(foto Ansa)

l'intervista

Riarmare la sinistra. Faccia a faccia con Lorenzo Guerini

Simone Canettieri

E' l’eretico del Pd quando si parla di difesa europea, guerra e Nato. Il disagio, la ricerca dell’unità, le stoccate a Conte ("ci crea solo disagi") e le carezze a Schlein. “ReArm Europe è il primo passo per stare nel mondo che cambia"

Lavora in quella che fu la sede dell’Inquisizione, ma è lui l’eretico nella nuova chiesa del Pd. Almeno quando si parla di riarmo, guerra in Ucraina, difesa comune, eserciti continentali, Nato, risiko ed espressioni tipo “postura internazionale”. Lorenzo Guerini da Lodi – 58 anni – è il presidente del Copasir. L’appuntamento è nel suo ufficio al sesto piano di palazzo San Macuto. Tra le pareti, appunto, che ospitarono la Congregazione del Santo Uffizio. Ora sono tinteggiate di azzurrino, ma l’ex ministro della Difesa forse le vede “blu Nato”. Le regole d’ingaggio dell’intervista sono due. La prima: non si parla di servizi segreti, quindi della frenetica attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che presiede (concessione accolta). Seconda richiesta: il deputato del Pd – che Matteo Renzi chiamava “Arnaldo” in onore di Forlani – chiede di non sfruculiare le viscere del suo partito nei conflitti e nelle incongruenze. Viscere di un Pd spaccato sul piano ReArm a Strasburgo e alle prese, a Roma, con le bizze e gli inseguimenti a Giuseppe Conte e al M5s. Niente da fare. Va bene che l’ex ministro (Conte II e Draghi) è – e si sente – una riserva della Repubblica, ma questo, onorevole presidente, è un po’ troppo. Ci appelliamo all’Articolo 5 (del trattato dei cronisti curiosi).  
Sulla carta Guerini sarebbe, ora che Stefano Bonaccini è pappa e ciccia con Schlein, il capo dell’opposizione interna. “Io comunque la chiamerei minoranza”. Tuttavia, questo ruolo non lo aggrada. E non lo esercita. Lo ritiene, forse, riduttivo per la sua storia. Ma anche, chissà, per le sue ambizioni, adagiate sulla spazzola bianca che ha in testa. E’ una monade riformista nel Pd movimentista. Un faro e uno specchietto per le allodole. Non urla, sussurra. Non attacca, blandisce. E’ un vecchio politico in tempi nuovi. In questa conversazione di due ore dirà che il Pd non rischia la scissione sulla geopolitica; che non cerca congressi tematici straordinari à la Zanda; che non esistono campi larghi ma solo il centrosinistra contro la destra. Certo, pungolato, darà qualche consiglio da zio a Schlein e qualche calcetto a Conte, che poco tollera, e non da oggi. Frenato da una lingua di legno a forma di scudo crociato, Guerini fa parte del club degli “Adulti nella stanza” (cit. Filippo Sensi, senatore dem). E’ una componente di padri nobili di questo nuovo Pd gestito tipo “assemblea di istituto permanente”, come ebbe a dire l’intervistato all’inizio del corso ellyttico. Guerini ha consuetudini con Sergio Mattarella. Leggende, perse nel Transatlantico, narrano che fu lui a proporlo a Renzi per il Colle nel 2015. Conferme? Nemmeno sotto tortura. Vanta pure un ottimo rapporto con Alfredo Mantovano, sottosegretario di Giorgia Meloni con delega agli 007, e qui ci si può arrivare spinti dalla cronaca.  L’ex ministro della Difesa sarebbe anche lo “Zio Sam” del Nazareno per i rapporti oltreoceano costruiti con le Amministrazioni democratiche e con il deep state. Peccato che la seconda presidenza Trump pare destinata a far saltare tutti i vecchi punti di riferimento. Non solo per Guerini, ma anche per l’Italia e l’Europa. In attesa di tempi migliori non gli resta che una pallina da baseball dei San Francisco Giants. E’ poggiata sulla sua scrivania: l’accarezza nei momenti di solitudine?


