di Salvini, e qui arriviamo alla terza ragione, non è neanche ciò che Salvini sta facendo come ministro, perché come ministro delle Infrastrutture Salvini ha qualche estimatore insospettabile anche tra i sindaci del Pd, ma è ciò che sta facendo come leader del partito, ed è al fondo l’incapacità di riconoscere che il progetto nazionale, e nazionalista, della Lega si è ormai perso da tempo per strada mentre la Lega avrebbe una prateria, una pianura verrebbe da dire, per essere qualcosa di diverso dal partito di Vannacci ed essere invece come accade in Germania con la Csu nei rapporti con la Cdu il partito del pil, del ceto produttivo, del nord, delle imprese, che oggi non ha un vero rappresentate nel paese.

Salvini, piuttosto che presidiare quel terreno, ha scelto una strada diversa, piritolla direbbero in Sicilia, lungo la quale la reputazione personale del leader, il suo essere percepibile come uno-che-se-la-intende-con-i-trumpiani, conta più di qualsiasi altra cosa, conta più di qualsiasi idea, per il semplice fatto che le uniche idee che contano nella galassia salviniana non sono quelle che nascono da una visione del mondo ma sono quelle che nascono dalla possibilità di utilizzare quelle idee per creare zizzania, per fissare una bandierina, per mostrare un distinguo nei confronti di chi comanda. Salvini non è come Vannacci, o almeno non è la stessa creatura politica, ma nella Lega in cerca di un futuro occorre riconoscere che l’unico che sta cercando di creare un’alternativa a Salvini è lo stesso soggetto che Salvini ha utilizzato alle europee per restare ancorato al suo nove per cento. Il generale Vannacci, come sapete, non è la nostra cup of tea, per utilizzare un eufemismo, ma in questi mesi ha fatto quello che non hanno avuto il coraggio di fare in questi anni molti leghisti moderati: imporre sulla scena un modello alternativo a quello di Salvini, anche se nel caso di Vannacci ovviamente l’alternativa è di natura ancora più estremista, con l’idea chissà quanto peregrina di poterne raccogliere un giorno il testimone.

Per il governo, la Lega di Salvini in fondo è innocua, perché è una Lega che scommette su una versione ancora più edulcorata del famoso vorrei ma non posso: potrei, ma non voglio. Per quello che il centrodestra italiano potrebbe costruire nel futuro, invece, la Lega di Salvini è una Lega autolesionista, che giorno dopo giorno, in modo carsico, costante, abbraccia con fierezza tutto quello che può fare del male non solo agli italiani ma prima di tutto agli elettori della Lega. Poca attenzione al nord, poca prontezza sui dazi, poca capacità di parlare al ceto produttivo, poca capacità di saper incalzare Meloni laddove la premier non arriva, il partito del pil, e poca consapevolezza di una dimensione nuova che riguarda l’Europa e che riguarda anche alcuni alleati di Salvini come Marine Le Pen: il trumpismo può essere digeribile in America, eccome se lo è, ma essere trumpiani in Europa è come essere dei tacchini desiderosi di avvicinarsi al giorno del Ringraziamento. La Lega dell’autolesionismo è tutta qui. Cercasi un Vannacci non estremista per darle ancora un futuro. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.