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l'editoriale del direttore
La piazza e la politica che non credono alla minaccia russa
Il paradosso di manifestare non contro l’unico nemico della pace in Ucraina, ma contro chi cerca di difendersi da una possibile aggressione. Un giro in Europa per capire che la minaccia della Russia non è uno scherzo da bar e che l’Italia è la sola a sottovalutarla
In Italia, quando si affronta il tema, ci si guarda di solito come si guarda in un bar un amico che ha alzato un po’ troppo il gomito, dopo qualche pinta di troppo, e ogni volta che si affronta quell’argomento la tentazione è quella di sorridere, di ironizzare e di guardare il proprio interlocutore con lo sguardo gentile di chi nel migliore dei casi lo accusa di essere ubriaco (con rispetto per Jack O’Malley). In Italia, lo sappiamo, ci sono partiti che considerano la parola “riarmo” quasi offensiva, quando si parla dell’Europa che cerca di trovare un modo per tornare a difendersi. E in Italia, lo sappiamo, ci sono anche partiti che considerano il riarmo dell’Europa molto più pericoloso di quello russo e che per questo scendono in piazza, ignorando il fatto che tra il 2022 e il 2024 la Russia, tanto per dirne una, ha aumentato la sua spesa militare del 40 per cento, portandola a circa 145,9 miliardi di dollari, e ignorando il fatto che la Duma ha approvato piani che hanno previsto un aumento ulteriore del 68 per cento delle spese militari nell’anno in corso.
Scendono in piazza non per manifestare contro l’unico nemico della pace in Ucraina, la Russia di Putin, ma per protestare contro chi cerca di difendersi dalla possibile aggressione russa, in futuro, e dal possibile disimpegno dell’America in Europa (quando Trump promette qualcosa di terribile conviene prenderlo sul serio, per non pagare dazio). L’istanza politica portata avanti sabato scorso dal Movimento 5 stelle, nella sua piazza contro il riarmo, non può essere trattata con sufficienza, ovvio, e merita di essere presa sul serio non per le ragioni di quella piazza ma per un grande non detto che esiste in Italia rispetto al tema al centro delle ragioni per cui l’Europa si sta riarmando – “Prontezza 2030”, complimenti al copywriter. Il riarmo europeo riguarda naturalmente la minaccia di Trump, la minaccia cioè di non aiutare più l’Europa con la Nato nel caso in cui l’Europa dovesse continuare a investire nelle spese militari meno di quanto percentualmente investe l’America. Ma il riarmo europeo riguarda anche un altro lato della medaglia, un altro aspetto importante, che è quello osservato con sufficienza non solo dai follower del M5s ma anche da una buona parte della classe dirigente italiana, pronta a spaccare il capello in cinquanta sfumature di fregnacce quando ragiona attorno al vero elefante nella stanza della Difesa europea: le possibili esondazioni della Russia di Putin.
In Italia, la classe dirigente, politica e non solo, considera il tema delle nuove avanzate del presidente russo come qualcosa di lontano, di remoto, di non afferrabile. Farsi un giro per l’Europa, forse, può aiutare a capire perché la minaccia russa, rispetto al futuro, è qualcosa di più concreto che un’alzata di gomito al bar. Qualche esempio può essere utile.
L’ex ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, mesi fa, ha evocato la possibilità di una guerra con la Russia. Lo ha fatto in diverse occasioni. Nel gennaio 2024 ha avvertito che la Russia potrebbe attaccare la Nato “entro 5-8 anni”, e per questo ha indicato una necessità per l’Europa: prepararsi a un conflitto su larga scala con la Russia. Nell’aprile 2024, lo stesso ministro ha paragonato il presidente russo Vladimir Putin al leader nazista Adolf Hitler, e ha esortato l’Europa a prepararsi per una guerra totale con la Russia, affermando che “Putin non si fermerà una volta terminata la guerra contro l’Ucraina”.
Nel 2024, ancora, la Lettonia ha reintrodotto la leva obbligatoria, con l’obiettivo di “rafforzare le capacità difensive del paese”. Lituania e Svezia, negli stessi mesi, hanno ripristinato la coscrizione obbligatoria, cosa che venerdì scorso lo Spiegel ha chiesto di fare anche in Germania. La Finlandia, dopo essere entrata nella Nato, vista la pericolosa vicinanza della Russia, ha annunciato l’intenzione di incrementare la spesa per la Difesa al 3 per cento del pil entro il 2029. A marzo 2025, la Svezia, entrata nella Nato dopo l’invasione dell’Ucraina, ha inviato sei caccia JAS 39 Gripen a Malbork, in Polonia, per partecipare alla missione di sorveglianza dello spazio aereo della Nato: è stato il primo contributo operativo della Svezia alle missioni aeree dell’Alleanza atlantica da quando ne è diventata membro nel marzo 2024. A gennaio 2025, ancora, il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha dichiarato che, pur non essendo in guerra, la Svezia non è nemmeno in pace, e nel mettere in evidenza la necessità di prepararsi a potenziali conflitti ha inviato ai cittadini opuscoli informativi su come prepararsi a situazioni di emergenza.