L’ex ministro della Difesa è l’attuale presidente del Copasir. Il suo ufficio è a palazzo San Macuto, già sede dell’Inquisizione: è l’eretico del Pd. Monade riformista in un partito movimentista


Oltre alla pallina da baseball, ci viene mostrata, con fanciullesco orgoglio, anche una piccola mazza – sempre dei Giants  – riposta su un mobile: Guerini la brandisce contro le ipocrisie ireniste del suo partito? Quest’ultimo cimelio si trova vicino a una foto che lo raffigura mentre stringe la mano al presidente ucraino Zelensky. Un’altra cornice d’argento lo immortala con il  capo dello stato a bordo della Lancia Flaminia durante un 2 giugno, festa della Repubblica, di qualche anno fa. Guerini spiega al Foglio come riarmare la sinistra davanti alle sfide di questi tempi, ma anche al cospetto di una destra che, seppur divisa, appare comunque più solida e paciosa rispetto alle opposizioni. Questo ex assicuratore, già presidente della Provincia e già sindaco, si è ritagliato ormai, con e dopo il renzismo, il ruolo di casco blu dei democratici. Gli piace. Tuttavia, ammette ogni tanto di sentirsi a disagio in questo Pd che sta mutando geneticamente. Nonostante ciò dice che non se ne andrà. 

Che fatica, quanto olio di provocazione per ingrassare gli ingranaggi di questa chiacchierata nel fu Palazzo dell’Inquisizione. Lui va di orzo, noi di caffè. Amaro.
E allora bisogna andare al nocciolo della questione: perché parlare di difesa e riarmo europeo sembra non essere di sinistra? “Posso citare la Stampa?”. Certo. “Se crediamo nei sondaggi, ho letto una rilevazione di Ghisleri che racconta come nell’elettorato del Pd ci sia la percentuale più alta a favore della difesa europea, così come per la difesa dell’Ucraina dal punto di vista militare. Per cui secondo me questa idea che l’elettorato di sinistra, o comunque del Partito democratico, sia in difficoltà con questi temi credo che non sia vera o così netta”. Allora c’è un problema nella classe dirigente del suo partito? “No, penso che ci sia la consapevolezza del nostro elettorato, e lo dico anche perché faccio parecchie iniziative in giro per l’Italia, che questi argomenti siano densi di paure, certo. Riscontro preoccupazioni e interrogativi, ma si fidi di me”. Ci proviamo. “Sul fatto che l’Europa abbia bisogno di essere più forte anche nell’ambito della difesa io trovo una larga condivisione nella base e nell’elettorato del Pd. Sul ‘come’ poi è un’altra questione, è una questione che riguarda responsabilità diverse e anche conoscenza diverse del tema”. Aumentare le spese militari non piace alla pancia del paese: quali argomenti usa per ribaltare questa convinzione? “Parliamoci chiaro: questo argomento non riguarda solo l’elettorato del Pd, ma quello di tutti i partiti. Se uno guarda la società italiana, c’è una parte consistente che invece, da diversi punti di vista con i temi della difesa e delle spese militari ha un approccio critico. Ma il mondo è cambiato, prima ne siamo consapevoli e meglio è per tutti”. Lo sappiamo. “Siamo stati abituati ad avere un ombrello protettivo, quello della Nato. Dobbiamo fare un discorso molto chiaro, molto serio che è molto responsabile”. Cioè? “Per l’Europa in questo contesto di profondo cambiamento in cui si ricostruirà l’ordine mondiale, sulla base anche di una dimensione più assertiva tra i player internazionali, sicurezza e difesa diventeranno determinanti anche per comporre un nuovo ordine mondiale. Per stabilire rapporti di forza”. Come si spiega tutto questo a sinistra? “Rendere la difesa europea più forte è una necessità, se vogliamo un’Europa che sia al tavolo del mondo con i suoi valori, con la sua idea delle relazioni internazionali. Quindi più cooperativa E in grado di investire molto di più nel diritto internazionale e nelle organizzazioni che sovraintendono le relazioni internazionali e che giuridicizzano il conflitto. Un’Europa forte e strategicamente autonoma, insomma, serve a fare in modo che ogni contesa non diventi una guerra”.

Guerini, parla spesso di questi argomenti con Elly Schlein, la sua segretaria? “Certo, mi confronto con frequenza con lei. Almeno una volta a settimana. Anche per dirle, a volte, che non sono d’accordo. E trovo sempre un ascolto attento. Ma mi faccia terminare il ragionamento”. Va bene. “L’Europa deve essere all’altezza di questo scenario in mutazione: dobbiamo essere forti nella dimensione della sicurezza e in termini di capacità militari comuni, anche rispetto agli effetti dirompenti delle nuove tecnologie, cioè in termini di autonomia strategica europea, perché non è che possiamo immaginare di essere protagonisti di questo nuovo ordine mondiale senza autonomia strategica”.


“Siamo stati abituati ad avere un ombrello protettivo, quello della Nato. Dobbiamo fare un discorso molto chiaro per l’Europa in questo contesto di profondo cambiamento in cui si ricostruirà l’ordine mondiale, sulla base di una dimensione più assertiva tra i player internazionali”


Chissà se Guerini spiega con questa forza e con tale coinvolgimento queste dinamiche al suo partito, chissà se lo ascoltano e cosa ne pensano. Chissà che non si stia sfogando con noialtri alle prese con un taccuino pieno di appunti, con subordinate che guizzano dai fogli come delfini dall’acqua. Il M5s di Conte, nonché vostro principale alleato, ha presentato una bella mozione in Parlamento e in tutti gli enti locali per dire no al piano ReArm Europe: lo sa? “Sembra fatto di proposito per creare qualche disagio al Pd”. Quindi? “Come Pd discuteremo, certo. Per quanto mi riguarda bocciare il piano di von der Leyen è irricevibile. Non dobbiamo cadere in certe trappole”. I governi si logorano sulla politica estera, il Pd rischia il testacoda sulla guerra? “Oggi la politica estera, a differenza del passato, è diventato un tema prioritario nel nostro dibattito. E quindi mi avvalgo di una categoria degasperiana: la politica estera è una chiave di volta della politica interna. Anche se non vedo implosioni nella maggioranza”. In effetti è messo peggio il suo Pd: lei è a favore del congresso straordinario tematico proposto dall’ex senatore Luigi Zanda? “Non è un tema all’ordine del giorno, ma credo che sia utile allargare molto lo spazio e le occasioni di discussione, come d’altronde abbiamo fatto anche in direzione. Ma attenzione”. A cosa, Guerini? “Non sto ponendo la questione in maniera rivendicativa, ma penso che sia utile discutere nei gruppi dirigenti e nelle sue articolazioni alla base, discutere con il nostro elettorato: i passaggi della politica estera, di questi prossimi mesi, potranno segnare molto il futuro dei prossimi anni”. Il Pd è diviso: serve un chiarimento? “I congressi, per il nostro statuto, si convocano per decidere chi fa il segretario, per eleggere gli organismi di partito”. E come se ne esce? “Mantenendo alto il tono nella discussione a Roma come sui territori”. Ma su questo argomento così centrale – con il mondo che sta cambiando e due conflitti alle porte dell’Europa – controluce traspare un dato: l’opposizione al momento non è competitiva, non è in grado di produrre una seria alternativa a Giorgia Meloni. “In realtà con il M5s abbiamo già dimostrato di essere in grado di governare”. Era una fase diversa, e non c’era stato un mandato degli elettori su questa alleanza. “Come Pd abbiamo una storia e una forza in grado di arrivare a una sintesi. La coalizione è sempre un’alleanza tra soggetti diversi, però ci deve essere un terreno comune di condivisione, pur portando avanti ciascuno gli interessi anche elettorali del proprio partito, ma dentro un quadro di solidarietà e di realtà reciproca”. Ecco l’offensiva di Conte non va in questa direzione, a occhio. “Se si immagina di stare in un’alleanza e di avere come primo atteggiamento quello di giocare contro il partito più importante dell’alleanza, io credo che questo sia un elemento molto problematico.  Il tema non è giocare sulle presunte difficoltà di un tuo alleato, ma lavorare per costruire una coalizione, un’alleanza credibile che per me è un’alleanza di centrosinistra. Contro la destra c’è il centrosinistra, non ci sono campi larghi, stretti, obliqui o verticali. Però, scusi un attimo, perché mi sta portando su questi ragionamenti?”.