La Germania, a sua volta, oltre ad aver stanziato 500 miliardi per il suo riarmo, indovinate contro quale minaccia, ha deciso di schierare permanentemente la sua 45ª Brigata corazzata in Lituania: è la prima volta dalla Seconda guerra mondiale che truppe tedesche stazionano permanentemente all’estero. La Nato, ancora, ha condotto poi esercitazioni militari in Romania, coinvolgendo 1.500 veicoli militari, con oltre 20 aerei e più di una dozzina di unità navali, per rafforzare la prontezza e la coesione delle forze alleate nell’area del Mar Nero.
Il 30 marzo, i ministri della difesa di Estonia, Lettonia e Lituania hanno espresso timori, in un articolo sul Financial Times, relativamente a un fatto che non sembra stare a cuore alla classe dirigente italiana: un cessate il fuoco in Ucraina potrebbe permettere alla Russia di riorganizzare e rafforzare le sue forze lungo i confini nord-orientali della Nato, aumentando la minaccia per la regione baltica. La Polonia, a sua volta, ha previsto di destinare il 5 per cento del suo pil alla Difesa entro il 2026. Il primo ministro polacco, Donald Tusk, ha dichiarato l’intenzione di esplorare l’accesso alle armi nucleari e di garantire che ogni uomo polacco “riceva formazione militare”, avendo come obiettivo quello di costruire un esercito di 500.000 unità “per affrontare la minaccia russa”. Insieme ai paesi baltici, la Polonia, se il messaggio non fosse abbastanza chiaro, ha espresso l’intenzione di ritirarsi dal trattato che vieta le mine antiuomo, citando l’aggressione russa come motivo principale. Radoslaw Sikorski, ministro degli Esteri polacco, il Tajani della Polonia, ha affermato poche settimane fa che la Russia rimarrà una minaccia finché Vladimir Putin sarà al potere, sottolineando la necessità di una “pace basata sulla forza”, l’unico linguaggio che, secondo Sikorski, il Cremlino rispetta davvero. Il primo ministro britannico Keir Starmer, come il presidente francese Emmanuel Macron, ha annunciato, come sapete, l’accelerazione di un piano volto alla pianificazione militare per supportare l’Ucraina, prevedendo il dispiegamento di migliaia di truppe in caso di cessate il fuoco e di un accordo di pace. La Grecia, infine, ha lanciato un piano decennale da 25 miliardi di euro per modernizzare le sue Forze armate.
Se tutto questo non fosse sufficiente, se tutto questo non fosse cioè sufficiente per capire che in tutta Europa si considera la minaccia russa qualcosa in più che uno scherzo da bar, si potrebbe aggiungere qualcosa in più. Si potrebbe aggiungere il fatto che nel 2023 Mosca ha aggiornato la sua dottrina militare estendendo la possibilità di uso del nucleare tattico anche in risposta a “minacce convenzionali” esistenziali. Si potrebbe aggiungere il fatto che in Serbia, Bosnia, Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, la Russia esercita già una notevole influenza economica, diplomatica e militare. Si potrebbe aggiungere il fatto che dai sabotaggi in Germania, ai cavi sottomarini tagliati in Svezia, alle campagne di disinformazione in Slovacchia e ai cyberattacchi in Polonia e Lituania, Putin non inizierà una guerra contro l’Europa, perché la Russia sta già combattendo, sotto traccia, una guerra in Europa. E se tutto questo non dovesse essere sufficiente, i negazionisti italiani potrebbero attingere a piene mani dalla recente Relazione al Parlamento dell’intelligence italiana, in cui i servizi hanno ricordato alcuni punti che potrebbero essere utili per orientarsi nel futuro, mettendo in luce fatti difficilmente contestabili. La Russia, scrive l’intelligence, ha intensificato le operazioni asimmetriche in Europa, arrivando a compromettere direttamente infrastrutture civili e militari, anche mediante atti violenti. E tra gli episodi documentati ci sono danneggiamenti a cavi sottomarini per telecomunicazioni tra Finlandia, Germania e Svezia, incendi dolosi a fabbriche e magazzini collegati alla Difesa o a interessi ucraini, attacchi con droni su basi Nato, episodi di effrazione in impianti idrici, disturbi sistematici ai Gps, interferenze alle reti satellitari e persino incendi presso snodi logistici e aeroporti, con possibile aumento delle pressioni russe nei Balcani occidentali, tramite reti di influenza e propaganda, in particolare in Serbia, Moldavia e Bosnia, e possibilità di colpire anche indirettamente l’Europa favorendo l’instabilità nel Sahel e nel Mediterraneo allargato, nelle aree dove operano mercenari russofoni e nelle aree in cui vi sono giunte militari filo-Mosca. Dalla Crimea al Donbas, passando per Siria e Georgia, la storia è sempre la stessa. Chi diceva “Putin si fermerà lì” si è sempre sbagliato. E l’Italia, a oggi, è l’unico paese dell’Europa occidentale in cui l’idea che la Russia si fermi è ancora mainstream in buona parte della classe dirigente. Al punto che i partiti che scendono in piazza contro il riarmo lo fanno non pensando a quello che ha fatto la Russia in questi anni, trucidando il popolo ucraino, ma lo fanno pensando a quello che potrebbe fare l’Europa per provare a dire una frase che i filoputiniani non riescono a pronunciare quando parlano degli errori russi: semplicemente, mai più.