“Il congresso straordinario? Non è un tema all’ordine del giorno, ma credo che sia utile allargare molto lo spazio e le occasioni di discussione, come d’altronde abbiamo fatto  in direzione. Dobbiamo discutere con il nostro elettorato i passaggi della politica estera”


Guerini è un gatto e capisce che l’intervista potrebbe virare intorno a un assunto: costruire una coalizione alternativa con questo M5S e in questa fase storica è pressoché impossibile. “Su altri punti mi pare che l’opposizione abbia trovato un terreno per battaglie condivise: salario minimo, sanità, lavoro, autonomia differenziata, riforma del premierato e alcune battaglie sulla giustizia”. Vuole dirci che è contrario alla separazione delle carriere dei magistrati? Risata: “Su questo lasciatemi fuori, per favore. Il discorso in generale è un altro: in questa fase dobbiamo rafforzare ancora di più la posizione del Pd”.  
L’intervista si è svolta giovedì scorso, giorno ideale per provocare l’intervistato con un dettaglio, secondo noi, rivelatore: la premier Giorgia Meloni è appena uscita dal vertice dei volenterosi sull’Ucraina all’Eliseo e il suo partito, il Pd, sta parlando di salari bassi e morti sul lavoro. Temi importantissimi, per carità, ma insomma la palla sembra stare altrove non crede? “Io credo che sia doveroso da parte del Pd parlare di ciò che succede nel mondo del lavoro, argomenti che riguardano la vita delle persone”. Ci mancherebbe, ma che tempismo, il mondo sta guardando altrove, ora. “Certo, dentro il tema del vivere delle persone c’è anche quello della situazione internazionale, di ciò che comporta in termini di paure dei cittadini, di angoscia nella nostra società, in termini di visione del futuro e in termini anche di responsabilità di decisioni”. Appunto, il Pd, il suo partito, sembra non avere una posizione solida sui grandi dossier geopolitici: sempre qui si va a finire. A partire da quello sul riarmo. La pace va difesa, Guerini. “Lo dice a me? Concordo. E questo va fatto con decisioni conseguenti come quelle di far parte di un sistema di appartenenza a organizzazioni internazionali, con particolare riferimento alla scelta per l’Europa e alla dimensione della costruzione di un’Europa sempre più soggetto politico con una reale sovranità, salda nel sentimento di adesione alla scelta euroatlantica pur nelle profonde difficoltà che oggi sta vivendo”.
Quando legge le parole che escono dalla Casa Bianca nei confronti degli europei “scrocconi” e “parassiti” cosa pensa? “Sono frasi che colpiscono ciascuno di noi. Perché è vero che riflettono una visione che si portava avanti ormai da alcuni anni, perlomeno dall’Amministrazione Obama in poi, sulla richiesta agli europei di svolgere un ruolo maggiore per la difesa collettiva, mettendo più risorse, investendo di più nell’Alleanza atlantica e non lasciando solo agli americani il compito della difesa collettiva. Ma mai in questi termini e con questi giudizi”. Questi però non sono modi grossolani, spia di un clima ostile degli Usa verso il Vecchio Continente? “L’elettore medio americano si pone la domanda sul perché debba pagare per la sicurezza degli europei. E quindi questa domanda le Amministrazioni, con toni diversi però, le hanno sempre poste. Ma la forma attuale è francamente inusitata”. Il 2 per cento per la Nato resta un obiettivo ineludibile per l’Italia? “Certo, aggiungo un elemento: il vero argomento riguarda il salto di qualità delle relazioni con l’America, la condivisione di rapporti economici, commerciali, di sicurezza, militari ma anche di comunanza di valori”. Benissimo, tutte queste  relazioni ora sembrano a rischio. “Io mi auguro che non lo siano però sembra che questo rapporto entri in crisi essenzialmente per volontà americana e con toni che francamente sono sorprendenti”. Questo scenario la preoccupa? “Molto, penso che il nostro atteggiamento debba essere certamente molto realista e molto concreto, ma mi auguro che ci sia la capacità di trovare un modo di recuperare questa relazione anche affrontando i temi che sono oggetto della discussione più critica, ma dentro comunque una reciproca solidarietà tra le due sponde dell’Atlantico che è stata uno dei capisaldi della politica internazionale degli ultimi decenni o meglio dalla fine della Seconda guerra mondiale fino a oggi. Con una lettura retrospettiva storica è ovvio che questa relazione necessiti di essere riequilibrata responsabilmente per affrontare alcuni squilibri nelle relazioni, ad esempio sul tema della bilancia commerciale da un lato o dal punto di vista della condivisione tecnologica dall’altro”. Si ricuce con la dottrina Meloni? Con Italia ponte fra Bruxelles e gli Usa o con un’Europa più forte? “L’Italia deve essere tra i protagonisti della dimensione europea e nel contempo portare un contributo a servizio delle relazioni tra Europa e Stati Uniti dopodiché non lo si fa a scapito dell’Europa. A oggi non vedo nell’azione del governo attuale un ingaggio forte in Europa e portando questo ingaggio nel confronto con gli Usa. E trovo ingenua l’idea di ricavarci un piccolo spazio, una piccola nicchia in un’Europa debole nella relazione con gli Stati Uniti. Questo è il gioco di Trump, che vuole trattare con un’Europa più debole”. Ha fatto bene Meloni a partecipare, unico leader europeo, all’Inauguration Day? “Non mi ha creato particolari problemi, ma non credo che finora si sia rivelato un grande investimento strategico”. La prova del nove è l’Ucraina: come si sta muovendo l’Italia e come non si sta muovendo il Pd? “Suddividerei il ragionamento su diverse dimensioni o linee”. Siamo pronti. “La prima: la pressione sulla Russia deve restare, a partire dalle sanzioni e dal sostegno della continuità degli aiuti militari all’Ucraina, perché noi abbiamo bisogno che il negoziato che si farà lo si faccia con un’Ucraina forte e in piedi, che le posizioni siano riconosciute da un lato e dall’altro, altrimenti c’è il rischio che mentre sono in corso negoziati che si trascinano, questo tempo sia utilmente speso da Putin per rafforzare le proprie posizioni sul campo da un punto di vista militare. Quindi su questo io credo che non ci debbano essere dubbi, non ci debbano essere ambiguità e devo dire che mi pare che anche nelle parole della presidente del Consiglio questo sia un aspetto molto chiaro nonostante non posso non sottolineare i problemi con un pezzo della sua maggioranza che mi paiano abbastanza evidenti sul punto”. Quasi come quelli del Pd con il Movimento 5 stelle. “Certo però con una differenza, che noi non governiamo il paese in questo momento”. Ma così non lo governerete mai. “Se vuole di questo ne riparliamo tra poco, finisco il ragionamento iniziale”. Prego. “Il secondo punto riguarda quale sarà il contenuto del negoziato. Mi auguro che al tavolo con gli Stati Uniti ci sia anche l’Unione Europea anche perché la Russia sta chiedendo cose adesso nelle premesse del negoziato che hanno a che fare con le scelte dell’Unione Europea, come per esempio la cancellazione delle sanzioni. Il negoziato, nel merito, è composto da tante parti: ci sarà ciò che ha a che fare con i compromessi o gli accordi in natura territoriale, ci sarà la parte che riguarderà i danni provocati dalla guerra della Russia e poi ci sarà una parte che farà riferimento alle garanzie di mantenimento dell’accordo che sarà fatto e delle garanzie future di sicurezza dell’Ucraina che sono due cose connesse ma diverse tra di loro. Un aspetto riguarderà i confini e il monitoraggio della linea territoriale, un altro si concentrerà sulla costruzione delle garanzie di sicurezza del futuro dell’Ucraina in termini di sostegno alle forze armate ucraine. Per l’Ucraina non sarà accettabile un negoziato che preveda un sottodimensionamento delle sue forze armate che devono essere forti e ben addestrate ed equipaggiate. E quindi questo è un tema che riguarda anche l’Europa”.


“In attesa di raggiungere la tregua e poi la pace in Ucraina non bisogna mollare la pressione sulla Russia, a partire dalla sanzioni che non devono essere alleggerite . Così come bisogna continuare a sostenere militarmente Zelensky. Al tavolo dei negoziati non può non esserci l’Europa”


Meloni propone di adottare un modello tipo l’articolo 5 della Nato: è a favore? “E’ una proposta che andrebbe compresa bene negli aspetti di realizzabilità concreta: bisogna capire meglio come questa proposta eventualmente si sostanzia. Certo sarebbe una garanzia di sicurezza molto forte per l’Ucraina. Ma ce ne possono essere altre: c’è anche il tema dell’adesione all’Unione. Occorre capire come l’Italia pensa di stare dentro questa discussione”. Si fa largo l’ipotesi di una partecipazione a una missione di pace sotto l’egida dell’Onu. “E’ un’altra delle possibilità che però ha più a che fare con il monitoraggio della territorialità, il monitoraggio della pace, del rispetto del trattato di pace”. Cioè? “Se ci dovesse essere una missione dell’Onu bisognerebbe vedere con quali regole di ingaggio e con quali paesi coinvolti. Se dovessi fare una una mia previsione non credo che sia una delle cose più plausibili un coinvolgimento europeo”. Perché? “Penso che sia più facile, dentro un accordo per una missione Onu di monitoraggio del confine, l’assegnazione a forze non coinvolte direttamente come ad esempio l’India o il Brasile. Però stiamo parlando di scenari  che in questo momento sono molto al di là dal venire. Prima bisogna arrivare, capendo come, a un cessate il fuoco per una tregua e poi una pace che abbia elementi di giustizia e verità”.

 

Si confronta mai con il suo successore Guido Crosetto? “Certo, capita che discutiamo”. Come giudica l’azione di Crosetto? “Non è elegante come domanda”. E’ una domanda. “Sull’impegno per rafforzare la costruzione della difesa europea all’interno dell’Alleanza atlantica credo che ci sia una linea di continuità che ha sempre tendenzialmente  contraddistinto l’azione italiana. Nella fase attuale il ministro della Difesa credo stia dentro, diciamo, il dibattito più ampio che si sta sviluppando nel governo e nella maggioranza. Sulla continuità il mio giudizio è di apprezzamento”.


“Schlein può davvero ambire a Palazzo Chigi? “Lo dice lo statuto del Pd, ma è prematuro parlarne. Matteo Renzi? Fa parte del centrosinistra. Io a disagio? Non so se chiamarlo così: sono uno che partecipa sentimentalmente e razionalmente alla vita di una comunità in cui si riconosce” 


Lei suona come un violino, ma il suo partito in Europa si è spaccato su questi argomenti e la faccenda è destinata a ripetersi. E alla Camera lei è stato l’unico a votare la mozione di Azione e +Europa a sostegno del piano di von der Leyen: ha avuto una deroga in quanto dissidente con la linea Schlein? “Se fossimo stati in diversi a votare quella mozione sarebbe stato un problema”. Onorevole Guerini il suo partito ha una linea diversa dalla sua sulla politica, inutile che sfugga alle domande. “Non sfuggo alle domande. In Europa c’è stata una divisione importante: una parte si è astenuta e un’altra ha votato a favore. Quel piano era ed è, come hanno spiegato i Socialisti europei, un punto di partenza. Tuttavia al netto degli strumenti, sgomberato il campo dall’utilizzo dei fondi di coesione, è naturale che all’Europa serva rafforzare anche le capacità militari nazionali che sono comunque necessarie”.

 

Ce lo dica in un orecchio: secondo lei Schlein può davvero ambire a Palazzo Chigi? “Lo dice lo statuto del nostro partito, ma è prematuro parlarne. Si voterà nel 2027”. Matteo Renzi, di cui lei è stato braccio destro fino alla scissione, fa parte del centrosinistra? “Sì, sta lavorando per questo mi sembra”. Durante la giornata quante volte si sente a disagio in questo Pd? “A volte ci sono passaggi politici in cui mi sento entusiasta, altri in cui sono più difficoltà. Non so se chiamarlo disagio: sono uno che partecipa sentimentalmente e razionalmente alla vita di una comunità in cui si riconosce”. Potrebbe salutarla per andarsene altrove? “Non prendo nemmeno in considerazione questa domanda”. Base riformista, o meglio Energia popolare, non incide. “Dopo il congresso abbiamo deciso la linea dell’unità, portando nella discussione le nostre istanze”. Schlein è la guida giusta? “Serviva una scossa identitaria dopo le politiche del 2022”. Le piace la proposta di Franceschini sul cognome delle madri da dare ai figli? “Non mi occupo di cognomi”.
Bussano alla porta, il presidente del Copasir ha un altro appuntamento. Salutiamo sapendo di aver raccolto, nonostante un modello di pinze extra large, la metà di ciò che pensa veramente su tutto.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.